Migranti e accoglienza

Ortona, sbarcati i 161 migranti soccorsi: la metà resta in Abruzzo

Emergency ha concluso nel porto di Ortona lo sbarco dei 161 naufraghi soccorsi nella notte del 25 marzo dalla nave Life Support in tre operazioni di salvataggio

Ortona, arrivata la Life Support con a bordo 161 naufraghi soccorsi: la metà resta in Abruzzo.

Emergency ha concluso nel porto di Ortona lo sbarco dei 161 naufraghi soccorsi nella notte del 25 marzo dalla nave Life Support in tre diverse operazioni di salvataggio. La scelta del porto abruzzese invece di uno siciliano ha comportato due giorni ulteriori di navigazione. “Rispetto a quanto sarebbe servito per raggiungere porti più vicini, arrivare ad Ortona ha implicato due giorni ulteriori di navigazione rispetto ad un porto siciliano. Questo vuol dire che la Life Support sarebbe potuta essere già in viaggio verso acque internazionali per salvare altre vite umane”, ha commentato Emanuele Nannini, capo della missione Life Support. Per raggiungere il porto abbiamo affrontato condizioni meteo marittime avverse e particolarmente impegnative: nella scorsa notte le onde erano di quattro metri e le condizioni sono state difficili sia per l’equipaggio che per i naufraghi a bordo, che hanno sofferto molto, mentre la legge internazionale prevede che sarebbero dovuti essere portati in un luogo sicuro il prima possibile”, ha aggiunto.

Oltre un terzo minori, 26 le donne: di cui tre incinte

Sono state tre le operazioni compiute dalla Life Support. La prima nella notte tra il 24 e il 25 marzo, davanti alla Libia, dove sono state recuperate 78 persone a bordo di un gommone in stato critico. Altre due operazioni nella mattinata del 25, quando sono stati avvistati due barchini in ferro in difficoltà per problemi ai motori, uno con 38 e un altro con 45 persone a bordo.
Lo sbarco a Ortona è avvenuto il 28 marzo. Le 161 persone sbarcate provengono da Burkina Faso, Camerun, Ciad, Congo, Costa d’Avorio, Eritrea, Etiopia, Gambia, Guinea, Liberia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Somalia, Sud Sudan, Sudan.
Tra di loro molte giovani famiglie con bambini piccoli e molti minori non accompagnati, anche tra i 6 e gli 8 anni. Oltre un terzo dei superstiti infatti è rappresentato da minori (61), di cui sette accompagnati e 54 non accompagnati. Presenti anche 26 donne, di cui tre incinte.
Dopo una sosta al palasport di Villa Caldari ad Ortona, i migranti sono saliti a bordo delle navette provenienti dai vari Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) di Abruzzo, Marche e Molise. Metà di loro sono rimasti in regione, equamente distribuiti in tutte e 4 le province, l’altra metà tra alcuni centri marchigiani e molisani.

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‘La Tunisia sta diventando la nuova Libia’

Vogliamo tornare quanto prima nel Mediterraneo, mettendoci a disposizione delle autorità competenti presenti in mare. Durante quest’ultima missione, abbiamo ricevuto moltissime segnalazioni di imbarcazioni in difficoltà nel Mediterraneo e soprattutto sulla rotta tunisina, ha affermato ancora Nannini. Di fatto, siamo stati testimoni degli effetti delle recenti politiche tunisine verso gli stranieri presenti sul proprio territorio e della grave crisi economica che sta affliggendo il Paese. A bordo, i superstiti ci hanno raccontato come la Tunisia rischia di diventare la nuova Libia: arresti arbitrari e violenze da parte della polizia, rapine armate senza che nessuno intervenga, case incendiate perché abitate da stranieri”, ha continuato.

I racconti di alcuni sopravvissuti

I naufraghi che Emergency ha soccorso erano partiti da Zwara, in Libia, nel primo caso, e da Sfax, in Tunisia, nel secondo e nel terzo. In questi due ultimi casi, le persone hanno passato più di tre giorni in mare navigando alla deriva. “Ho 45 anni e soffro di ipertensione. Ho passato tre giorni in mare, senza bere né mangiare, senza avere la possibilità di usare un bagno, sotto il sole cocente e nel freddo notturno. Quando ci avete soccorsi, avevo ovunque sul corpo la benzina che si era rovesciata dalle taniche. Non riuscivo a camminare, né a reggermi in piedi. Mi hanno dovuta portare di peso”, ha detto una donna della Costa d’Avorio, tra i superstiti.
Appena ho visto peggiorare la situazione in Tunisia ho deciso di far partire subito mia moglie con la nostra bimba. Non vedo l’ora di ristringerle tra le mie braccia. Io sono rimasto in mare tre giorni. Abbiamo incontrato tanti pescherecci, ma i pescatori ci dicevano che non potevano farci imbarcare sulle loro navi, perché rischiavano denunce penali. Avrebbero chiamato i soccorsi. Quando abbiamo visto la vostra nave abbiamo capito che non ci avreste lasciato morire“, ha raccontato un uomo, anche lui della Costa d’Avorio.
I naufraghi che hanno vissuto o transitato in Libia riportano di episodi di violenza: Io e la mia nipotina di 4 anni, che accudivo all’epoca, siamo rimaste in prigione in Libia per un anno. Mi hanno picchiata in qualsiasi parte del corpo. Ho ancora le cicatrici. Ogni sera sceglievano una donna da violentare. Per fortuna a me non è mai toccato. Mentre ci picchiavano, fumavano come se fosse un gioco”, ha ricordato una donna.

 

Fonte: ANSA/UFFICIO STAMPA EMERGENCY) (ANSAmed).
Foto di: Ansa

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