Le nuove stanze della poesia

Le nuove stanze della poesia, Louise Glück

Addio a Louise Glück, premio Nobel per la letteratura nel 2020. Il ricordo di Valter Marcone nell'appuntamento con la rubrica "Le nuove stanze della poesia".

Addio a Louise Glück Premio Nobel per la letteratura 2020 (13 aprile 1943 – 13 ottobre 2023 . La poetessa aveva 80 anni ed era malata di cancro. L’Accademia di Svezia la premiò «per l’inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende universale l’esistenza dell’individuo»

LE MIGRAZIONI NOTTURNE
Questo è il momento in cui vedi di nuovo
le bacche rosse del sorbo selvatico
e nel cielo scuro
le migrazioni notturne degli uccelli.
Mi addolora pensare
che i morti non le vedranno –
queste cose su cui facciamo affidamento,
esse svaniscono.
Allora cosa farà l’anima per rinfrancarsi?
Mi dico che forse non avrà più bisogno
di questi piaceri;
forse già non essere basta del tutto,
per quanto sia difficile da immaginare.

Louise Glück è stata una grande interprete di una metafisica dell’ordinario. La sua famiglia di religione ebrea era originaria dell’Ungheria da dove i genitori erano immigrati in America. . La poesia di Glück – simile alla collega canadese Anne Carson – è fatta di versi in cui spietatamente analizza la vita dei sentimenti ,il loro percorso fino alla dissipazione e alla scomparsa ,l’incanto e la brutalità della relazione. Sotto un’apparente semplicità come per esempio i versi della Szymborska, si celano temi e problemi importantissimi per l’uomo contemporaneo .
Esordì con Firstborn, il racconto di una serie di personaggi delusi dall’amore e narrati in breve . The House on Marshland (1975), è la sua seconda raccolta. Ha il pregio di composizioni in rima che tentano di attenuare il cupo dolore della raccolta precedente, dovuto anche alla sua adolescenza condizionata da una anoressia nervosa e poi ad un divorzio alle spalle
Dopo Descending Figure (1980) è la volta di The Triumph of Achilles (1985), che riceve il National Book Critics Circle Award for poetry e aggiunge nuovi tasselli al bagaglio tematico di Glück: il rapporto con l’antichità classica, la ricreazione di soggetti archetipici, l’ampia presenza della Bibbia. Con Ararat (1990; traduzione di Bianca Tarozzi, il Saggiatore 2021) i versi si riempiono di simboli e si sente preponderante la morte incombente
“Mia sorella è come un sole, come una gialla dalia. / Capelli d’oro come pugnali intorno al viso. / Occhi grigi, pieni di coraggio” .Sono i versi de L’iris selvatico (1993; traduzione di Massimo Bacigalupo, il Saggiatore 2020), grazie al quale Glück ebbe il Pulitzer. Era l’unica opera tradotta in italiano al tempo del conferimento del premio Nobel. Ed era a ragione una raccolta che doveva essere conosciuta assolutamente; lo fu grazie allo sforzo di un piccolo editore ,Giano, di mandarla in libreria: un’opera rivelatasi di maggior successo in termini critici e di pubblico; il flusso del tempo appare inesorabile, l’estate breve del New England evidenzia il contatto tra caducità ed eternità, espressi in modulazioni soavi, ferite. «Ascoltate il mio respiro, il vostro stesso respiro / come le lucciole, ogni piccolo fiato / una fiammata in cui appare il mondo».
Se Meadowlands (1997; traduzione di Bianca Tarozzi, il Saggiatore 2022), Vita Nova 1999) e The Seven Ages (2001) indagano la fine di un altro matrimonio :
«che tu sia un irritante straccio viola
e mi piacerebbe vederti scomparire dalla faccia della terra
perché sei tutto quel che non va nella mia vita /
e ho bisogno di te e ti reclamo»
è in Averno (2006; traduzione di Massimo Bacigalupo, il Saggiatore 2020) che il mito di Persefone illumina il comune brivido per l’aldilà, a cui seguono A Village Life (2009), Notte fedele e virtuosa (2014) e Ricette per l’inverno collettivo (2021).
IL PAPAVERO ROSSO
Il massimo
è non avere
mente. Sentimenti:
oh, quelli ne ho; mi
governano. Ho
un signore in cielo
che si chiama sole, e mi apro
per lui, mostrandogli
il fuoco del mio cuore, fuoco
come la sua presenza.
Che altro può essere una simile gloria
se non un cuore? Oh, sorelle e fratelli,
eravate come me una volta, tanto tempo fa,
prima di essere umani? Vi
concedeste di aprirvi
una volta per poi non aprirvi
mai più? Perché in verità
adesso io sto parlando
come voi. Io parlo
perché sono distrutta.

I GIGLI BIANCHI
Mentre un uomo e una donna fanno
un giardino tra loro come
un letto di stelle, qui
fanno passare la sera d’estate
e la sera diventa
fredda del loro terrore: potrebbe
finire, sarebbe capace
di devastazione. Tutto, tutto
può perdersi, nell’aria odorosa
le strette colonne
che salgono inutilmente e, di là,
un ribollente mare di papaveri –
Taci, mio amato. Non mi importa
quante estati vivo per tornare:
questa sola ci ha dato l’eternità.
Ho sentito le tue mani
seppellirmi per liberare il suo splendore

I suoi versi sono tutti orientati a segnalare i traumi e le incrinature della realtà con uno sguardo sapientemente calcolato,fino a definire una specie di “ formula” in cui racchiudere la realtà, che come si sa offre quotidianamente tensioni diverse .Una formula che dunque contiene proprio quella realtà che lei riesce ad esprimere nei suoi versi . Già vincitrice del Pulitzer (1993) e del National Book Award (2014), nominata poeta laureato degli Stati Uniti nel 2003, decorata della National Humanities Medal nel 2015 da Obama, Glück è autrice di dodici sillogi e due raccolte di saggi. I suoi testi sono pubblicati in Italia, dopo il conferimento del premio Nobel dal Saggiatore (ma nel 2003 Giano aveva stampato L’iris selvatico, mentre nel 2019 Dante & Descartes aveva mandato in libreria Averno).

Alla raccolta Wild Iris (2003) viene assegnato il Premio Pulitzer. Versi ispirati ad un catalogo di varietà dei fiori. I fiori sono usati per raccontare le relazioni tra gli uomini . In Wild Iris, Louise Glück racconta la radice puritana dell’America. Nella sua poesia emerge una consapevolezza della vita universale fiorita attraverso immagini familiari e semplici. Emerge la chiarezza e la severità di una poesia senza compromessi di una scrittrice originaria della lunga e spoglia periferia di New York.
Raccolto
E poi viene il gelo; del raccolto è inutile parlare.
Comincia la neve; finisce la finzione della vita.
La terra adesso è bianca; i campi splendono al sorgere della luna.
Io siedo alla finestra accanto al letto, guardo la neve cadere.
La terra è come uno specchio:
calma su calma, distacco su distacco.
Ciò che vive, vive sottoterra.
Ciò che muore, muore senza lotta.
((Iris Selvatico, Giano Editore 2003) )
Massimo Bacigalupo , professore emerito di Letteratura americana dell’Università di Genova che ha tradotto in italiano, “L’iris selvatico” nel 2003, in tempi non sospetti, per la Giano, che non esiste più, e poi “Averno” nel 2019 per Dante&Descartes, due esempi di piccole case editrici coraggiose e indipendenti, in una intervista a Repubblica risponde alla domanda : “Cosa la affascina della Glück?
“C’è attesa, è un mondo che si svela a poco a poco, solo apparentemente è tutto chiaro, c’è quel senso di mistero, di sospensione, del resto la poesia spiegata, è morte. La Glück parla di se stessa ma in modo del tutto indiretto, da adolescente è stata anoressica, è riuscita a superare queste difficoltà grazie a anni di psicanalisi. ”.
E continua In Italia attualmente le sue opere sono praticamente introvabili, a parte una copia di Averno. Come mai?
“Giano editore aveva pubblicato “Iris selvatico” non esiste più, e una copia di “Averno”, edito da Dante&Descartes di Raimondo di Maio, insieme Editorial Parténope di José Vicente Quirante Rives, l’avevo donata io alla biblioteca dell’Università di Genova. Adesso, grazie anche al Nobel, verranno ristampate da Il Saggiatore”.

Oltre alla lettura dei suoi versi , per capire la Gluck , ovvero la sua idea del mondo e della vita legata profondamente ad un candore, una purezza, una riservatezza non comuni basti pensare che al momento del conferimento del premio Nobel molti si aspettavano di vederla in collegamento dalla sua casa del Vermont. Era l’anno in cui fu annullata la cerimonia pubblica in presenza a causa della pandemia da coronavirus . Lei invece preferì mostrare solo una foto e affidare ad una breve dichiarazione appunto rivelatrice della sua immagine interiore .”Credo che assegnandomi questo premio l’Accademia svedese abbia scelto di onorare una voce intima e privata, che un discorso pubblico può amplificare, estendere, ma mai sostituire”. Non una fuga ma la difesa della sostanza di un’opera poetica che ha una dimensione colloquiale e diffida delle luci della ribalta e delle folle E in quella comunicazione continuava così : “La mattina dell’ 8 ottobre è stata una sorpresa per me provare il tipo di panico che ho descritto. La luce era troppo intensa. La scala troppo vasta”. Un panico da vittoria per aver varcato la soglia della invisibilità, quella condivisa con la sua amata Emily Dickinson. In questo modo ha voluto ringraziare l’accademia svedese parlando solo di poesia, la sua più fedele compagna di vita da quando era bambina. A causa della pandemia da covid di quell’anno la cerimonia di consegna del premio Nobel da parte di re Carlo XVI Gustavo, il 10 dicembre 2019 a Stoccolma, giorno della nascita di Alfred Nobel, fu realizzato online. In quel collegamento la Gluck raccontò il suo rapporto con la poesia ricordando che “la poesia e Louise Gluck “sono state sempre una cosa sola. Era bambina quando si inventò un concorso per premiare la più bella poesia del mondo. Vinsero come in una folgorazione i poeti Emily Dickinson e William Blake.”Quando ero una bambina, credo di cinque o sei anni, mi ero inventata un concorso nella mia testa per premiare la più bella poesia del mondo. C’erano due finalisti: ‘The Little Black Boy’ di Blake e ‘Swanee River’ di Stephen Foster. Andavo avanti e indietro nella seconda camera da letto della casa di mia nonna a Cedarhurst, un villaggio sulla sponda meridionale di Long Island, recitando mentalmente come preferivo, l’indimenticabile poesia di Blake, e cantando, anche nella mia testa l’inquietante e desolata canzone di Foster. Come sono arrivata a leggere Blake è un mistero. Penso che a casa dei miei genitori ci fossero alcune antologie di poesie tra i libri di politica e storia e tra i tanti romanzi. Ma associo Blake alla casa di mia nonna” dice la Gluck nelle prime righe del testo che si può trovare su NobelPrize.org.

In Italia, nel giorno della cerimonia, fu dedicato alla Gluck un evento speciale online ‘Le migrazioni notturne’ condotto da Matteo Caccia, in diretta dal Circolo dei lettori di Torino, con collegamenti e contributi video di Massimo Bacigalupo, Daria Bignardi e Laura Morante e un saluto di Elena Loewenthal, direttore della Fondazione Circolo dei lettori. L’evento fu organizzata dal Circolo dei Lettori e da Il Saggiatore, che ha acquisito tutte le opere della poetessa americana finora introvabili e poco tradotte in Italia.

“Ho letto Emily Dickinson con grande passione quando ero adolescente. Di solito a tarda notte, prima di andare a letto, sul divano del soggiorno.’Io non sono nessuno! Tu chi sei? Non sei nessuno anche tu? Allora siamo in due – non dirlo! Potrebbero pubblicizzarlo, sai …’ Dickinson mi aveva scelto, o mi aveva riconosciuto, mentre ero seduta sul divano. Eravamo un’élite, compagne nell’invisibilità, lo sapevamo solo noi. Nel mondo non eravamo nessuno”

Alla fine del mio soffrire
c’era una porta.

Sentimi bene: ciò che chiami morte
Lo ricordo.

Sopra, rumori, rami di pino smossi.
Poi niente. Il sole debole
tremolava sulla superficie secca.

È terribile sopravvivere
come coscienza
sepolta nella terra scura.

Poi finì: ciò che temi, essere
un’anima e non poter
parlare, finì a un tratto, la terra rigida
un poco incurvandosi. E quel che mi parve
uccelli sfreccianti in cespugli bassi.

Tu non ricordi
passaggio all’altro mondo
ti dico che seppi parlare di nuovo: tutto ciò
che ritorna dall’oblio ritorna
per trovare una voce:
dal centro della mia vita venne
una grande fontana, ombre blu
profondo su acqua di mare azzurra.

IL suo commiato.Risuona dunque nei versi appena trascritti la sua idea di morte , quella che in Averno esplicita ancora meglio perchè i ricordi, nelle parole della poetessa americana, restano l’unico laccio che tiene legate vita e oltretomba, l’unico suono in grado di donare ancora una forma alle cose passate.«Fianco a fianco, non/mano nella mano: vi guardo/camminare nel giardino estivo — le cose che non si muovono/imparano a vedere; non mi occorre/inseguirvi attraversoil giardino; gli esseri umani lasciano/segni di sentimento/dovunque, fiori/sparsi sul sentiero terroso, tutti/bianchi e oro, alcuni/sollevati un poco dal/vento serale; non mi occorre seguirvi dove siete ora,/in pieno campo velenoso, per sapere/la causa della vostra fuga, passione o rabbia umana: per cos’altro/avreste lasciato cadere/tutto quello che avete raccolto?»

Perchè per la Gluck ci sono momenti in cui la vita e la morte vengono messi una davanti all’altra, quasi come se fosse un duello, e spesso il risultato ultimo è che nessuna morte può essere più dolorosa della vita stessa, del carico della vita. «E poi: il ghiaccio/era lì per tua stessa protezione/per insegnarti/a non sentire —/la verità lei disse/pensavo che sarebbe stata come/un bersaglio, ne vedresti/il centro —/Luce fredda che riempie la stanza./So dove siamo,/lei disse/quella è la finestra/quando ero una bambina quella è la mia prima casa, lei disse/quella scatola quadrata —/ridi pure se vuoi. Come l’interno della mia testa:/puoi vedere fuori/ma non puoi uscire fuori —/Pensa un po’ il sole era lì, in quel luogo nudo/il sole invernale/non abbastanza vicino per raggiungere i cuori dei bambini/con la luce che dice/puoi vedere fuori/ma non puoi uscire fuori/Qui, dice, è qui che tutto è al suo posto.»

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