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Sicurezza, Comunità per minori Crescere Insieme: Serve controllo, collaborazione e offrire alternative ai giovani

"Non c'è bisogno di cercare ogni volta il capro espiatorio: servono azioni sociali programmate e utilizzare veicoli come lo sport per favorire l'accoglienza". La comunità Crescere insieme interviene sulla questione sicurezza e sul tema del disagio giovanile.

Sicurezza in città, serve collaborazione a 360 gradi e fornire alternative ai giovani presenti in città, sia stranieri sia italiani. Ieri l’incontro in Prefettura, seguito dalle dichiarazioni del sindaco Biondi e della sua giunta, che hanno sottolineato l’importanza di un approccio multifattoriale e di un lavoro interistituzionale, unito alla creazione e all’implementazione di percorsi di formazione rivolti ai giovani rpesenti nelle case famiglie. A prendere la parola, oggi, è il responsabile della Comunità per minori Crescere Insieme che ribadisce come sia importante, certamente, il controllo: ma che servamettere in campo ogni mezzo possibile per offrire alternative ai nostri giovani.

Contestualmente all’incontro in prefettura a cui hanno partecipato il sindaco Biondi e gli assessori Taranta, Tursini e Cucchiarella, si è tenuta la prima riunione delle Comunità per Minori che operano nel territorio comunale, questo primo incontro vuole stabilire un appuntamento fisso e si propone di trasformarsi in un coordinamento attivo per tutelare i ragazzi meritevoli presenti in accoglienza.

Di seguito la nota integrale della comunità Crescere insieme a firma di Goffredo Juchich, Responsabile Crescere Insieme Comunità per minori, Antonella Di Gregorio, Responsabile Case Famiglia “Il Volo delle Aquile”, “Il Nido delle Aquile”, “La Dimora delle Aquile” e CAS “La Rondine”, Daniela Ciccone, Responsabile Futuraquila – comunità per minori, Valentina Ercole, Responsabile Futura – comunità per minori, Responsabile Casa Famiglia Fraterna Tau, Francesca Giorgi. 

“I collaboratori e i dipendenti da una pericolosa deriva che tende ad individuare nelle strutture la causa di alcune problematiche e non parte della soluzione come dovrebbe essere in una interlocuzione sana e priva di attacchi strumentali.
Sappiamo quindi che temi del disagio giovanile e delle criticità legate al fenomeno della devianza minorile, negli ultimi mesi, sono al centro del dibattitto cittadino e nazionale. Nella nostra città, come in ogni area urbana del Paese, registriamo da qualche anno un
peggioramento della condizione dei giovani con l’aumento preoccupante delle aree di marginalità e di bisogno: la cronaca sempre più spesso ci parla di episodi di bullismo e di varie forme di illegalità diffusa, messi in atto da fasce sempre più giovani della popolazione.
Ci viene rimandata la fotografia di un fenomeno complicato, inserito in una società mutevole, in cui le misure di tutela delle persone più fragili e le strategie di tenuta sociale risultano fortemente indebolite. Un fenomeno che sembrerebbe essere prevalente tra gli adolescenti, stranieri non accompagnati ma anche italiani, che vivono una particolare fase del ciclo evolutivo e sono quotidianamente attraversati da importanti domande relative al Sé e all’Altro. Il percorso relativo alla costruzione della loro Identità risulta una strada per alcuni difficile da percorrere.
Purtroppo, però, quando ascoltiamo i dibattiti sul tema, le soluzioni proposte sono spesso frutto di posizioni accusatorie e/o esclusivamente repressive e non di un’analisi che tenga conto della complessità del fenomeno e del reale. Si punta il dito, a volte anche contro questi stessi ragazzi, addossandogli semplicisticamente un’etichetta che rischiano di portarsi dietro tutta la vita”. 

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“Noi come strutture del territorio, ormai da anni, siamo presenti in città con le nostre comunità socioeducative e con le nostre équipe multidisciplinari. I nostri professionisti, ogni giorno, lavorano in prima linea per sostenere i ragazzi a scoprire le loro risorse, rispettare l’altro e le regole comunitarie, trovare la propria strada nel mondo degli adulti. Assistenti sociali, psicologi ed educatori si confrontano con le complessità di questi giovani, fanno la propria parte tentando di trasformare i punti di forza individuali in opportunità concrete, le difficoltà e gli sbagli in occasioni di crescita e cambiamento. Un lavoro continuo, quotidiano, difficile. Nel corso degli anni abbiamo accolto oltre 500 minori in condizione di abbandono o di fragilità sociale. Non stiamo adesso a sottolineare i risultati raggiunti, seppur importanti, perché non è questo il focus dell’intervento.
Siamo assolutamente convinti dell’importanza della necessità di una vigilanza capillare da parte delle Istituzioni e delle Forze dell’Ordine, con le quali abbiamo il dovere di intrattenere una relazione quotidiana e costante, che possa favorire il confronto, individuare tempestivamente le criticità e mettere in campo interventi di soluzione delle stesse ma nondimeno ci vogliamo soffermare su quali siano le reali possibilità di intervento delle strutture socioeducative. Le nostre comunità, quotidianamente, predispongono e realizzano interventi che mettono al centro il minore attraverso relazioni educative e azioni concrete che permettano a quel determinato minore di raggiungere il maggior grado possibile di senso di responsabilità, autonomia e autostima e che si propongono di ridurre i fattori di rischio relativi ai fenomeni di disagio e devianza giovanile. Viene utilizzato ogni strumento educativo a disposizione, ogni risorsa del territorio e ogni forma ludica per evitare devianze e pericoli e per sostenere lo sviluppo di potenzialità e benessere personale. Ma bisogna tenere a mente che non siamo strutture né detentive né psichiatriche e che quindi il contenimento dei ragazzi oppositivi non può andare oltre gli strumenti che ci concede la normativa vigente.
I progetti educativi individualizzati sono certamente lo strumento essenziale per accogliere le sensibilità dei ragazzi, i loro bisogni e aspettative in modo da tradurli in percorsi di vita strutturati ma educare, lo sappiamo, è un compito complesso. Non è un’iniziativa privata, riservata solo ad alcuni, bensì è un’azione collettiva che implica la partecipazione e
l’impegno di più soggetti. Il Comune deve e può essere il primo alleato delle strutture socio educative tramite la professionalità, indiscussa, dei propri dirigenti e delle assistenti sociali che si impegnano in un’interlocuzione anche quotidiana, quando necessario.
La scuola è un elemento fondamentale: accoglie, forma e in diversi casi, lavora il doppio per offrire un percorso didattico a ragazzi spesso già grandi e non necessariamente centrati su cosa vuol dire studiare e stare dentro una classe, a causa di esperienze precedenti e/o vissuti emotivi particolarmente delicati.
Lo sport può essere un veicolo di integrazione e inclusione straordinario: ogni iniziativa in questo senso va sostenuta e incoraggiata. Negli anni, la nascita di realtà come United L’Aquila o le tante iniziative promosse dall’Aquila 1927 hanno rappresentato occasioni importanti per chi opera quotidianamente con i ragazzi.
Attraverso i tre fondamentali esempi citati, vogliamo evidenziare come sia necessario che ogni parte attiva del processo educativo di questi giovani sia coinvolta e che se da una parte un’azione di controllo è indispensabile, dall’altra è necessario mettere in campo ogni mezzo possibile per offrire alternative ai nostri giovani. La rete del nostro territorio esiste: va sostenuta e migliorata.
Gli enti del terzo settore che si occupano di assistenza e residenzialità in si avvalgono del lavoro di oltre 100 persone in città tra assistenti sociali, psicologi, educatori professionali, notturnisti ed operatori. Il loro lavoro svolto spesso in condizioni difficili merita il rispetto delle forze politiche e degli amministratori.
Rammarica vedere, invece, che oggi assistiamo alla ricerca dell’ennesimo capro espiatorio: per molti sono le Comunità, per altri il Comune e per altri ancora i ragazzi, che sono minori e per cui la legge italiana è, giustamente, garantista anche se i recenti decreti legge indirizzati verso una dinamica più restrittiva dimostrano la portata nazionale se non anche internazionale del fenomeno. A volte e fortunatamente non da parte di tutti sembra non esserci la reale volontà di andare a capire l’origine del problema, che non è solo locale, per inserire reali e utili correttivi.
Non crediamo che ci siano soluzioni preconfezionate ma una modalità operativa che riteniamo utile, ad esempio, potrebbe essere l’istituzione di un tavolo tecnico permanente composto dalle Istituzioni, dai rappresentanti degli enti di accoglienza e dalle forzedell’ordine. Un tavolo che potrebbe avere sempre sotto controllo il polso della situazione e le eventuali criticità, in modo da non lasciare nessuno da solo nel momento della difficoltà e che potrebbe redigere un vademecum operativo condiviso per gestire le situazioni di criticità. Dal nostro punto di vista è indispensabile, come comunità intera, stimolare e attivare “anticorpi” che siano in grado di far fronte a tali fenomeni, prevenirli e ri-orientare percorsi di vita che sono partiti male ma che non per questo sono senza speranza. Inoltre, al netto di quanto sopra esposto, occorre precisare che nell’episodio avvenuto in centro storico la notte di sabato bisogna precisare che la rissa ha visto coinvolte persone adulte e non ospiti delle nostre strutture per cui si chiede agli organi di stampa una rettifica. Come è utile anche segnalare la presenza di decine di giovani stranieri che non usufruiscono della rete di accoglienza e residenzialità e per i quali non c’è nessuna struttura responsabile. Per queste ragioni sarà cura delle scriventi smentire ogni episodio che verrà indicato alla pubblica opinione come ascrivibile alle azioni dei minori ospiti ma che in realtà è compiuto da terzi. Infine in queste ore ci stiamo attivando per chiedere un incontro al Prefetto dell’Aquila, al Sindaco e ai responsabili dei servizi sociali per capire le modalità più proficue per mettere ulteriormente a disposizione della collettività le professionalità presenti nelle nostre strutture”. 

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