Cronaca

Don Paolo Piccoli, decide la Cassazione

Processo a don Paolo Piccoli: la parola alla Cassazione. Il sacerdote veneto incardinato nell'Aquilano è stato condannato a 21 anni per l'omicidio di don Giuseppe Rocco.

Si dicuterà davanti la Corte di Cassazione domani, venerdì 17 marzo, il processo a carico di don Paolo Piccoli, sacerdote veneto incardinato nell’Aquilano, condannato a 21 anni e mezzo di reclusione dalla Corte d’Assise e d’Appello di Trieste per l’omicidio del monsignore 92enne don Giuseppe Rocco, trovato morto nella sua stanza della Casa del Clero il 25 aprile 2014.

La Cassazione dovrà stabilire se sono fondate le eccezioni mosse dalla difesa di don Paolo Piccoli, rappresentata dagli avvocati Vincenzo Calderoni, del foro dell’Aquila e dall’avvocato Andrea Vernazza del foro di Genova. Il ricorso proposto dai due legali riguarda alcuni aspetti del processo ed in particolare, chiede di applicare un principio di diritto in riferimento alla ‘prova tecnica’ in conformità con alcune recentissime pronunce di altre sezioni della stessa Corte di Cassazione che ha recepito quel medesimo principio di diritto adottato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Il caso ha suscitato un grande clamore mediatico: durante le udienze era presente la troupe del programma “Un giorno in pretura”  – che ha mandato in onda il processo l’1 ottobre scorso (L’ultimo sacramento ndr) e se ne è occupata anche la trasmissione “Chi l’ha Visto”.

Don Paolo Piccoli, Corte d’Appello di Trieste conferma la condanna

Don Paolo Piccoli all’epoca dei fatti viveva all’interno della Casa del Clero di Trieste, dove alloggiava anche la vittima. Molto conosciuto in città, grande conoscitore della liturgia, appassionato di paramenti sacri e studioso di Teologia, prima di diventare cappellano presso le navi da crociera, aveva prestato servizio come parroco a Rocca di Cambio e a Pizzoli. In entrambe le parrocchie – a sue spese – fece diversi lavori di ammodernamento delle canoniche e delle chiese. Fin dall’inizio delle indagini si è sempre dichiarato innocente: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore. Lui ha scelto per me, questa è la mia croce, la porterò e continuerò il mio cammino di purificazione”, aveva detto nell’intervista rilasciata al Capoluogo, all’indomani della sentenza di primo grado il 19 dicembre 2019. (Al processo davanti la Corte d’Assise e in Appello don Piccoli è stato difeso dagli avvocati Stefano Cesco, del foro di Pordenone e Vincenzo Calderoni). “Io non ho ammazzato nessuno, ho sempre rispettato l’abito che porto, soprattutto non avevo un motivo che fosse uno per ammazzare don Rocco”, aveva detto ancora nell’intervista.

Processo don Piccoli, il giorno della sentenza

Don Giuseppe Rocco venne ritrovato morto il 25 aprile 2014 al lato del letto della sua stanza nella Casa del Clero, dalla sua storica perpetua Eleonora Laura Di Bitonto, alle prime ore del mattino. La perpetua tentò di rianimare l’anziano prelato come attestato dalle registrazioni della telefonata al 118.
In un primo momento si parlò di morte naturale, l’accusa di omicidio dal momento è subentrata diversi giorni dopo il decesso dal momento che l’autopsia avrebbe evidenziato i chiari sintomi del soffocamento meccanico. Grande accusatrice di don Paolo è stata proprio la perpetua di don Rocco, beneficiaria, peraltro, della sua eredità consistente in una discreta somma di denaro e alcune proprietà immobiliari che avrebbe poi diviso con i nipoti dell’anziano prelato. Per l’avvocato Calderoni, La perpetua ha detto in sede processuale 7 bugie su 7 argomenti importanti: la collanina di Don Rocco, i soldi che avrebbe restituito al prete, la telefonata che avrebbe fatto la mattina del decesso e che invece non aveva mai fatto, la lettera anonima che aveva inviato a don Piccoli, la dichiarazione rilasciata e secondo la quale avrebbe visto delle gocce di sangue sul letto in una stanza buia, l’aver negato di aver tentato di rianimare l’anziano prelato”.

(monsignor Giuseppe Rocco)

Perchè i sospetti sono ricaduti su don Piccoli?

Al sacerdote venne contestato di aver ucciso don Rocco per impossessarsi soprattutto della collanina (di nessun valore commerciale) che l’anziano prelato indossava sempre; una tesi più volte smentita dalla difesa durante tutte le fasi di dibattimento. La collanina di fatto non è mai stata trovata, nonostante le diverse perquisizioni nella stanza dell’imputato, “se non al collo della perpetua”, come ribadito più volte dalla difesa. Difatti l’avvocato Vincenzo Calderoni, durante l’udienza del 19 novembre 2019 ha sottolineato come una collanina identica a quella asseritamente trafugata a don Rocco fosse stata notata da più testimoni al collo della Di BitontoStando sempre all’accusa una prova schiacciante a carico di don Piccoli sarebbero delle minuscole tracce ematiche (con il suo dna) trovate sulle lenzuola della vittima. Tracce che sarebbero state viste anche dalla perpetua, la signora Di Bitonto come sa sua testimonianza; la difesa, durante la fase dibattimentale, ha sottolineato come fosse impossibile notarle, dal momento che quando è stato rinvenuto don Rocco la stanza era buia. La presenza delle tracce ematiche afferibili a don Paolo è stata spiegata nel corso del processo: il giorno stesso della morte del monsignore, don Piccoli si è inginocchiato a fianco del letto dove era stata composta la salma per somministrare l’estrema unzione e la presenza delle tracce a lui riconducibili è legata a una patologia di cui soffriva da tempo, che determinava la perdita di gocce di sangue, così come certificato dal medico che lo teneva in cura e riportato anche da diversi testimoni, amici, conoscenti, parenti dell’imputato, ascoltati nelle fasi dibattimentali.

L’avvocato Vincenzo Calderoni ospite di Grandangolo, la trasmissione a cura del direttore del Capoluogo.it, David Filieri, prima della sentenza della Corte d’Assise.

Don Paolo Piccoli, il processo alle battute finali

Il giallo nel giallo: il cuscino scomparso

Durante le fasi del processo, è emerso anche il “giallo” del cuscino scomparso dalla stanza di don Rocco, presente nelle immagini scattate dai Carabinieri entrati nella stanza il 2 maggio del 2014 e svanito poi il 3 maggio durante ulteriori rilievi fotografici. Ad agosto in quella stanza entrarono anche i Ris per repertare tracce biologiche utili ai fini delle indagini e del cuscino non c’era traccia. I Carabinieri hanno effettuato i primi rilievi diversi giorni dopo la scomparsa, perché  – come già evidenziato in un primo momento – era stato constatato un decesso per cause naturali.

L’anticipazione del processo mandato in onda da “Un giorno in pretura” nella puntata dell’1 ottobre “L’ultimo sacramento”

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