La montagna e il fiume diventano tragedia

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Fotoracconto di Vincenzo Battista.

di Vincenzo Battista
Fotografia Vincenzo Battista

Anversa degli Abruzzi e Castrovalva. In trekking, sull’Argatone (m.2149), totem delle alte terre del Sagittario che D’Annunzio, nella tragedia “La fiaccola sotto il moggio” (scritta nel 1905), descrive quale responsabile delle sciagure a valle: “E il fiume che mugghia nelle gole. Si sciolgono le nevi ai monti, alla Terratta, all’Argatone e il Sagittario subito s’infuria“, trascinando nella geografia letteraria dannunziana, “nell’intimo” paesaggio dei miti, un fermo immagine, un fotogramma narrativo dove macigni, tronchi, capanne e pecore vengono portati dal fiume “che ha rapinato la montagna“, “rompe e schiuma“, scrive ancora D’Annunzio, con il suo sguardo, soggettivo, onirico, della natura catapultata che si fa appunto tragedia.

In cammino, davanti a noi, sui pascoli dell’Argatone, uno stazzo che sembra la Fortezza Bastiani del romanzo “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, un avamposto della montagna, dalle alte mura per chiudersi dentro la notte, con il gregge, e difendersi dagli orsi, dagli attacchi, come nel romanzo “nelle sterili attese, nella pigra abitudine, nel trascorrere del tempo. . . “, in questo microcosmo che “strega” i pastori in attesa delle incursioni.

Infine arrivano, mi dice uno slavo, l’orso graffia il terreno con le zampe anteriori “come per tirarci le pietre“, si dondola, l’orso vuole la sua preda in una furia che ha lasciato, mi mostra, le unghiate incise su una porta in legno dell’accampamento pastorale, in questa montagna fuori dal tempo, dai personaggi tra sogno e realtà.

In pochi chilometri quadrati si dispiega un paesaggio che una fertile letteratura di esplorazione, dal XVII al XIX secolo, ne ha consentito la conoscenza, il “riordino”, la “traduzione”. “Alla scoperta dell’Abruzzo montano“, scrivevano i colti viaggiatori davanti al “passaggio”, al varco della valle del Sagittario e di quell’intricato “mito dell’isolamento dell’uomo” e ai suoi “inespugnabili centri e le meraviglie della natura“: narrazioni di viaggio, frammenti di diari che vanno dal Torcia a Estella Canziani; da De Nino a D’Annunzio. Descrivono la natura, l’arte, l’archeologia, i culti primitivi sopravvissuti in parte fino ai giorni nostri e infine il mito della terra e dei briganti.

Riparai dal muro della capanna stessa – è scritto nel rapporto del brigadiere Chiaffredo Bergia sulla cattura del brigante Croce di Tola, del 31 luglio 1871 – incominciammo il fuoco ma quivi i nostri colpi innocui ai briganti, perché questi stavano riparati dietro grossi macigni. Per cui deliberai di dargli l’assalto onde sloggiarli da quella forte posizione. Difatti mi staccai dalla capanna dando ordine al carabiniere di seguirmi, fatti pochi passi da questa, una grandine di palle venne piombarmi attorno. . . “.

Cronache, storia e tradizione orale sui briganti, divenute patrimonio mitico leggendario di questa terra e simboli di un’esistenza aspra, si rincorrono ancora nell’immaginario collettivo tra queste montagne della luna, remote, del Sagittario.

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