Stop morti sulle strade

Morte Rebellin, la rabbia di Alessandra D’Ettorre: “Qui siamo carne da macello, vien voglia di smettere con la bici”

Dopo la morte di Davide Rebellin, falciato da un camion, parla Alessandra D'Ettorre, campionessa iridata aquilana. "Noi ciclisti ormai siamo carne da macello. Manca cultura e rispetto"

Davide Rebellin e Alessandra D’Ettorre, quella Olimpiade di Pechino, indimenticabile.

Il viaggio di ritorno fatto l’uno al fianco dell’altra, a raccontarsi degli allenamenti, della dieta. “Parlava con grandissima calma, educazione, era una persona squisita: è stata una esperienza che non dimenticherò mai”.
Quando Alessandra D’Ettorre, campionessa iridata aquilana, ha saputo della notizia della morte di Davide Rebellin, investito e ucciso da un camion mentre era in bici, non ci voleva credere.
“Prima è sceso sui miei occhi un velo nero. Poi la rabbia. Ma è possibile che qui non si riesca a fare nulla? Che ci debbano costringere con una legge, con pene severe, per dire che quando si è in strada non si è da soli? Che le distrazioni possano costare delle vite? È possibile che non siamo capaci di capire da soli che quando si vede un ciclista si deve rallentare, si deve passare ad una distanza di sicurezza da lui?”
Alessandra D’Ettorre è un fiume in piena: a parlare è la sua passione per la bicicletta, ma anche tanta, tantissime delusione e rabbia per il fatto che oggi, quello sport che lei iniziava a praticare gironzolando per le strade di Castelvecchio Calvisio, Carapelle, Santo Stefano di Sessanio, non sia più uno sport sicuro.
Un ciclista ogni due giorni muore sulle strade. E quando leggo di queste statistiche, penso di essere stata una incosciente: e lo dico sconsolata. Ogni volta che ti passa accanto un mezzo a quattro ruote, un ciclista trema: lo spostamento d’aria causato dal passaggio di un’auto o di un mezzo pesante rischia di farti sbandare. Ed è il minimo: pensare di percorrere oggi la nostra Statale 17 in bicicletta mi fa venire i brividi. Se i miei figli dicessero di voler andare in bicicletta? Direi loro di no. Troppo pericoloso. Sono andata in bicicletta per 25 anni, ho girato tanti Paesi: in Olanda, quando vedono i ciclisti rallentano. Qui siamo carne da macello.”

È questione di cultura, di rispetto di tutti coloro che usufruiscono della strada: su due ruote, su quattro, a piedi. Cultura che in Italia, purtroppo, manca . O, forse, perchè mancano pene ancor più severe, ad esempio, che vadano a punire per gli automobilisti che superano senza rispettare il metro e mezzo di distanza dal ciclista in strada. Fino a qualche anno fa, racconta al Corriere della Sera Andrea Vendrame, ciclista trevigiano che nel 2016 era stato in coma per settimane dopo lo scontro con un’auto, “i team delle giovanili da tutta Europa venivano in ritiro in Toscana, ambiente ideale per gli allenamenti. Sa cosa succede oggi? Non ci vengono più, perché le strade qui non sono sicure, ora i ritiri si fanno in Spagna, dove lo Stato ha previsto multe salatissime per chi non rispetta il metro e mezzo”.

Rebellin e Alessandra d'ettorre

Prosegue Alessandra D’Ettorre, ripensando alla morte di Davide Rebellin. “Non voglio etichettare la categoria dei camionisti come colpevole di comportamenti sempre scorretti: però in tanti, dall’alto della loro stazza, non pensano che sulla strada possano esserci altri utenti. Sai quante volte suonano a lungo col clacson e ti fanno saltare per aria? Ecco perchè parlo di mancanza di rispetto: e questo è il risultato. bastano poiù nemmeno i morti per prendere i provvedimenti”.
Cosa fare? Leggi più severe, certo. Ma tanta, tanta educazione civica, soprattutto ai bambini in età scolare, per insegnare loro che la strada è di tutti e che una distrazione può costare carissimo, a tutti.
Alessandra D’Ettorre con il marito Aurelio e con Marco Scarponi girano per le scuole d’Italia a parlare di questo, nel ricordo del fratello di Marco, Michele Scarponi, campione marchigiano centrato da un furgone nel 2017. “Anche il papà di mio marito è stato ucciso in bicicletta, 27 anni fa. Penso che a inizio 2023 saremo nelle scuole di Sulmona per fare altri incontri: ci incontriamo tanto con Marco e ogni volta lo affianco perchè lui parla di Michele e io metto la mia esperienza in bicicletta. Quando siamo andati a parlare nelle scuole di Navelli, i bambini si sono dimostrati entusiasti: attentissimi, hanno seguito Marco in silenzio. Poi lui ha un modo di fare che ti dà tranquillità e pace ed è impossibile non seguirlo. Sono i bambini che devono capire il reale valore della vita: un tuo secondo di distrazione porta alla morte non solo di una persona, ma di tutte le famiglie coinvolte“.

Ora, quale giustizia: “Ormai Davide è morto. La sua famiglia è straziata. Penso ancora che a febbraio Davide tornerà in gruppo. Invece, non sarà così e sento un gran vuoto”.

 

 

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