#terremoto e ricostruzione

Case e map, ‘quando il provvisorio è per sempre’

di Francesca Marchi

Cos’è stato davvero provvisorio in questi 7 anni? Case, map e musp sono ancora qui ad ospitare famiglie, bambini che vanno a scuola, qualche attività commerciale, servizi e uffici. Cosa significa vivere in queste strutture temporanee dopo circa sette anni? A questo e a molto altro rispondono alcuni dei residenti intervistati da IlCapoluogo.it

Uno spaccato di realtà importante che rappresenta l’altra L’Aquila: gli insediamenti provvisori voluti dopo il terremoto. Voi, a sette anni li avreste immaginati ancora qui? La sensazione è che il provvisorio “sia per sempre”, sicuramente dal punto di vista emotivo, perché costituisce un “punto di riferimento e sicurezza”.

progetto case - bazzano

Partiamo dal progetto case di Bazzano, il primo ad essere inaugurato nel settembre 2009. Incontriamo la signora Maria, pensionata, che passeggia verso una destinazione ben precisa: la Tendamica. Sì: qui a Bazzano c’è ancora la tensostruttura. Da sette anni accompagna le attività dei residenti. E’ nata come centro di accoglienza e assistenza della popolazione, poi è diventata luogo di dibattito, incontri pubblici, feste, cerimonie religiose. “A volte è dura” – racconta Maria. “Qui non ci sono servizi. Né un bar, né un’edicola. L’unico luogo per incontrarsi è la Tendamica. Si fanno feste, l’ultima a Carnevale, il tendone era pieno. Poi c’è il catechismo per i bambini, si celebra la messa e ci si incontra”. La tensostruttura venne installata nell’area dell’attuale progetto case di Bazzano nella fase dell’emergenza. La Protezione Civile ‘creò’ questo ‘luogo’ per assistere la popolazione. Oggi è un punto di riferimento fortissimo.

A sette anni non ci si immagina senza ciò che era nato come provvisorio. E’ il caso di Marina che vive nel villaggio map di Barisciano: “Sono 7 anni ormai, una vita. E per tornare a casa credo che ci vorrà ancora un po’ di tempo. Io devo dire che i primi anni stavo male. Ma non perché non mi trovavo bene qui. Però sai quando stai pagando un mutuo di una casa pensata per i bimbi,  avevamo fatto progetti, anche i più banali. E poi non poterne vedere realizzato neanche uno mi spezzava il cuore. Poi mia figlia crescendo, andando all’asilo e poi a scuola si affezionava sempre più al paese, al fatto di avere questa minuscola casa sempre piena di amichetti. E ora sai una cosa? Ho paura di tornare in quella casa così grande. Ormai sono abituata a questo piccolo spazio, mi manca una cantina, una camera più grande e un giardino per lasciare giocare Irene  al sicuro dai pericoli della strada. Però in fondo non sto così male, nonostante tutto. Certo la nostra casa a Picenze è una vera casa e magari tra qualche anno sarà più bella di prima. Ma come è stata dura abituarsi qui credo che un po’ soffriremo tutti a doverci abituare di nuovo. Il terremoto ha stravolto tutto e mia figlia che conosce solo questa realtà non so come la prenderà quel giorno che dovrà lasciare nonni e amici.”

Il progetto case è anche la nascita di nuovi rapporti e relazioni, FrancescaProgetto Case Sassa: “Ci hanno consegnato le chiavi di questo appartamento nel C.A.S.E. di Sassa NSI il 30 ottobre 2009. Michele, 6 anni, aveva 39 di febbre e Alberto, 4, stava per ammalarsi anche lui. Dopo 5 traslochi in 6 mesi, vestiti piegati in una valigia aperta che fungeva da armadio e convivenze forzate varie, ci sembrava la felicità più assoluta, io e Marco toccavamo il cielo con un dito. Casa nostra in centro era da abbattere, immaginavamo tempi molto lunghi. Appena varcata la soglia di questo appartamento ho sentito come se qualcosa di invisibile mi afferrasse le caviglie per non entrare. L’ho odiato da subito questo piccolo appartamento, dopo averlo sognato per mesi dopo quella notte meledetta. Era l’unico modo per poter rientrare a L’Aquila per noi. Detestavo tutto, la puzza di legno che mi gonfiava la lingua i primi giorni, il finto parquet pure nel bagno e le mattonelle grigio topo come rivestimento, le piastre anziché il fuoco per cucinare… Ma dovevo stare zitta e fare finta di essere contenta perché vedevo i miei figli finalmente sereni, dopo sei mesi di sballottamenti a destra e a sinistra. Non era casa mia, non era il luogo dove io e mio marito avevamo deciso di far crescere i nostri figli, nel deserto più totale. Comunque, da quella mattina sono passati quasi sette anni e abbiamo trovato qui in questa piastra un ambiente davvero sereno. Tante le famiglie con bambini come noi, tante brave persone con le quali abbiamo condiviso ricordi della vita di prima, lacrime per chi non c’era più, ci siamo stretti, ci siamo fatti forza in giorni difficili a causa del lavoro perso, ci siamo sorretti a vicenda. Le case che ci ospitano da allora, forse le più spartane, quelle con i ballatoi in comune e senza balconi, si sono rivelate alla lunga quelle costruite meglio. Mai avuto problemi di alcun genere, dal riscaldamento a perdite d’acqua o cose simili che man mano che il tempo passava sentivamo che accadevano negli altri insediamenti. I figli sono cresciuti tra questi pochi 64.5 mq e ora sembrano elefanti coi loro piedoni lunghi in questi spazi tanto risicati. Loro hanno giocato a pallone in tutte le lingue. I loro amici si chiamano Joey, Samir, Aryan, Slavick, Daniel, Valerio, un gioioso miscuglio di età e parole, condito da un solo pallone. Nel corso degli anni tanti amici sono rientrati nelle loro case e al cambio, onestamente, ci abbiamo perso alla grande. Tanta maleducazione, tanta arroganza, tanto menefreghismo che tra noi dell’insediamento primario non c’era mai stato. Ora stiamo finalmente per andare via da qui. Il nostro palazzo in centro è stato demolito e ricostruito e a breve, sottoservizi permettendo, dovremmo rientrare. Se guardo indietro vedo sette anni complicati, tormentati, non sereni, ma non da buttare via perché mi hanno dato l’opportunità di conoscere tante persone che sono diventate amiche. L’unico rimpianto è che mi ritrovo i figli cresciuti tutto d’un botto, distolta dai pensieri amari di questi anni. Per il resto, posso dire di aver vissuto in questo appartamentino del c.a.s.e. di Sassa NSI in maniera più che dignitosa e senza grossi problemi di sorta. Senza, non avrei potuto tornare all’Aquila”.

progetto case - bazzano

Ad Assergi invece, nel progetto case ai piedi del Gran Sasso a 1100 metri di altitudine, si vive “in isolamento”come ci racconta Lella. “L’abitazione in cui vivo non ha subito deterioramenti importanti: solo alcuni esterni, dovuti alla mancata manutenzione da parte del comune, ma che al momento non sono gravissimi. Di sicuro mi sento più povera di prima, anche perché prima vivevo e lavoravo in centro, ora, solo di benzina per 2 ci costa un patrimonio! E per fare la spesa devo fare i chilometri. Tutto ciò in 7 anni si ripercuote molto negativamente sul bilancio familiare (per giunta sono pure disoccupata da tre anni!) Stanca dell’isolamento, stanca di svegliarmi la mattina e sapere di dover fare i conti con un’efficienza amministrativa che di tutto si è occupata finora, tranne che di sostenere la sua comunità, per la maggior parte in stato di grande sofferenza. Insomma, si ha un po’ la sensazione di vivere una vita non vissuta: ci si lascia vivere”. Lella come molte altre persone attende la fine dei lavori di ricostruzione della sua  abitazione nel centro storico dell’Aquila. Sul potenziale abbattimento del progetto Case dice: “Probabilmente, una parte, piuttosto che ripararla conviene abbatterla, ma la restante (parlo delle palazzine migliori) va valorizzata, giustamente mantenuta e destinata ad usi intelligenti considerarle un’opportunità”

progetto case - bazzano

I NUMERI:  19 insediamenti, costruiti nell’immediato post sisma,  costati oltre 700 milioni di euro, costituiti da 4.300 alloggi  e  1200 moduli abitativi provvisori (map). In queste settimane si discute in consiglio comunale del futuro delle abitazioni post sisma e sulla proposta del “Piano di abbattimento complessi Case e Map”, presentata dal consigliere Stefano Palumbo (capogruppo Pd).

Intanto 138 famiglie lasceranno prossimamente gli alloggi dei Progetti Case di Cese di Preturo, Coppito 3, Collebrincioni e Sassa. Dopo il crollo di un balcone a Cese , il Comune ha preso la decisione di sgomberare altri 138 appartamenti localizzati nelle piastre costruite dalla ditta Iter: su questa azienda, infatti, si sono concentrati i controlli e, a seguito di analisi termografiche, è stato dimostrato che presentatno difetti costruttivi. Ma non si parla solo di crolli: entra nel pieno del dibattito anche la questione legata ai consumi. (Guido Liris: ‘bollette fuorilegge’)

A sette anni dal terremoto sono 8.351  le persone ospitate in alloggi del Progetto CASE e nei MAP. In particolare i contratti attivi per le Case sono 3.702, quelli dei Map 965. Ad oggi le case libere sono 264, 45 i Map. La maggior parte di queste ha ottenuto un appartamento in base ai criteri dell’assistenza alla popolazione (cioè ha ancora l’abitazione inagibile dal 2009), mentre circa un terzo degli inquilini è composto da categorie rientrate con altri requisiti (fragilità sociali di vario genere, ex inquilini Ater, nuove coppie, famiglie costituitesi dopo il terremoto con eventuali figli, società sportive, associazioni sociali e di volontariato) grazie alle norme messe in campo dall’amministrazione comunale negli ultimi anni. Dal 31 marzo 2015 non ci sono altre forme assistenziali tipo fondi immobiliari, autonoma sistemazione e affitti concordati. Una decina di giorni fa l’ufficio dell’assistenza alla popolazione ha raggiunto il traguardo del recupero di circa 2 milioni di euro di contributi non dovuti per l’autonoma sistemazione (Cas). Si tratta di persone alle quali per dolo o in buona fede il Cas non spettava. Il rientro della cospicua somma è stato possibile riesaminando ogni posizione dal maggio 2009. Ci sono ancora 17 Musp (moduli ad uso scolastico provvisorio) che ospitano circa 6 mila alunni. L’Aquila ha oggi 70mila abitanti e un patrimonio immobiliare in grado di ospitarne 150mila. Serve, dunque, tenersi tutti gli alloggi costruiti nel post-terremoto?

 

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