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Maurizio Cocciolone, le torture e la vita dopo la prigionia del top gun aquilano

Si divide tra l'Italia, il Brasile, la sua L'Aquila e Roma Maurizio Cocciolone, il top gun aquilano che fu catturato durante la prima Guerra del Golfo dalle truppe irachene.

Si divide tra l’Italia, il Brasile, la sua L’Aquila e Roma Maurizio Cocciolone, il top gun aquilano che fu catturato durante la prima Guerra del Golfo dalle truppe irachene. Con un pesante passato da prigioniero di guerra, Cocciolone, oggi, passa le sue giornate in Sud America con i suoi cari, ma sogna di tornare a L’Aquila tra qualche anno, racconta al quotidiano La Verità.

Quando si parla di Maurizio Cocciolone si ricordano gli anni della prima Guerra del Golfo, che oppose l’Iraq ad una coalizione composta da 35 Stati, formatasi sotto l’egida dell’ONU e guidata dagli USA. Il Capoluogo aveva raccontato la sua storia in un’intervista speciale pubblicata lo scorso 19 gennaio 2021.
Un racconto a tappe, ripercorso anche nell’articolo pubblicato da La Verità, a firma di Roberto Faben.
La storia di Cocciolone può essere riassunta dal momento che ne ha segnato il destino: durante un bombardamento di Kuwait City, il Tornado di Cocciolone e Gianmarco Belini fu abbattuto dalla contraerea irachena. I due si lanciarono con il seggiolino e furono fatti prigionieri dalle truppe irachene: furono separati, gli venne confiscato tutto quello che avevano con loro e furono costretti ad indossare una tuta gialla, che li qualificava come prigionieri di guerra.

Oggi Cocciolone si racconta: 
«Da qualche anno mi divido tra l’Italia e il Brasile, L’Aquila, Roma e Maceió, capitale dello stato di Alagoas, per stare vicino ai miei figli Andrea, Silvia e Alessandro, alla mia cara mamma Gemma, e alla mia famiglia brasiliana con la mia dolce piccolina, Asia Gemma Nicole, e la sua mamma Willy Rose», riporta La Verità.

Da quando si è trasferito in Brasile e perché?
«Da quando mi hanno posto in congedo, nel 2012, per le infermità riportate in servizio. Ho deciso di riunirmi con mio fratello Paolo, per aiutarlo nelle sue attività. Il mio congedo purtroppo è coinciso con la fine del mio matrimonio con la cara Adi, la mamma di Andrea, Silvia e Alessandro. È stato un momento molto difficile per me, con un distacco precoce dall’Aeronautica, subito dopo una dolorosa separazione quando ero già profondamente avvilito per la quasi totale distruzione della mia amata città (a causa del sisma dell’Aquila del 2009, ndr.)».

La decisione di arruolarsi in Aeronautica come nacque?
«Non sono “figlio d’arte”, provengo da una famiglia di operai, sempre dedita al lavoro. Sin dall’infanzia ho avuto due grandi passioni, l’architettura e il cielo. Mi perdevo tra le facciate di chiese a L’Aquila e le scie degli Starfighters, gli F104 della Lockheed. Un giorno vidi su un manifesto l’annuncio di un concorso per entrare in Accademia aeronautica. Era il mio sogno. Senza dire nulla ai miei, feci domanda. Salii sul trenino semivuoto L’Aquila-Napoli, feci visite mediche, test, il concorso. Lo vinsi, fu uno dei momenti più belli della mia vita. Avevo 19 anni. Nel 1986-87 credo, mi ritrovai anch’io in quel manifesto, perché qualcuno ebbe l’idea di mettere una mia foto, mentre salivo su un Tornado nella base di Ghedi».

Cosa ricorda delle violenze subite?

«Dopo pestaggi e torture, con la punta della lingua e il braccio sinistro penzoloni e inerti, fummo trasferiti prima in una prigione da campo maleodorante, dove mi fu ricucita la lingua e sostituita la tuta da volo con i pigiami gialli marcati Pow. Poi, nel locale delle interviste. Poi, in una fortezza di cemento armato che, seppi dopo, era nel cuore di Baghdad. Fummo sempre in isolamento, in una cella senza finestre 2 metri per 3, al buio e al gelo, con una ciotola di brodaglia e un mestolo d’acqua sporca a giorni alterni»

Questo è solo qualche stralcio dell’intervista a Maurizio Cocciolone che potete trovare pubblicata oggi su La Verità. Di seguito, invece, riproponiamo l’intervista curata da Eleonora Falci, per Il Capoluogo.it .

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