La testimonianza

Vi racconto il mio tumore al seno, viva grazie ad una mammografia: prima la disperazione, poi ho scelto la vita

"Quando ho scoperto di avere un tumore al seno credevo che la mia vita fosse finita. Potevo scegliere se abbandonarmi o risalire la china: ho scelto la vita. L'attesa è un calvario, ma si guarisce e si rinasce". Il Capoluogo vi racconta la storia di una donna che sottolinea: "la mente è fondamentale"

“Una mammografia mi ha salvato. Prima l’anomalia, poi l’esame istologico, quindi la diagnosi confermata. Sono qui dopo un tumore al seno che ha richiesto un intervento e una terapia ormonale. Sono qui, ma soprattutto sto bene e sono bellissima. Dal buio alla luce in un mese e mezzo, grazie alla mia mente. È fondamentale avere un atteggiamento positivo”. La storia di una donna in carriera, una mamma aquilana di tre figli che ha sconfitto il tumore al seno.

Ho scoperto di avere il tumore al seno nell’inverno del 2021, facendo un controllo di routine: una mammografia. Inizialmente mi è stata riscontrata un’anomalia, ci ha pensato l’esame istologico a mettermi ufficialmente di fronte al cancro. In realtà, poiché il tumore che mi ha colpito sfugge spesso a questi esami preventivi, sono stati necessari anche ulteriori controlli più specifici.

Il Capoluogo raccoglie la testimonianza di una donna aquilana e della sua malattia nel mese dedicato alla prevenzione del tumore al seno. 
Voglio raccontare la mia storia per lanciare un duplice messaggio: innanzitutto la prevenzione è il primo passo per prendere in tempo il tumore, prima che si diffonda. In secondo luogo, voglio dire a tutte le donne che stanno affrontando un tumore al seno di non sentirsi meno belle. Perché non è così e non lo dico per fare retorica: lo dico perché è la verità. Lo vedo negli occhi di chi mi guarda, senza sapere cosa ho affrontato. Siamo donne e il tumore al seno non può toglierci nulla. 

LA REAZIONE
Quando ho scoperto di avere un tumore al seno credevo che la mia vita fosse finita. Sono tendenzialmente una persona che reagisce, ma in quel momento mi sembrava di non farcela: non mi sentivo bene. Avevo davanti progetti di lavoro molto importanti e volevo tirarmi indietro.
La verità era solo una: ero disperata.
 Una persona cara mi disse, preparandomi, che mi avrebbe aspettato un percorso duro «Non è tanto il tumore in sé, quanto il tunnel che si deve percorrere». Ed è stato proprio così.
Visite, accertamenti di ogni genere, tempi di risposta che sono o sembrano lunghissimi. Si resta appesi per giorni, anche per settimane. Appesi ad analisi stupide o invasive. Sono mesi di esami continui e di continue risposte: è un calvario. 

Per questo mi resi conto di avere due possibilità, abbandonarmi oppure risalire la china. Abbandonarmi significava lasciare i miei figli, distruggere progetti di vita, mentre risalire la china significava affrontare la malattia.
Oggi posso dire di aver risalito la china e di averlo fatto quasi da sola.
 Se a livello affettivo qualcuno ha preferito mollare la presa, al tempo stesso ho avuto accanto familiari e amici che mi hanno costantemente supportato. Ho risalito la china per i miei tre figli e per quei progetti professionali a cui tenevo tanto, l’ho fatto per amore della vita. Così, dopo un mese e mezzo – mentre portavo avanti visite varie – ho portato a termine un importante progetto di lavoro, con grande successo. 

LA RAZIONALIZZAZIONE
Io quel tumore non lo volevo e, onestamente, non ho mai pensato che ‘la sofferenza nobilita l’uomo’. Stronzate. Vedevo la malattia come uno stigma.
Proprio per questo oggi ammetto di avere scoperto, giorno dopo giorno, un mondo nuovo.
Nonostante la sanità del territorio non sia stata adatta alla gestione del mio caso specifico e io mi sia affidata all’esterno – tra l’altro quasi casualmente – il tunnel della mia malattia è durato circa 4 mesi a partire dalla prima diagnosi. Ho deciso di reagire dopo aver chiamato un mio amico medico e avergli chiesto di spiegarmi, con sincerità, la mia situazione nel dettaglio. Così ho deciso di ascoltare per la prima volta le cure che avrei dovuto sostenere e le mie probabilità di sopravvivere. Avevo probabilità elevatissime. Del resto, c’è qualcuno che non esce di casa perché ha paura della probabilità di un incidente? No. Così ho pensato: ma che importa? Sono pronta a tutto…e mi sentivo pronta davvero. 
È in quel momento che ho deciso di riprendere in mano la mia vita. Non posso dire che sia stato semplice, dico soltanto che si fa.
Consapevoli che si può uscire dal tumore al seno. E la ‘normalità’ che ho scoperto entrando in questi reparti è, appunto, un mondo nuovo: qui si scrive un’altra vita.
 Ci sono donne bellissime, incontri loro e le loro storie. Tante storie sembrano simili, alcune addirittura uguali: invece, ognuna riesce ad essere diversa. Ognuna è una storia di forza, di consapevolezza e volontà.
Ricordo ancora l’incontro con lo psicologo del reparto oncologico. Quando intuì che fossi pronta ad affrontare il mio cammino, mi disse semplicemente:
«Va bene, non dobbiamo dire nient’altro»Eppure non avevo e non ho alcuna dote che mi rende migliore degli altri. Ho soltanto capito che volevo vivere. È stato questo il primo passo per reagire.
Ho scoperto che abbiamo una grossa arma: la mente.
Anche in questo caso, tengo a sottolineare che non è retorica: è proprio quando ho iniziato ad avere un atteggiamento positivo che ho quasi dimenticato il tumore. Il corpo è una parte di tutto, una parte governata dalla testa. Chi reagisce, badate bene, non è un eroe: anche perché il tumore semplicemente ti capita. 

L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE E DI SENTIRSI DONNA
Il tumore al seno è diffuso come l’appendicite, per questo i controlli devono essere serrati. Senza quella
 mammografia dove sarei oggi? Accorgermi della malattia quando era ancora ‘presto’ ha fatto in modo che il tumore non progredisse: non ho fatto la chemio, quindi, ma una terapia ormonale, anche questa oggetto di accesa discussione tra chi la affronta, per il famigerato ‘post’.
Io sono sempre stata una bella donna e ne vado orgogliosa. Nel momento in cui ho avuto la diagnosi mi identificavo perfettamente con tutto quello che ero e che vedevo allo specchio. Quando ti dicono, all’improvviso, «da domani andrai in menopausa» subisci un altro colpo, è innegabile: ma non è la fine. È tutta una questione di testa. Il messaggio che vorrei mandare è che la prevenzione è la cosa più importante e, al tempo stesso, che la malattia non ci trasforma, non ci trasfigura. La malata di tumore al seno non finisce di vivere: fortunatamente ci sono tantissime terapie e si può rinascere. Non si finisce di essere donna se si affronta un tumore al seno, non date importanza al sentito dire. La prevenzione è fondamentale, poi si affronta ciò che c’è da affrontare. È un passaggio, una parentesi: che cos’è rispetto alla vita?

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