L'approfondimento

Università, il peso delle aspettative, del successo e dell’apparenza: usciamo dal condizionamento

Finire gli studi all'Università in corso, avere voti alti, iniziare presto a lavorare. La vita come una gara: perché? Perché sempre più universitari scelgono il gesto estremo?

Il successo, un mito trasmesso nel tempo. Quasi una favoletta, detta e ridetta, su come dovrebbe andare il nostro percorso di vita.
L’università e la laurea con il massimo dei voti, un ottimo lavoro, un’automobile griffata… Elementi comunemente considerati alla base di una persona “di successo”. Per quale motivo?
Soprattutto, perché la società riesce a condizionare tanto i giovani fragili, che arrivano addirittura ad un tragico gesto estremo quando si vedono e si sentono diversi dalle aspettative del mondo intorno a loro?

Finire gli studi all’Università nei tempi previsti, ottenere voti alti, avviarsi il prima possibile ad una carriera lavorativa. Un vero e proprio sistema. Ma pensiamo mai a chi resta indietro?
Pensiamo a quanto un giovane, alle prese con difficoltà nel proprio percorso personale, possa provare disagio di fronte a una domanda indiscreta di un familiare, se non addirittura di fronte a pressioni in merito all’andamento dei suoi studi? I disagi nascono dallo scontro con le aspettative, spesso portate proprio dal sistema.
Un sistema fatto di visioni antiche, legate al concetto di famiglia, università, carriera, a quella normalità comunemente conosciuta e accettata, ricercata, seguita. E se per qualsiasi ragione si uscisse dal sistema? 
Si sente parlare, ormai purtroppo spesso, di studenti universitari che sono in difficoltà nel proprio percorso di studi. Problemi tenuti nascosti, i loro, non raccontati a nessuno, “ignorati” nella quotidianità che si porta avanti fingendo che tutto vada bene. Nella paura di deludere i propri familiari, i propri amici, nella sensazione di “vergogna” per non essere dentro quel sistema: quello scandito dai tempi scolastici e societari. Ma l’Università non può e non deve diventare una gara. Siamo tornati ad affrontare l’argomento con la psicologa e psicoterapeuta Chiara Gioia, con la quale avevamo già approfondito la tematica relativa al tempo, alla sua interpretazione psicologica e ai rischi a cui può condurre non narrare il proprio disagio, soprattutto legato alle difficoltà vissute all’Università.
Questa volta ci siamo concentrati sul tema del successo, vero o presunto tale.

leggi anche
tempo
L'approfondimento
Università, lavoro, relazioni: prendiamoci il nostro tempo senza sentirci sbagliati

“Capita spesso – illustra Chiara Gioia – che la percezione che questi giovani hanno di sé stessi non coincida con l’immagine che gli altri hanno di loro. C’è quindi un non riconoscimento tra l’immagine psichica e quello che si è concretamente. Logico che ogni persona dovrebbe lavorare su sé stessa per trovare la propria individualità, ma farlo non è sempre semplice. E per questo può essere prezioso il setting, la terapia”.

IL SUCCESSO – “Da cosa è dato il successo? – continua la psicologa e psicoterapeuta – Concretamente e comunemente, da elementi come soldi, fama, realizzazione professionale e personale e, ovviamente, da una sorta di equilibrio. Ma il mito del successo, in realtà, ha origini antichissime. Hillman ha scritto un libro molto interessante da questo punto di vista, ‘Le storie che curano’: nel testo spiega che, proprio nella mitologia greca, ci sono storie che curano poiché hanno la capacità di far ritrovare quel senso perduto, perso da un individuo che valuta il gesto estremo. Da chi, cioè, si fa trascinare dall’immaginario collettivo di ciò che dovrebbe essere. Ma chi devono curare queste storie? Non il paziente nel vero senso della parola, bensì la storia che questi racconta su se stesso.

Quando si parla di successo e si scava nella mitologia greca, si ricorre al Mito di Agamennone.
Due i momenti chiave nella sua vita: il sacrificio di una delle sue figlie, Ifigenia, pur di salpare a Troia alla guida dei suoi uomini e il momento in cui fa ritorno a casa, anni dopo e a guerra vinta, desideroso di essere festeggiato, celebrato ed onorato dal suo popolo. È in questo momento che, forte del suo successo, sottovaluta l’avvertimento di Cassandra – profetessa di sciagure, tornata da Troia come sua concubina – e viene ucciso dalla sua stessa moglie, Clitemnestra, e dal suo amante. La metafora dell’eccessiva fiducia in sé stessi che conduce alla sensazione di onnipotenza e che rischia di esporre l’uomo, poi, al violento e improvviso contraccolpo della caduta.
Perché non solo Agamennone è caduto dalla torre del successo. 

La fiducia in sé stessi porta con sé, inevitabilmente, la propensione al rischio. Hubris rischia spesso di essere inflazionata, un esempio ne è Agamennone, colui che rappresenta simbolicamente tutti noi: poiché già dal momento stesso in cui io intraprendo un percorso universitario o un lavoro servono determinazione, passione e una certa forza caratteriale. Del resto, ci misuriamo con la fiducia che abbiamo in noi stessi e più riusciamo a definirla più diventiamo consapevoli delle nostre capacità. Oltre a queste caratteristiche, però, ci sono tante variabili: poiché non è possibile tenere tutto sotto controllo. Quindi, quando devo sostenere un esame o un colloquio di lavoro sicuramente dovrò avere una percezione della mia preparazione effettiva, ma ci sono comunque delle variabili che possono subentrare all’improvviso e deviare il corso degli eventi, ovvero ciò che si era immaginato accadesse”.

“Noi dobbiamo essere in grado di accettare quella variabile, come evoluzione di ciò che stiamo facendo. Possiamo raggiungere il successo in un tempo diverso rispetto a quello previsto“.

LA FOLLIA E IL CAOS – «Siate affamati, siate folli, perché solo chi è abbastanza folle da poter cambiare il mondo, lo cambia davvero», diceva Steve Jobs in un celebre discorso ai giovani dell’Università di Stanford.
E proprio il termine folli racchiude l’attitudine al rischio. Un rischio che, tuttavia, non deve condurre ad esagerazioni. La storia imprenditoriale è ricca di esempi di quella che è stata definita “tracotanza imprenditoriale”: vale a dire un “eccesso di fiducia in sé stessi, un orgoglio smisurato e un generale senso di onnipotenza. È importante sottolineare che anche la fiducia in sé stessi deve essere equilibrata: la psiche è un palcoscenico di un teatro, ma non ci sono primi e secondi attori, tutti i personaggi devono essere sullo stesso piano ed essere in grado di dialogare tra di loro. Perché è importante la psicoanalisi? Perché serve ad aiutare il paziente, dando un ordine narrativo a ciò che ha dentro. Se un individuo molla la presa o arriva ad un gesto estremo è perché non ha avuto capacità o opportunità narrativa. Nella psiche il terapeuta lavora per portare ordine ed equilibrio, non basta né serve l’interpretazione. Il caos di per sé è certamente positivo, ma va ordinato attraverso la comunicazione, la narrazione, l’atto di vedere in trasparenza, altrimenti vi si resta affogati“.

“Ogni individuo può tracciare i confini, mescolare carte e fare distinzioni. Ogni psicoterapia è una doppia descrizione e narrazione: c’è la storia che il paziente porta in seduta e c’è quella che il terapeuta restituisce al paziente. È vero che ogni individuo inizia un percorso di analisi portando con sé un sintomo, ma è altrettanto vero che ciò che il terapeuta ascolta non è solo il dolore del suo mondo intrapsichico, ma anche la sua narrazione. Narrazione con una propria identità, infatti lo stile e il modo che il paziente ha di raccontarsi sono importanti quanto i sintomi. L’aggiunta di senso è un’aggiunta di significato e, altre volte, l’inserimento di un’emozione ‘appropriata’ a ciò che l’altro sta vivendo.
Questo gioco fra contenitore e contenuto, fra chi vive in prima persona l’esperienza e chi contribuisce alla sua lettura, è qualcosa che ognuno di noi ha sperimentato.
Un’esperienza totalmente incontenibile e non contenuta si riduce ad un trauma: un evento che vede vittime passive di una forza che non si riesce a controllare, gestire e comprendere. Nel setting si narra in primis di qualcosa che sfugge e che distanzia da quella condizione desiderata che si definisce normalità. Sia che la nostra storia si scontri sia che si amalgami con quella dell’altro, quello che avviene è che due descrizioni si incontrano e che su di esse inizia un confronto che ha lo scopo di curare una condizione e di guarirla, correggendo e curando la descrizione che ne viene fatta.
Hillman a questo punto, sostiene che ri-racconta e ri-immagina in modo completamente diverso non tanto ciò che al paziente è successo, quanto ciò che quell’esperienza può significare qui e ora per la persona”.

università

Il potere della terapia, quindi, si accosta all’importanza della narrazione.La narrazione diventa tossica quando si basa esclusivamente sull’apparire. Viviamo in una società in cui c’è il bisogno di anticipare, anticipare e anticipare. Pensiamo alla primina a scuola. È giusto adottarla?
Il bambino ha un habitus, quello di essere bambino appunto, cioè ha necessità psichica, sociale, emotiva e cognitiva di giocare fino a un certo punto e, poi, di acquisire determinate conoscenze. Ma è fondamentale non rubare tempo all’infanzia. Senza per forza correre e accelerare. Tutto per stare dentro questo sistema e questo tempo numerico.
“Precisiamo –
continua Chiara Gioia – che il tempo numerico serve, ma deve essere messo in linea con il tempo psichico di ogni individuo. La stessa competizione può essere positiva, ma dipende da come viene tradotta e quindi vissuta. Tanti ragazzi oggi continuano ad offuscare il riconoscimento delle proprie capacità, poiché a volte è molto più comodo fermarsi alla superficie, senza vedere cosa c’è sotto. Così facendo, però, come possono essere stimolati a superare le difficoltà? Difficoltà che possono essere legate alla scelta di un percorso di studi all’Università che, magari, non fa per loro. Ancora, come fanno a capire che queste difficoltà si possono raccontare senza timore? Senza paura di essere giudicati?
Se questi giovani vivono nel caos non affrontato poi arrivano le conseguenze: purtroppo la società non funziona, perché ci si accontenta dell’apparenza“.

Accade spesso che si enfatizzino notizie di lauree record all’Università. La comunicazione come dovrebbe comportarsi? “La comunicazione riporta i fatti. Se determinate notizie portano ad elogiare alcuni giovani che si sono distinti è discrezione della testata e dei giornalisti decidere i contenuti da pubblicare e come pubblicarli. 
Si tenga in considerazione, comunque, che la sofferenza di un individuo è anche il riflesso di una sofferenza collettiva. Il giornalista deve sempre ricordare che ha una responsabilità, quindi è importante che si ponga determinati interrogativi. Vedere in trasparenza dovrebbe essere alla base di qualsiasi professione che ha contatti e/o risvolti con e su altri esseri umani, perché una psiche fragile può crollare facilmente. Quindi, prima di pensare al 30 universitario o alla necessità di laurearsi in corso, pensiamo anche e soprattutto al nostro equilibrio psichico: se c’è quello può arrivare tutto il resto, ma se manca è difficile andare avanti. Rimuovere disagi non vuol dire superarli, ciò che mettiamo da parte senza affrontarlo prima o poi riemerge”.

leggi anche
provincia l'aquila
Politica
Province, il ritorno: presentato disegno di legge per il ripristino dell’elezione diretta
campomizzi
Progetti
Università Coppito, 1 milione e mezzo per sala studi, magazzini e archivi
laurea
Il messaggio
Suicidi all’Università, parla Matteo: “8 anni per la triennale, parlate del vostro disagio”
malato
Cronaca
Bugie sugli esami, studente si toglie la vita
pasquale ritenuto
La storia
Pasquale Ritenuto cieco dalla nascita, laurea all’Università dell’Aquila con tesi in braille