Storia

L’Aquila, 12 maggio 1423: inizia l’assedio di Braccio da Montone

Le cause dell'assedio dell'Aquila da parte di Braccio da Montone vanno ricercate nella lotta per il trono di Napoli: la storia. Il Contributo di Sandro Zecca

12 maggio 1423, inizia l’assedio dell’Aquila. Il contributo di Sandro Zecca.

Le cause dell’assedio della città dell’Aquila, che ebbe inizio il 12 maggio 1423 e terminò dopo 385 giorni – il 2 giugno del 1424 con la battaglia di Bazzano – vanno ricercate nella lotta per il trono di Napoli, che si trascinava ormai da un anno e che vedeva da una parte la regina titolare Giovanna II, affiancata dal figlio adottivo Alfonso d’Aragona, e dall’altra il ventenne Luigi III d’Angiò. Maggiore alleato di Luigi III era Papa Martino V appoggiato, tra gli altri, dal duca di Sessa Giovanni Antonio Marzano, le cui sorelle Maria ed Angelella avevano sposato rispettivamente il condottiero Muzio Attendolo Sforza e Luigi Camponeschi, conte di Montorio. Naturalmente la città, di fatto comandata dai Camponeschi da decenni, prese le parti di Luigi III. Ad Andrea Fortebraccio detto Braccio, condottiero umbro, ufficialmente gran connestabile degli Abruzzi – nonché principe di Capua – era già chiara la politica degli aquilani, da lui definiti “ribelli” poiché avevano da poco cacciato il capitano da lui inviato tempo prima e che avevano accolto con favore. A metà aprile Re Alfonso lo pregò di inviare nel regno qualche presidio di soldati italiani, poiché “quei popoli” erano per natura nemici degli Spagnoli e dei Catalani. Braccio ordinò quindi di muovere quattrocento cavalieri sotto il comando di Niccolò Piccinino, il quale con grandissima celerità si diresse verso Napoli. 400 cavalieri erano abbastanza in quel momento per reprimere qualsiasi tumulto ed eventualmente Braccio sarebbe potuto intervenire con il resto dell’esercito, conteggiato con la rassegna secondo il metodo militare in 3200 cavalieri e 1000 fanti.

braccio da montone

Il 30 aprile del 1423 una delegazione aquilana formata da quattro ambasciatori, uno per ogni quarto, andò a Roma per discutere con Luigi III i termini dell’alleanza: un lungo elenco di richieste in gran parte accettate, compresa quella che il re potesse scegliere il capitano da un elenco di nomi fornito dalla città. Come ad Aquila anche nel Regno crescevano i dissapori; nella stessa Napoli iniziarono disordini contro la regina, la cui colpa più grande era quella di essere considerata “molle” per l’assenza di un vero re e per i suoi vizi. Ai primi di maggio Fortebraccio con il suo esercito partì da Todi e giunse, in pochi giorni, ai confini della città dell’Aquila la quale, con tutta la provincia, gli era stata assegnata in governo dalla regina.
Cosa pensavano gli umbri della città dell’Aquila lo racconta Antonio Campano, il maggiore biografo di Fortebraccio: L’Aquila, quanto alla grandezza del sito, può mettersi tra le buone Città d’Italia, ma è molto più habitata da huomini della villa, che civili, ed è circondata da freddissimi monti, coperti continuamente di neve. Gli habitatori, facendo grosse mercantie di lane, e di bestiami, ch’essi medesimi di continuo pascendo curano, sono divenuti molto abbondanti di robba, e di danari, ma con tutto ciò sono ordinariamente rozzi, e male accostumati, e si come (essendo huomini di montagna) intorno alle cose della robba sogliono riuscire molto industriosi, così non hanno in loro ne costume ne delicatezza civile, ne per altro, che per lor moltitudine sono spaventevoli a’ vicini. Hanno il territorio tutto pieno di monti, ma però habitato e frequentato per ottantasei fra Terre e Castella, che vi sono.

Entrando in Abruzzo, Braccio aveva preso Posta, Santogna e Borbona, mentre Pizzoli era caduta dopo due giorni di assedio.
Prima di presentarsi alla città, inviò un’ambasciata a trattare con Antonuccio Camponeschi, “usando belle parole, lusinghe e minacce”: ma non ci fu accordo. Così il 12 maggio 1423, 600 anni fa, Andrea Fortebraccio si presentò alla piana che conosciamo ora come Piazza d’armi, schierando il suo esercito tra San Sisto e Sant’Antonio e fermandosi dinanzi a Porta Barete reclamò il diritto sulla città. Gli aquilani avevano già posto degli steccati per fermare la potente cavalleria di Braccio e al suono della campana grande del comune uscirono all’attacco sul campo e sulle mura, armati di piccoli scudi, lunghe lance e balestre. Dopo un breve scontro Braccio pensò di desistere ritirandosi a Pizzoli, bruciando le case di campagna come aveva fatto durante la presa di Perugia nel 1416. Sull’accaduto di quel giorno il Campano glissa e descrive direttamente e brevemente l’assedio: dopo aver preso i passi, Braccio fa accampare i suoi in diversi luoghi attorno all’Aquila e, per difenderli da eventuali assalti dall’interno della città, li dotò di doppia fossa e bastioni. Infatti il giorno dopo si recò a Paganica, che prese dopo 9 giorni di assedio. Poi cadde Guardiagrele, aquilana dal 1406, dove si trovava Antonuccio Camponeschi, che poté rientrare a l’Aquila con un salvacondotto di 10 giorni. Poi Braccio conquistò altri castelli: Poggio Picenze, San Demetrio, Picenze, Fossa, Sant’Eusanio, Leporanica e Fagnano, che prese dopo due giorni di assedio, poi pose l’assedio a Stiffe, che non riuscì mai a prendere.

La perdita dei castelli fu parecchio sentita poiché, per i noti legami intra ed extra moenia, non potevano più aiutarsi gli uni con gli altri e la città perdeva altre risorse. Diversi centri invece si diedero a lui spontaneamente, come Assergi e Carapelle con tutta la sua baronia. Poi fu la volta di Castelnuovo ad aprire le porte a Braccio. Bominaco, come sottolineò l’Anonimo, nella sua resistenza “durò meno di uno spago fradicio”. Alla fine di maggio a Napoli precipitò la situazione: Alfonso d’Aragona tentò un colpo di stato facendo arrestare Giovanni Caracciolo, consigliere della regina sua madre e tentando di arrestare anche lei, presso la residenza di Castel Capuano. Avvertita in anticipo, la regina chiamò in soccorso Muzio Attendolo Sforza, che sconfisse le forze dell’Aragonese a Casanova il 30 maggio. Inizia qui una nuova fase della guerra, con la regina di nuovo alleata con il Papa. A loro si unirà Milano contro la coalizione di Alfonso, Fortebraccio e Firenze. La guerra iniziava a coinvolgere tutta l’Italia.

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