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Spopolamento Abruzzo, 100mila abitanti in meno entro il 2041: solo L’Aquila in controtendenza

Allarme spopolamento in Abruzzo, entro il 2041 la regione perderà un numero di abitanti pari a quelli di una città come Pescara. Solo L'Aquila in controtendenza: +1,65%.

Entro il 2041 l’Abruzzo perderà un numero di abitanti pari a quelli di una città come Pescara. La regione decrescerà del 8,33% con un’intensità di spopolamento pari al doppio di quella dell’Italia che sarà del 4,83%. Solo L’Aquila in controtendenza: +1,65%.

La popolazione abruzzese passerà da 1.272.627 abitanti del 31.12.22 a 1.166.562 del 31.12.41 registrando un decremento di 106.065 abitanti. L’allarmante fotografia arriva dal report redatto dal dottor Aldo Ronci sulle previsioni Istat. L’Abruzzo sembra essere condannato a percorrere la strada dello spopolamento, con un’accelerazione doppia sul resto del Paese. La nota di incoraggiamento arriva da L’Aquila, dov’è – in controtendenza assoluta – è previsto un aumento dell’1,65%.
Complessivamente, però, in Abruzzo lo spopolamento sembra inarrestabile: “gli abitanti persi saranno pari a quelli di una città come Pescara. In valori percentuali la flessione dell’8,33% della popolazione abruzzese sarà pari a ben due volte quella italiana che registrerà un decremento del 4.83% e posizionerà l’Abruzzo al 13° posto della graduatoria nazionale. 100.000 abitanti persi riporteranno l’Abruzzo indietro di un secolo (intorno al 1925)”.
Per quanto riguarda le cause, “da una parte la decrescita di 200.000 abitanti di età compresa tra 0 e 64 anni, dall’altra la crescita stratosferica di 100.000 abitanti di età da 65 anni e oltre. Questi scompensi nella composizione della popolazione per classi di età, creeranno squilibri nel rapporto tra generazioni a svantaggio della popolazione potenzialmente più attiva e produttiva con implicazioni allarmanti di carattere sociale ed economico”.
L’indice di dipendenza strutturale, che è senz’altro il più importante, – spiega Ronci – rappresenta il carico sociale ed economico della popolazione non attiva (0‐14 anni e 65 anni ed oltre) su quella attiva (15‐64 anni). (Abitanti non attivi ogni cento abitanti attivi). L’Abruzzo, che il 31.12.22 registrava un indice di dipendenza strutturale del 59% il 31.12.41 registrerà un indice dell’83%, cumulando uno spread di 24 punti percentuali mentre l’Italia, che il 31.12.22 annoverava un indice di dipendenza strutturale del 57%, il 31.12.41 registrerà un indice del 79%, cumulando uno spread di 22 punti percentuali. L’indice strutturale abruzzese dell’83% è un peso notevolissimo che la popolazione non attiva esercita su quella attiva. È un peso che deve far riflettere e non solo l’Abruzzo ma anche l’Italia che, con il 79%, non è molto distante”.
In questa fotografia allarmante, la nota di speranza: “L’unico capoluogo che registrerà una crescita è L’Aquila +1.150. Negli altri capoluoghi le flessioni saranno a Pescara ‐4.520, a Teramo ‐6.245, a Chieti ‐6.037. In valori percentuali L’Aquila crescerà dell’1,65%. Fletteranno: Chieti ‐12,42%, Teramo – 12,09%, Pescara – 3,80%”.
Per quanto riguarda i comuni con più di 15mila abitanti, non capoluogo, cresceranno soltanto Martinsicuro (+626) e Silvi (+7). Per il resto si prevedono flessioni più o meno pesanti”.
“Si evidenzia – prosegue il report – che cresceranno o decresceranno poco, buona parte dei comuni che si trovano sul mare. Discorso a parte per Sulmona che si pone all’ultimo posto della graduatoria sia per valori assoluti che per quelli percentuali e che al 31.12.41 perdendo ¼ della popolazione si attesterà sui 16.744 abitanti. Tale valore riporterà Sulmona indietro di un secolo e mezzo (intorno al 1875).

A questo punto, la domanda è: rassegnarsi o mobilitarsi contro lo spopolamento? Per il dottor Ronci, “una mobilitazione sentita, partecipata, efficace ed unitaria per porre con forza al centro dell’attenzione della regione provvedimenti che tentino di bloccare e superare lo spopolamento.
Le cause principali dello spopolamento sono: mancanza di occupazione; peggioramento della qualità e della quantità dei servizi a disposizione dei cittadini”.
Ragion per cui le due priorità che bisogna perseguire sono: “L’INCREMENTO DELL’OCCUPAZIONE ATTRAVERSOL’INNOVAZIONE DEL SISTEMA PRODUTTIVO; LO SVILUPPO E IL RIEQUILIBRIO DEI TERRITORI REGIONALI”.
Per quanto riguarda il primo punto, “Il sistema produttivo abruzzese si trova in una situazione di oggettiva difficoltà e tale difficoltà è da imputare soprattutto al fatto che esso è composto per la gran parte da micro e piccole imprese che rappresentano il 96% del totale delle imprese e impiegano il 56% degli occupati. Esse hanno problemi di carattere strutturale e una scarsa propensione all’innovazione. Pertanto, la Regione deve destinare energie e risorse che realizzino il miglioramento della competitività. Per conseguire l’obiettivo dell’innovazione delle imprese abruzzesi, che hanno bisogno di aiuto per superare i limiti all’interno dei quali sono storicamente costrette, si può istituire un Centro Regionale per l’Innovazione che abbia il compito di: proporre nuovi prodotti e nuovi processi produttivi, fornire gli strumenti conoscitivi necessari, favorire la comunicazione tra imprese, introdurre un sistema di conoscenza delle problematiche dell’innovazione attraverso una diffusione capillare di esse, assicurare sostegno nella definizione di obiettivi realistici e strategie praticabili.
Per quanto riguarda invece sviluppo e riequilibrio dei territori, “si devono evitare provvedimenti occasionali legati alla funesta logica particolaristica praticata da decenni senza risultati apprezzabili, bisogna adottare una metodologia programmatoria che elabori un progetto che attivi uno sviluppo Regionale armonico e che faccia sì che tutti gli interventi e le risorse siano coerenti con quel progetto. Allo stato si ha l’opportunità da parte della Regione di adottare lo strumento dell’Agenda Urbana che, meglio di qualsiasi altro, potrebbe avviare uno percorso di sviluppo armonico ed equilibrato di tutto il territorio Abruzzese. Queste riflessioni per evidenziare che l’eventuale individuazione delle Aree Urbane Funzionali tornerebbe a mettere le Aree della Regione comprese quelle Interne al centro dell’interesse e dell’attenzione della politica regionale e ciò comporterebbe per esse un impegno a livello regionale: per garantire alle popolazioni che vi risiedono i servizi essenziali ed indispensabili, per delineare strategie fondamentali per l’efficienza dei sistemi insediativi, per il sostegno ai settori produttivi, per la tutela dell’ambiente, per poter riuscire ad attuare efficaci politiche di sviluppo, per rendere i territori protagonisti della progettazione strategica.

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