Crisi - non spegniamo la luce

Liquidatrice a processo per non aver controllato la Pec aziendale

Una mamma imprenditrice aquilana rischia da 1 a 4 anni, colpa della ..PEC. Azienda messa in liquidazione dopo il Covid, non c’è pace nemmeno dopo la chiusura di un'azienda.

La crisi a L’Aquila è un’altra storia. Continua il nostro speciale sulle aziende e gli imprenditori nella morsa della crisi. Continuiamo con la storia di G., mamma separata che nel 2021 ha chiuso la sua piccola azienda e, qualche mese dopo, da liquidatrice si è ritrovata a processo per non aver controllato la Pec aziendale. Rischia una condanna da 1 a 4 anni.

Il Capoluogo da anni dà voce a chi non ce l’ha: in questo difficile momento di crisi ancora di più. Dopo il sisma e il Covid19, da pagare è arrivato anche il prezzo della Guerra e di una legge che “può mandarti a processo semplicemente per non aver controllato la Pec aziendale”. Il racconto di una nostra lettrice all’indomani dei primi pezzi del Capoluogo, che hanno raccontato la denuncia della difficile situazione degli imprenditori abruzzesi.
Sono una mamma separata e con due figli piccoli. Fino ad aprile 2021 avevo una piccola azienda, con due soli dipendenti. Poi è arrivato il Covid19″, racconta la lettrice alla nostra redazione.
“La pandemia ci ha stravolto la vita, ridisegnando le abitudini di tutti i giorni. La scuola, il lavoro, andare a fare la spesa, perfino la vita dentro casa. Personalmente, il Covid ha anche contributo ad accentuare la crisi che ha travolto la mia azienda, portata avanti già da qualche tempo al prezzo di grandi sacrifici. Così, ad aprile 2021 sono stata costretta a dire basta, licenziando i miei due dipendenti e liquidando l’azienda.

Da qui inizia l’altra vita, quella in cui il Covid ha fatto da spartiacque. Ancora, come se il terremoto non fosse stato sufficiente.
“Per andare avanti – continua la mamma – inizio a fare non uno, non due, ma tre lavori: due da dipendente e uno da libera professionista, ancora. Attività necessarie per riuscire a mantenere i miei figli, di cui uno ha anche una disabilità. Tre lavori, quindi, per campare e per pagare gli strascichi che porta con sé la chiusura di un’azienda. Una sconfitta, su tutti i fronti. Ma l’assurdo ancora doveva arrivare! Non avrei mai immaginato quello che, intanto, si stava consumando tra le pareti degli uffici dell’Agenzia delle Entrate”. 

Lo scopro all’improvviso, con una telefonata che mi fa crollare il mondo addosso. Quando, esattamente un anno dopo la chiusura della mia azienda, vengo chiamata dalla Guardia di Finanza. Mi viene riferito che, da liquidatrice della mia azienda, avrei dovuto tenere sotto controllo la PEC. Non avendolo fatto sono colpevole del reato di ‘Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza’, articolo 2638 del Codice Civile. Risultato? Vengo rinviata a giudizio e rischio da uno a quattro anni. Io, incensurata, senza mai avere avuto problemi con la giustizia. Tutto questo per non aver letto la PEC”. 

La legge non ammette ignoranza. Non mi sono posta il problema, era concentrata a lavorare ed a sopravvivere. Inoltre, gli altri enti mi avevano contattato sulla mia mail personale o sul mio cellulare, avendo cercato il mio nome in rete. Ormai con i social è facile rintracciare una persona, ci vuole solo un po’ di impegno, di umiltà e di serietà!
Dopo una prima Pec e un successivo sollecito – a cui non è arrivata risposta perché non stavo leggendo la pec aziendale – il pignolo funzionario ha passato la pratica nelle mani del magistrato e, quindi, della Guardia di Finanza: perché così recita la legge. Anche nel 2022, quando Internet e i social network mettono facilmente in collegamento persone da ogni parte del mondo, non c’è stato il minimo sforzo per tentare di rintracciarmi, oltre alla PEC naturalmente. Siamo soltanto un numero sulla lunga lista di pratiche dei burocrati che – comodamente seduti alla loro scrivania – senza il minimo sforzo, decidono di spedirti direttamente in Tribunale. Un potere, questo, conferito loro dalla legge. Il nostro destino dipende dalla discrezione di chi si ritrova ad occupare un pubblico ufficio: nel mio caso, questa persona si è limitata ad applicare la legge. Quindi, dalla Pec al Tribunale il passo è stato breve. Ora per me inizierà il processo, in cui dovrò difendermi spiegando perché non abbia controllato la Pec aziendale”.

“Voglio specificare – continua la lettrice – che la mia azienda era dotata di commercialista e di consulente del lavoro, che avrebbero risposto senza esitazioni ad un controllo, se fossero stati chiamati; che nella mia azienda, quando era attiva, c’era una figura che si occupava dell’amministrazione e della pec aziendale; infine, presso la Camera di commercio ci sono tutte le informazioni disponibili (bilanci, professionisti, nomi e numeri) inerenti tutte le Patite Iva.
Quando e chi ha stabilito che l’amministratore o il liquidatore, come in questo caso, debbano rispondere personalmente di procedure specifiche, per cui si pagano profumatamente dei professionisti?

“Vorrei raccontare la mia storia – conclude la lettrice – perché possa essere da monito per chi, come me, non è a conoscenza che in questo Paese si possa essere condannati per non aver controllato la posta elettronica. Vorrei raccontarla perché si rifletta sul fatto che il nostro Codice contenga un articolo che condanna il Responsabile di un’azienda per non aver controllato, in prima persona la PEC. Senza la messa in liquidazione, cioè in condizioni normali, avrei avuto una dipendente a controllare la pec aziendale. Fate attenzione, in questo Paese è una missione impossibile essere un imprenditore: che Italia è?”.

 

Raccontaci anche tu la tua storia, diamo voce a chi non ce l’ha. Non spegniamo la luce. 

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