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Dall’Afghanistan a L’Aquila, alla ricerca della felicità: la vita ricomincia da Mujib

Nel cuore della comunità dell'Afghanistan fuggita dagli orrori dei Talebani e arrivata a L'Aquila. L'ultimo nato si chiama Mujib. Parla il papà: "Una gioia che non si può spiegare".

L’AQUILA – Nel cuore della comunità dell’Afghanistan fuggita dagli orrori dei Talebani. L’ultimo nato si chiama Mujib: “Una gioia che non si può spiegare”.

“È una gioia troppo grande, una felicità immensa, come faccio a spiegare?“. Non è un problema di lingua, J. parla bene in italiano, nonostante sia arrivato dall’Afghanistan da pochi mesi, insieme ad altre tre famiglie che il sindaco Pierluigi Biondi ha affidato al dottor Luigi Giacco, che se ne prende cura dal punto di vista sanitario. Il problema, appunto, è che si tratta di una gioia che non si può spiegare a parole. Un po’ come quella vecchia pubblicità del whisky, “o ce l’hai o non ce l’hai”. Allora mi faccio raccontare della sua bella famiglia, ma anche qui la faccio più semplice di quello che è. “Vuoi sapere di quella grande o di quella che abbiamo qui, a L’Aquila?”. Quella “grande” comprende un fratello a Verona e i parenti ancora in Afghanistan, in quella “piccola” che ha trovato il suo rifugio a L’Aquila ci sono lo stesso J., 29 anni, sua moglie di 23, due figlie di 5 e 3 anni e poi Mujib, “l’aquilano”, l’ultimo nato. C’è però anche un bambino di 11 anni che scorrazza per casa: “È mio nipote, suo padre è rimasto in Afghanistan”.

Afghanistan, il corridoio disumanitario.

“Corridoio umanitario” lo abbiamo chiamato. In pratica significava che nel breve lasso di tempo in cui i Talebani avrebbero preso il controllo di tutte le infrastrutture, chi riusciva a salire sugli ultimi aerei in partenza poteva farlo. E così ha fatto anche J., con sua moglie e le due figlie, prima della nascita di Mujib. Così voleva fare anche suo fratello, ma non ha potuto: “Ha bambini in sedia a rotelle che non potevano salire sull’aereo, così è rimasto lì a proteggerli e mi ha affidato l’unico che poteva muoversi e prendere l’aereo con noi”. Lo dice come se fosse una cosa normale, nessuna incrinatura nella voce, nessun velo di tristezza. “Ognuno fa quello che deve” sembra voler spiegare con il suo atteggiamento sereno. Un’altra questione difficile da spiegare a chi non ha dovuto sgomitare all’aeroporto di Kabul per salvare il salvabile. Anche lì, “o ce l’hai o non ce l’hai”, il resto sono parole vuote.

primo volo rientro in italia Afghanistan

La fuga dall’Afghanistan.

“Lavoravo in settore gioielleria” spiega J. “Lavoravo anche con americani“. E qui mi anticipa su quella che sarebbe dovuta essere la domanda successiva: “Perché ha deciso di partire?”. Evidentemente è stata una questione di vita o di morte, J. è quello che viene definito in gergo obiettivo sensibile. I Talebani non avrebbero mai “perdonato” questo contatto con il mondo occidentale. Così sono andati in aeroporto: “Anche qui hanno fatto vedere in televisione le immagini di quello che stava succedendo. Noi eravamo lì in mezzo“.

Noi. J, sua moglie, le sue due figlie e un nipotino, affidatogli da un fratello che non poteva partire, perché non poteva lasciare alla mercé dei Talebani gli altri suoi figli bloccati su una maledetta sedia a rotelle. Lo ripeto, così, casomai ce ne fossimo già dimenticati.

“Abbiamo passato più di 24 ore in aeroporto, senza mangiare, ma alla fine siamo riusciti a partire”. Prima lo scalo in Uzbekistan, poi in Germania e infine in Italia, a Roma. Quindi il trasferimento a L’Aquila.

L’Aquila, la vita ricomincia da Mujib.

“A L’Aquila si sta bene, sono tutti gentili. Anche mia moglie è stata bene, accudita durante il parto. Non possiamo chiedere di più”. L’ospitalità aquilana, quindi, si è fatta riconoscere, ma c’è un concetto che nemmeno i Talebani posso estirpare dalla mente di un giovane come J.: futuro.

La prima cosa che J. vede nel suo futuro sono “documenti”. Altra questione solo in apparenza piuttosto banale. Poi, “voglio imparare bene l’italiano“. E su questo punto possiamo essere ottimisti, le potenzialità già sono tutte evidenti. Certo, poi come abbiamo visto, ti nasce un figlio al sicuro, tra le montagne abruzzesi, e quella gioia te la tieni dentro gli occhi: “Come faccio a spiegare?”. Non lo puoi fare nemmeno in lingua madre, ma con l’italiano comunque non ci sono problemi. Terzo, il lavoro. Con documenti a posto e l’italiano sicuro, il passo successivo è “avviare una nuova ditta”. Così, insieme alla sua famiglia “piccola” (piccola per modo di dire, sono comunque in cinque) la vita può riprendere. Direi che se l’è riconquistata sul campo.

“Ma non ha nostalgia dell’Afghanistan? Non vorrebbe tornare nel suo Paese?”. E qui ride, regolare. Ci ha provato per tutto il tempo a mantenere un certo contegno, nonostante l’assurdità di certe domande che solo a un europeo possono venire in mente, ma su questa non è riuscito a trattenersi. Si ricompone e con garbo risponde: “Se dovesse essere possibile, un giorno… magari…”. Ma quella risata amara per una domanda stupida dice di più. Racconta di un Paese senza speranza, abbandonato e tradito dagli stessi che a quelli come J. avevano assicurato una vita normale. E forse adesso J. è stanco di aspettare il prossimo Presidente occidentale che decide che in nome della democrazia bisogna ricacciare i Talebani sulle montagne. Tanto quelli poi tornano, tornano sempre. E allora sgomiti all’aeroporto di Kabul, attraversi mezza Europa e cerchi un altro posto da chiamare “casa”. Si fa quello che si deve fare.

Allora benvenuti in Italia, a L’Aquila. Che presto arrivino i documenti, un italiano più fluente, il lavoro regolare e la vita che cercate. Sono piccoli desideri che dovrebbero essere alla portata di tutti. Anche di chi ha figli in carrozzina e la sola scelta che ha è affidare l’unico che può muoversi liberamente al proprio fratello, affinché almeno lui abbia una speranza, lontano dall’Afghanistan. Ovunque sia quest’uomo, spero che sappia che suo figlio ha un nuovo cuginetto con cui giocare nella famiglia di J.. Si chiama Mujib “l’aquilano”. Se assomigliano ai genitori, come sicuramente sarà, prenderanno la vita a morsi e conquisteranno la loro fetta di felicità, in un modo o nell’altro. Può stare tranquillo.

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