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Mammut L’Aquila, gli eventi per il 70° anniversario dal ritrovamento

L'AQUILA - Presentazione degli eventi di celebrazione del 70° anniversario dal ritrovamento dello scheletro fossile del Mammut. Il programma.

L’AQUILA – Presentazione degli eventi di celebrazione del 70° anniversario dal ritrovamento dello scheletro fossile del Mammut. Il programma.

Il Museo Nazionale d’Abruzzo per i 70 anni dall’eccezionale ritrovamento del fossile del Mammut nella cava Santarelli in località Madonna della Strada nel Comune di Scoppito, avvenuta a marzo del 1954, avvia una serie di eventi nell’anno in corso per un protagonista eccezionale. Il fossile, di 1.300.000 anni, reperto importantissimo della preistoria italiana, fra i più completi d’Europa, ha arricchito enormemente la conoscenza del Patrimonio paleontologico dei grandi mammiferi nel Quaternario sul suolo italiano.

La Mostra documentaria: Le recenti ricerche d’archivio impongono la revisione della data della scoperta. È infatti del 17 marzo 1954 l’informativa dell’Anonima Materiali Argillosi alla Soprintendenza alle Antichità degli Abruzzi e del Molise con la quale si comunicava il ritrovamento, da parte degli operai della fornace, dei primi resti. La notizia fu poi diffusa qualche giorno dopo, il 25 marzo, dal Corriere della Sera e ripreso da altre testate i giorni successivi.
Questi passaggi, oltre alle recenti donazioni di foto inedite, oggetto di una mostra documentaria visitabile dal 19 aprile nel Bastione Est del Castello Cinquecentesco, permettono di ripercorrere le fasi della scoperta, recupero e studio dell’esemplare sotto la direzione della professoressa Angiola Maria Maccagno, direttrice dell’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università di Roma, con la collaborazione di Antonio Ferri nel restauro.
È del 15 novembre 1957 l’importante documento del Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, Guglielmo de Angelis d’Ossat, per conto del Ministro della Pubblica Istruzione Aldo Moro, che dichiara il suo interessamento nel garantire l’allestimento di una sezione di paleontologia presso il Museo Nazionale d’Abruzzo con il Mammut, poi esposto al pubblico dal 1960 nel Bastione Est del Castello Cinquecentesco.

L’accessibilità inclusiva: Grazie ad una consolidata collaborazione con l’Accademia di Belle Arti è in corso la realizzazione di due prototipi 3D: uno con  il particolare del cranio e della zanna e l’altro è un modellino di 30 cm del Mammut che vanno ad integrare il disegno in braille già presente nell’attuale allestimento. La progettazione è a cura dei docenti dell’ABAQ Simone Rasetti, Tecniche di modellazione digitale, e Marco Cortopassi, Scenotecnica. È stato effettuato, durante la conferenza stampa, un test di leggibilità con le tecniche di esplorazione tattile di un modellino di prova del cranio e della zanna del Mammut condotte dalla tiflologa non vedente Deborah Tramentozzi. Questa attività di ricerca sulle modalità di apprendimento dell’immagine e dei processi cognitivi nelle persone non vedenti e ipovedenti si avvale della professionalità accademiche del laboratorio di modellazione dell’Accademia di Belle Arti e della tiflodidattica, tramite le tecniche di percezione tattile del rilievo operate dalla tiflologa,  volte a verificare il grado di acquisizione e restituzione dell’immagine, esperita al tatto e successivamente ricostruita nella mente dell’utente.
I modelli 3D tattili potranno essere fruiti anche dai visitatori normovedenti, preziosa opportunità per attivare una sensorialità troppo spesso inibita, anche per la consapevolezza dell’impossibilità di toccare le opere d’arte nel contesto di una visita museale.

Video: Due documenti storici del 1954 appartenenti all’Archivio Luce Cinecittà, che si ringrazia per la concessione di utilizzo: Uscito dalla preistoria, durata 55’’ e Lo scheletro di un grosso mammuth trovato presso L’Aquila, segnalato dal Presidente del CdA di Abruzzo film Commission Piercesare Stagni, Rep. Incom. senza sonoro, durata 3’, completano la suggestiva ricostruzione animata del Mammut già in proiezione nel Bastione realizzata dal Segretariato Regionale MiC per l’Abruzzo.

Tecnologia realtà aumentata: È stata possibile la produzione di contenuti digitali 3D fruibili con tecnologia AR core per la ricostruzione 1:1 del Mammuthus Meridionalis. Tramite un QR code sulla pedana, i visitatori potranno avere un’esperienza di visita più dinamica ammirando il Mammut nelle affascinanti forme che aveva quando era in vita. RUP Maria Rita Copersino – Segretariato Regionale MiC -Abruzzo

Convegno scientifico: Nel mese di ottobre avrà luogo un convegno scientifico di rilevanza nazionale “Il Mammut del Castello – Settant’anni dalla sua scoperta. Nuovi dati nel quadro dell’evoluzione ambientale del Pleistocene” per condividere i risultati acquisiti attraverso nuove metodologie di indagine e  restauro. Verranno affrontati diversi aspetti scientifici quali l’evoluzione geologica del bacino aquilano, la paleobotanica e paleoclima; il confronto tra il Mammut meridionalis di Madonna della Strada con gli altri elefanti del Pleistocene; lo stato dell’arte della diagnostica e del restauro; l’esemplare nella realtà aumentata 3D e bodymass; i primi risultati della paleopatologia, nonché il tema del ruolo sociale attuale della divulgazione scientifica.

Annullo filatelico: Per rafforzare il potenziale narrativo è stato previsto un annullo filatelico dedicato al Mammut

Accompagnamento didattico: Si sta provvedendo, tramite formazione del personale AFAV curata dai funzionari del Museo, a fornire un servizio di accompagnamento  ai visitatori per una maggiore conoscenza del Mammut.

Premio Fossili regionali: Nel corso della conferenza stampa la direttrice del MuNDA Federica Zalabra ha ricevuto la targa di riconoscimento del Premio Fossili Regionali 2023 al Mammut per la Regione Abruzzo consegnata da due membri del comitato regionale della Società Paleontologica Italiana e la paleonotologa Maria Adelaide Rossi e Marco Romano dell’Università degli Studi della Sapienza. L’iniziativa è nata dalla sinergia tra il gruppo dei giovani della società Palaeontologist in Progress e il Consiglio SPI per favorire la divulgazione e la conoscenza delle ricchezze del patrimonio paleontologico italiano.

mammut l'aquila 70 anni ritrovamento

La storia

Mario Santarelli, titolare e amministratore unico dell’AMA, Anonima Materiali Argillosi, possedeva l’omonima Fornace, utilizzando per la produzione di laterizi una cava d’argilla che si trovava a Madonna della Strada, presso Scoppito (L’Aquila). Il 17 marzo 1954 comunica alla Soprintendenza alle Antichità degli Abruzzi e del Molise la scoperta di un elefante fossile nella sua cava; il documento che lo attesta, concesso gentilmente dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di L’Aquila e Teramo, impone la revisione della data del ritrovamento dello scheletro di un Mammut da parte degli operai che, perforando il terreno alla ricerca d’acqua a meno di un metro di profondità̀, sotto a uno strato di argilla e a uno di sabbia, ne rinvengono i primi resti.
La professoressa Angiola Maria Maccagno, direttrice dell’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università̀ di Roma, curò lo scavo, il restauro e lo studio dell’esemplare: le ossa c’erano tutte e lo scheletro poteva essere rimontato.
Come riportato nei resoconti di scavo, al momento della scoperta lo scheletro giaceva in connessione anatomica sul fianco sinistro e preservava con differenti stati di conservazione la maggior parte degli elementi ossei.
Come prevedeva l’art. 49 della Legge 1089 del 1° giugno 1939, nel 1956 all’ingegner Santarelli, fu corrisposto un premio come scopritore pari a 2.250.000 lire da parte del Ministro della Pubblica Istruzione, che lo comunica al Soprintendente alle Antichità di Chieti.

Scavo, recupero e restauro: Il nonno del Sig. Claudio Pietrosanti, appartenente ad una delle due famiglie Santarelli e Pietrosanti, che hanno donato al MuNDA una rilevante documentazione, parzialmente inedita, sul ritrovamento del fossile, Antonio Ferri, fu incaricato nel marzo 1954 del recupero e restauro delle ossa fossilizzate dalla Prof.ssa Angiola Maria Maccagno, direttrice dell’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università di Roma. Nonostante lo stato critico di conservazione delle ossa, il delicato lavoro di scavo e di primo consolidamento ne permisero un recupero ottimale, che risultò particolarmente difficile per i pezzi più fragili come le vertebre dorsali dalle lunghe apofisi spinose e le scapole.
In data 4 aprile 1957 il Comitato dei Ministri del Mezzogiorno autorizza la Cassa per il Mezzogiorno allo stanziamento di un massimo di 2.000.000 di lire per il completamento del restauro del reperto fossile.

Allestimento: Nella mostra documentaria permanente è esposto un documento rilevante, una nota del 15 novembre 1957 del Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti Guglielmo de Angelis d’Ossat, per conto del ministro della Pubblica Istruzione Aldo Moro, sull’allestimento di una sezione di paleontologia presso il Museo Nazionale d’Abruzzo.
Altri documenti attestano che il primo allestimento storico nel bastione est del Castello cinquecentesco risale agli anni Sessanta del XX secolo.

Che ci faceva un elefante a Scoppito? Il clima e l’ambiente di 1.300.000 anni fa, in Abruzzo e in altre zone d’Italia, favoriva la vita dei grandi mammiferi, come accade oggi in alcune regioni dell’Africa.
Che ci fa un Mammut nel Bastione Est del Castello Cinquecentesco?
L’imponente fossile dell’esemplare è esposto al pubblico dal 1960 nel Bastione Est del Castello Cinquecentesco, prima sezione del Museo Nazionale d’Abruzzo.

Fossili di elefante in Abruzzo, dalle prime raccolte allo studio sistematico: Nell’area che va da Scoppito fino a nord-ovest di L’Aquila sono numerosi i luoghi in cui sono stati ritrovati resti fossili di grandi mammiferi del Quaternario (il periodo che va da 2,58 milioni di anni fa a oggi).
Nel 1800 i resti venivano raccolti e conservati da studiosi con un metodo diverso da quello che usiamo ora. Molti ritrovamenti erano casuali: avvenivano durante i lavori agricoli o le attività̀ di cava, ad esempio quelli legati all’estrazione di argilla e lignite. A partire dagli anni ’40 del 1900 padre Saverio Maini prima e padre Gabriele Marini dopo iniziano una raccolta sistematica.
Nel tempo si sono ritrovate diverse parti di scheletro: molari, zanne, femori, costole e assieme ai resti di elefante quelli di altri animali che vivevano nello stesso ambiente come ippopotami, rinoceronti e cervi.
A Madonna della Strada di Scoppito fu rinvenuto nel 1954 lo scheletro qui esposto. I siti ricchi di fossili scoperti più̀ di recente sono Campo di Pile e Pagliare di Sassa.

Io sono un Mammut: Il Mammut è un mammifero appartenente alla stessa famiglia degli elefanti attuali. Si è estinto circa 780.000 anni fa. Quello ritrovato a Scoppito vissuto 1.300.000 anni fa, appartiene alla specie meridionalis che, a differenza del Mammut lanoso più noto, non aveva pelliccia.
Questo Mammut, di dimensioni notevolmente superiori a quelle solitamente attribuite alla sua specie, ha una sola difesa (zanna); l’altra potrebbe averla persa in un combattimento. La zanna spezzandosi ha creato una grave infezione rovinando l’osso. Questo però non gli ha impedito di continuare a vivere, anche se, per il grande peso non più̀ controbilanciato (una zanna pesa più̀ di 100 kg) ha sviluppato una scoliosi e la saldatura delle prime vertebre cervicali.
Dopo la morte il corpo, spostato dalla corrente del lago, si è adagiato sulla sponda ed è stato lentamente ricoperto da sabbie e argille.
Le argille hanno creato un ambiente povero di ossigeno e ricco di minerali che ha favorito la fossilizzazione delle ossa.

L’ambiente di vita, un paesaggio ricco di acque: Il Mammut di Scoppito è vissuto 1.300.000 anni fa.
Tra 2.600.000 anni fa e 150.000 anni fa, nel periodo Pleistocene inferiore e medio, il territorio dell’Abruzzo era ricco di laghi, in particolare le aree dove oggi sono L’Aquila e Sulmona o il Fucino, ampie pianure circondate da catene montuose, con laghi, paludi e grandi valli fluviali.
Questa ricchezza di acque dolci era essenziale per la vita dei grandi mammiferi come elefanti e ippopotami.
La geometria e il contenuto degli strati di sabbie e argille sovrapposti in cui è stato ritrovato il Mammut hanno permesso di ricostruire l’ambiente, posto alla foce di un fiume o al margine di un lago e di una vicina palude, dove foglie e tronchi marcendo hanno formato la lignite (carbone fossile).
Nella stessa area furono ritrovati resti di ippopotamo antico, rinoceronte e cervidi oltre che di anfibi, rettili e molluschi.

Il territorio e la vegetazione, lo studio dei sedimenti e degli antichi pollini per ricostruire l’ambiente: Lo scheletro ritrovato poggiava su sabbie fini di colore grigio scuro, con diversi minerali e frammenti di calcare (le rocce sedimentarie di colore bianco che formano le montagne attorno). Sopra a questo c’era uno strato di argille grigie e ancora sopra sabbie e argille. Nell’ultimo strato, argille ricche di fossili e più̀ scure.
Questi livelli sovrapposti e il loro contenuto hanno permesso di ricostruire che si trattava di un ambiente lacustre e di palude.
1.300.000 anni fa in questa zona c’erano foreste con alberi che ora non fanno più̀ parte della vegetazione italiana: Tsuga, una conifera, e Carya, un albero della famiglia del noce, che ora vivono in Asia e in Nord America; Zelkova, un albero della famiglia dell’olmo che vive in Asia, recentemente riscoperto in Sicilia.
Sono dati che si ricavano dallo studio degli antichi pollini: il fatto che ci fossero molte Tsuga e Carya e pochi pini e cedri indica che si trattava di un periodo interglaciale caldo.

Le ossa raccontano: Come per molti mammiferi, anche per gli elefanti nei denti sono racchiuse informazioni riguardanti l’individuo. Il tipo e il numero di molari, le loro dimensioni, il numero di lamine e come e quanto fossero consumati ne rivelano l’età̀ ma anche cosa fosse abituato a mangiare.
Le dimensioni di vertebre, ossa lunghe e piatte danno indicazioni sul sesso, l’altezza e la massa corporea.
Esistono differenze in alcune ossa per maschi e femmine (dimorfismo sessuale); ad esempio nelle femmine, per far fronte al parto, la forma dell’apertura del bacino è più̀ tondeggiante e ampia.
Le lunghezze massime degli arti anteriori (scapola, omero, radio-ulna e carpo) permettono di stimare l’altezza alla spalla mentre altre caratteristiche dimensionali delle ossa consentono di dedurre la massa corporea dell’animale in vita.
Lo stato di usura e il numero di lamine presenti nei molari indicano che il mammut è morto in età avanzata, a 55 o più anni, sicuramente debilitato a causa dei problemi scoliotici e artritici derivati dal trauma subito tempo prima.

Restauri, l’impegno continuo per conservare il Mammut
1954-1960: Al momento del ritrovamento le ossa erano fragili: furono pulite dalla sabbia, consolidate con silicato di sodio e inglobate in tessuto e gesso per poter essere trasportate in sicurezza (149 ossa divise in 8 casse) presso l’istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università di Roma. Essendo le ossa del cranio deboli si decise di segare la zanna. Queste operazioni condotte da A. M. Maccagno, permisero il salvataggio dello scheletro. Il restauro durò un anno e mezzo: le ossa furono armate con tubi di ferro, le parti mancanti ricostruite.
1987-1991: Alcuni frammenti di scheletro si distaccarono alla fine degli anni ’80; la parte interna delle ossa si stava polverizzando. Si intervenne di nuovo sullo scheletro: cranio e bacino furono restaurati sul posto, le altre ossa presso il Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università̀ di Firenze. Si decise di ricostruire una parte di mandibola e di inserire una copia della zanna più leggera, fatta con resine epossidiche e poliuretano espanso, mentre quella originale fu esposta sulla pedana.
2013-2015: Il sisma del 2009 non ha danneggiato in modo serio lo scheletro; alcune ossa presentavano lesioni. Il restauro, finanziato dalla Guardia di Finanza, fu fatto direttamente nel Bastione con lo smontaggio dello scheletro, l’alloggiamento di cranio e bacino su supporti in acciaio, la pulitura e rimozione del vecchio protettivo e delle stuccature in eccesso dei contatti fra ossa originali e integrazioni, un nuovo consolidamento superficiale e strutturale e la stuccatura e colorazione delle parti ricostruite.
Il restauro ha permesso nuove indagini e la correzione di alcune ricostruzioni, in particolare per il cranio, dove si sono studiate porzioni di osso originale che non si vedevano perché coperte dalle integrazioni degli anni ’50 e alcune lesioni. La parte ricostruita del cranio è stata rimodellata in modo più accurato in base alle nuove scoperte.
Studio delle deformazioni e vibrazioni dello scheletro e della struttura di sostegno per effetto delle spinte sismiche. In grigio scuro la sagoma deformata.

I nuovi siti, notizie recenti di un passato remoto: Nel giugno 2009 a Campo di Pile, nell’area industriale a Ovest di L’Aquila, sono stati scoperti resti di Mammut della stessa specie di quello al centro della sala (Mammuthus meridionalis): due zanne e quattro molari di una femmina di circa 30 anni di età̀ e parte di una zanna di un altro individuo.
Nella stessa area sono stati trovati due denti di un cervo di grande taglia, un metatarso di equide, una tibia di rinoceronte e un corno di bisonte. L’area, frequentata da questi animali un milione di anni fa, era vicina a un alveo fluviale.
A Pagliare di Sassa in via San Pietro, alla fine degli anni 1990, durante lavori per cavare sabbia, sono stati trovati i resti fossili di diversi animali risalenti a circa 700.000 anni fa (inizio del Pleistocene medio):
Mammut di steppa (Mammuthus trogontherii)
elefante antico (Palaeoloxodon antiquus)
rinoceronte (Stephanorhinus hundsheimensis)
ippopotamo (Hippopotamus antiquus)
iena macchiata (Crocuta crocuta)
grandi cervi (Megaloceros savini e Praemegaceros verticornis)
lepre (Lepus sp.)
cinghiale (Sus scrofa)
piccoli roditori: le arvicole Mimomys savini e Microtus gregaloides uccelli tra cui l’anatra comune (Anas penelops)
L’ambiente in cui sono stati trovati corrisponde a una conoide fluviale, ossia un accumulo di sedimenti trasportati da un fiume e deposti a ventaglio nella valle sottostante con forma simile a un cono.
Nello stesso luogo sono state ritrovate una scheggia di selce e un frammento d’osso lavorati, testimoni della più antica presenza umana in Abruzzo.

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