Cronaca

Don Paolo Piccoli, ricomincia il processo a Venezia

A febbraio a Venezia la prima udienza del processo a carico di don Paolo Piccoli. A marzo la Cassazione aveva annullato la condanna a 21 anni e mezzo per l'omicidio di un altro sacerdote.

Si terrà il 21 febbraio, presso la Corte d’Appello d’Assise di Venezia, la prima udienza del processo a carico di don Paolo Piccoli, il sacerdote veneto incardinato nell’Aquilano, la cui condanna a 21 anni e mezzo per omicidio, pronunciata dalla Corte d’Appello d’Assise di Trieste, era stata annullata dalla Suprema Corte di Cassazione il 17 marzo scorso.

La sentenza di Trieste aveva confermato la condanna già inflitta a don Piccoli in primo grado a dicembre 2019. Per la Suprema Corte di Cassazione invece il processo adesso è tutto da rifare. A difendere il sacerdote anche a Venezia ci sarà l’avvocato Vincenzo Calderoni, del foro dell’Aquila.

Don Paolo Piccoli, canonico militare e cappellano sulle navi da crociera, è molto noto in città dove aveva prestato servizio nelle parrocchie di Rocca di Cambio e Pizzoli. Era stato condannato per l’omicidio di don Giuseppe Rocco, monsignore triestino all’epoca 92enne, il cui corpo fu rinvenuto il 25 aprile 2014 all’interno della Casa del Clero di Trieste dove entrambi i presuli abitavano.

L’avvocato Calderoni, dopo la condanna in secondo grado, aveva proposto il ricorso  – pienamente accolto dalla Suprema Corte di Cassazione – riguardante alcuni aspetti del processo ed in particolare, chiedeva di applicare un principio di diritto in riferimento alla ‘prova tecnica’ in conformità con alcune pronunce della Cedu (Corte Europea dei diritti dell’uomo).  “La ragione per cui il processo è da rifare sta nel fatto che è stato violato il diritto alla difesa dell’imputato, ed in particolare il diritto cosiddetto delle ‘armi pari’, il quale vuole che nella prova tecnica siano sempre ascoltati i consulenti della difesa. Quest’ultimo principio contrastava con un principio in auge presso la Suprema Corte fino allo scorso anno quando è stato invece recepito il principio citato”, spiegato l’avvocato Vincenzo Calderoni, sentito dal Capoluogo.

Nel nuovo processo quindi bisognerà accertare se don Rocco è stato davvero ucciso o se invece deceduto per cause naturali o se la rottura dell’osso ioide che ha portato don Piccoli sotto processo, potrebbe essere avvenuta durante le operazioni autoptiche. Non si può escludere inoltre che sia avvenuta in occasione dello spostamento del cadavere da parte dell’impresa di pompe funebri, oppure – contestualmente all’autopsia – durante le operazioni di estrazione del blocco laringo-faringeo. “Prima dell’autopsia – chiarisce il legale – non era stata fatta una tac per fotografare la situazione. Così la difesa – che a Trieste era rappresentata dagli avvocati Vincenzo Calderoni e Stefano Cesco del foro di Pordenone ndr – non aveva potuto far valere le conclusioni dei propri consulenti tecnici che divergevano da quelle dell’accusa su aspetti che la stessa Cassazione ha ritenuto di fondamentale importanza. Per la Suprema Corte ancor prima di procedere all’individuazione dell’autore del delitto, del movente, dell’origine delle macchie ematiche rinvenute sul letto, risulta ineludibile (come si legge anche nella sentenza) ricostruire le cause della morte dell’anziano“.

 

Don Paolo Piccoli: “la vita è sacra, non ho ammazzato nessuno”

All’inizio, dopo il ritrovamento del corpo senza vita di don Rocco, si pensò a una morte naturale, data anche l’età avanzata della vittima; l’accusa di omicidio arrivò diverse settimane dopo, a seguito di autopsia. A fare il ritrovamento, l’assistente di don Rocco, Eleonora Laura Di Bitonto che tentò di rianimare l’anziano, come registrato anche dalla telefonata fatta al 118. Sempre la perpetua, sia prima che durante le fasi del processo, fu l’unica grande accusatrice di Don Piccoli, unica destinataria, tra l’altro, della cospicua eredità di don Rocco che – stando a quanto riferito dalla stessa – avrebbe poi diviso con i nipoti del monsignore.

A don Piccoli venne contestato di aver ucciso don Rocco per impossessarsi di alcuni monili che il sacerdote aveva nella stanza e soprattutto della collanina che l’anziano prelato indossava sempre; una tesi più volte smentita dalla difesa durante tutte le fasi di dibattimento. La collanina – come accertato di nessun valore commerciale – di fatto non è mai stata trovata, nonostante le diverse perquisizioni nella stanza dell’imputato che alloggiava come don Rocco all’interno della Casa del Clero, “se non al collo della perpetua“, come ribadito più volte dalla difesa. Don Paolo Piccoli, si è sempre dichiarato innocente: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore. Lui ha scelto per me, questa è la mia croce, la porterò è continuerò il mio cammino di purificazione”, aveva detto il monsignore nell’intervista rilasciata al Capoluogo.it, all’indomani della pesante sentenza di primo grado. Il caso di don Piccoli ha suscitato un notevole clamore mediatico, il processo a Trieste è stato seguito e mandato in onda dalla trasmissione “Un giorno in pretura” e se ne è occupata anche la trasmissione condotta da Federica Sciarelli, “Chi l’ha Visto”.

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Don Paolo Piccoli, tutto da rifare: annullata la condanna a 21 anni e mezzo

 

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