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Da Sangiovanni ad Elisa, il coraggio di fermarsi e il valore della salute mentale

"A volte bisogna avere il coraggio di fermarsi". Sangiovanni, Elisa, Levante, Ghemon, Berrettini. La lunga lista di artisti e sportivi che hanno spinto il tasto 'Stop'. Perché la società corre, ma bisogna iniziare ad ascoltare quello che ci portiamo dentro

“A volte bisogna avere il coraggio di fermarsi”. Sangiovanni, Elisa e ancora Ghemon, Syria, Levante, Berrettini… Un elenco recente di artisti e sportivi che hanno scelto di premere il tasto stop. Stress? Pressione? Malessere? Angoscia? Depressione?
Possono essere molteplici le cause alla base della loro decisione. Una scelta che arriva quando le cose fuori funzionano, ma dentro no. “È il vuoto che si percepisce a spaventare, una sofferenza che va accolta e trasformata, a tutela della propria salute mentale. L’intervista all’esperta.

Non solo Sangiovanni. Ha iniziato Elisa, qualche mese fa, annunciando di fermarsi per due anni. “Sicuramente non mi sento di dire che vorrei abbandonare quanto fatto sino ad ora con la musica. È prematuro dire cosa sarà il futuro, ma ho dato tutto“. Dopo Sanremo, poi, è stata la volta di un altro artista, Sangiovanni: “A volte bisogna avere il coraggio di fermarsi e sono qui per condividere con voi che ho deciso di farlo”.
Due stop che hanno fatto rumore, perché quando a stridere sono i freni di personalità note nel mondo dello spettacolo, l’eco è più potente.
Le parole di questi artisti sono state seguite a stretto giro da quelle di Ghemon, che, proprio in riferimento alle recenti dichiarazioni di Sangiovanni, ha puntato il dito sull’attuale industria musicale che “promuove un modo di pensare e d’agire inquinato dal culto dei numeri e dei sold out, che sta determinando più danni di quelli che il pubblico può vedere”O Levante che – nel documentario “Levante Ventitré” – racconta retroscena di vita e carriera, spiegando “Sono sprofondata e ho chiesto aiuto per tornare sul palco”, facendo riferimento alla depressione post partum che ha attraversato.

La necessità di fermarsi chiama in causa una diade, cioè due elementi ben precisi: lo zero e il vortice.
“Partiamo dalla psicologia del vuoto. I pazienti che scelgono l’analisi si stanno interfacciando con un vuoto. Si può parlare anche di clinica del vuoto, facendo riferimento a tutte quelle sintomatologie che oggi, purtroppo, sono sempre più comuni: dalla depressione ad anoressia e bulimia, dall’angoscia agli attacchi di panico. Si tratta di segnali che la psiche utilizza per farci capire che qualcosa non va. Andando ad analizzare, quindi, questi vuoti che si ritrovano a vivere personaggi noti è utile fare riferimento all’immagine doppia dello zero e del vortice, poiché chi avverte un vuoto può facilmente entrare in un vortice, tra depressione, dipendenza e così via“, spiega la psicologa e psicoterapeuta aquilana Chiara Gioia.

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Lo zero

“Siamo abituati a pensare allo zero come al numero naturale. Per l’artista Jasper Johns, invece, il numero che indica per antonomasia assenza di valore, è vitalità e brilla in una sua opera attraverso vivide pennellate. A suo avviso, dunque, il numero in sé non rappresentava assenza di valori, bensì ricchezza, in quanto indice di un processo con un inizio e un compimento. Lo zero può, quindi, assumere un significato importante, si pensi al modello fisico – matematico. Tuttavia, come si lega tutto ciò alla psicologia? Il legame nasce nel momento in cui lo zero inizia ad evocare concetti che ci spaventano. Pensando, ad esempio, alla società di oggigiorno, si tende a calcolare il valore di una persona in base alla sua ricchezza materiale, anche in termini di denaro. In questo caso, tanti zeri rappresentano ricchezza, pochi zeri indicano povertà. Ma lo zero è anche un cerchio, quindi un percorso da compiere: una persona che sceglie di fermarsi, forse, non ha compiuto questo percorso o, probabilmente, lo ha fatto in maniera sbrigativa, senza saper stare all’interno di un’evoluzione. Cioè, dal punto in cui lo zero inizia a quello in cui termina.
Accade, ad esempio, che soprattutto i giovani brucino le tappe. Pensiamo allo stesso Sangiovanni, che ha solo 21 anni. Si può ipotizzare che il successo in cui si è ritrovato lo abbia proiettato in un vortice, in cui non ha avuto il tempo di elaborare tutto ciò che accadeva intorno e dentro di lui. Quindi sono arrivati contenuti emotivi nuovi, i quali sono andati ad aggiungersi a contenuti che il giovane già si portava dietro. Risultato? Ora Sangiovanni è un personaggio riconosciuto e amato: fuori non è uno zero, ma forse dentro si sente esattamente questo“.

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Il vuoto

Quando si è di fronte ad un vuoto, si può decidere cosa farne.
Chiara Gioia illustra il concetto proponendo l’esempio di una qualsiasi relazione: “Quando si dice ‘Ho bisogno di stare con una persona, perché altrimenti avverto un vuoto’, si sbaglia. L’altra persona in una relazione non deve occupare un vuoto, altrimenti l’altro non sarà mai visto come individualità, ma come uno strumento per occupare quella stanza vuota che io non sono in grado di sostenere. Al contrario, quell’angoscia va sperimentata. Faccio un ulteriore esempio: immaginiamo una casa con diverse stanze. Posso arredarle tutte e lasciarne una vuota, poiché magari nell’immediato non ho idea di cosa farne. Se sono in grado, quindi, di lasciare questa stanza vuota, saprò comprenderne il senso profondo e, nel tempo, capirò che uso farne. Psicologicamente parlando, il vuoto ci porta a conoscere i meandri più profondi della nostra psiche. Nel relazionarmi con qualcuno, quindi, quella persona deve essere quel qualcuno che sappia guardare quel vuoto con me, non occuparlo”.

Il vortice

Fermarsi è, allora, un atto di coraggio ed è un viaggio in cui si lavora su sé stessi per prendersi cura della propria salute mentale.
“Dal buio e dal vuoto accade che ci si senta incastrati in un vortice da cui sembra impossibile uscire. Anche in questo caso, tuttavia, bisogna cercare di accogliere i segnali che arrivano dalla nostra psiche. Il vortice, nello specifico, può anche essere letto come il ponte che ci consente di scoprire ed esplorare altri mondi intrapsichici, vale a dire altre parti di noi. Il vortice è sì sofferenza, ma l’individuo può scegliere cosa fare di questa sofferenza, esattamente come per il vuoto. Come tramutarla, quindi, in stimoli positivi. Per questo, decidere di fermarsi vuol dire innanzitutto prendere coscienza che qualcosa non va – conclude chiara Gioia – Ci si rende conto che il problema non è fuori, ma dentro: fermandomi avvio il mio processo di individuazione. Nei giovanissimi di oggi, purtroppo, capita che fermarsi significhi anche dover fare i conti con i propri genitori, i quali possono nutrire pregiudizi sulla psicoterapia. Paradossalmente, invece, i personaggi noti si ritrovano a non rispondere a terze persone o a un pubblico – almeno non più direttamente, nell’ambito di una scelta che riguarda la loro sfera privata – ma a dover fare i conti esclusivamente con sé stessi. Si sono dati totalmente al collettivo, mettendo da parte il loro processo di individuazione. Nel caso specifico dei cantanti, essi proiettano emozioni attraverso l’arte: ma a loro cosa resta?“.