Le nuove stanze della poesia

Le poesie della pace: Ecco gli elmi dei vinti di Bertolt Brecht

"Ecco gli elmi dei vinti" di Bertolt Brecht, un'altra poesia della pace per l'appuntamento con la rubrica a cura di Valter Marcone.

Torno in questa settimanale condivisione di alcune delle poesie più conosciute sulla guerra e sulla pace con una poesia di Bertolt Brecht “Ecco gli elmi dei vinti “ perchè mi dà l’occasione di riflettere sulle immagini che ogni giorno, quotidiani, giornali, televisioni e social ci fanno vedere in una sequenza ormai senza termine sullo scenario di guerra dell’Ucraina, Che si arricchisce sempre più di documenti visivi. Mi riferisco a quelle immagini ormai diventate simboli proprio nei primi cento giorni di guerra . Dal convoglio russo alle porte di Kiev agli uomini che nelle prime settimane di conflitto salutavano le proprie famiglie alla stazione dei treni, non sapendo se e quando le avrebbero riviste. Dai civili che aspettano di essere evacuati nei pressi di un ponte distrutto, fino al massacro di Bucha e ai soldati evacuati dall’acciaieria Azovstal.

La sequenza però ha inizio proprio negli anni Novanta del secolo scorso in occasione della guerra in Afghanistan. Sicuramente molti ricorderanno la notte di Bagdad punteggiata da traccianti luminosi della contraerea in risposta al bombardamento della città. Quelle immagini per la prima volta portavano la guerra vera dentro le case di ciascuno di noi e la abilitavano a immagini cinematografiche. Anche se in quella occasione i reporter di guerra inviati da ogni parte del mondo furono costretti e relegati in hotel. Tanto che un gruppo di loro poi pubblicò un interessante libro dal significativo titolo “la guerra degli alberghi”. Da allora molto è cambiato per quanto riguarda proprio il lavoro dei reporter che a volte seguono l’esercito occupante e a volte quello di difesa perchè in entrambi i casi hanno delle protezioni. Come dice Francesca Mannocchi basta essere onesti con i propri lettori e dichiarare loro apertamente appunto che quel lavoro si è potuto fare solo grazie al fatto di essersi aggregati all’una o all’altra parte dei contendenti. C’è poi un altro aspetto che fa riflettere in questo lavoro di documentazione che è evidenziato per esempio , nell’attuale conflitto Russia- Ucraina, dalla morte di numerosi reporter. Almeno 32 giornalisti sono stati uccisi in Ucraina dall’inizio dell’invasione russa: lo ha reso noto su Telegram il ministro della Cultura e della politica dell’informazione ucraino Alexander Tkachenko. il 10 maggio 2022. E’ stata resa nota la morte della giornalista e blogger ucraina Oksana Gaidar (pseudonimo di Ruda Pani) e di sua madre Lydia durante il bombardamento russo del villaggio di Shevchenkove, distretto di Brovarsky, nella regione di Kiev. Uccisi nei bombardamenti russi su Kiev anche il cameraman di Fox News Pierre Zakrevskiy, 55 anni, e la giornalista ucraina Oleksandra Kuvshinova ; a marzo, il 23, è stata colpita a morte da un razzo a Kiev la giornalista di Insider Oksana Baulina. Aveva filmato la distruzione dopo il bombardamento del distretto di Podolsky della capitale da parte delle truppe russe. Gli altri giornalisti uccisi durante la guerra in Ucraina, secondo l’elenco diffuso dall’Institute of Mass Information di Kiev. Sono Alexander Lytkin, Pavel Li, Sergei Pushchenko, Evgenij Sakun, Dilerbek Shakirov, Victor Dedov, Victor Dudar, Lilia Gumyanova, Yuri Oleinik, Oleg Yakunin, Massimo Levin, Mantas Kvedoravichyus, Sergey Zaikovsky, Denis Kotenko, Eugenio Bal, Nezhiboret Romano. In merito ai giornalisti scomparsi, l’ong ucraina segnala ad esempio il caso di Dmytro Khiliuk, scomparso nell’Oblast di Kiev durante l’occupazione russa della regione. Nonostante questa zona sia stata liberata dall’inizio di aprile, del giornalista non si hanno notizie. Inoltre l’aggressione russa contro l’Ucraina ha causato danni all’industria giornalistica ucraina: almeno 113 organi di stampa regionali sono stati costretti a chiudere a causa delle minacce dei russi, del sequestro di redazioni e dell’impossibilità di lavorare in condizioni di occupazione.

Per tornare alle immagini penso tra tutti gli altri ai reportage di Francesca Mannocchi, free lance, che scrive tra l’altro anche su The Guardian e The Observer. In virtù della sua vasta conoscenza della cultura mediorientale, pubblica dei servizi anche per il contenitore Al Jazeera English. Nel panorama giornalistico italiano, Mannocchi colleziona numerose partnership con Internazionale, L’Espresso,oltre a numerose reti televisive italiane Il focus del suo lavoro è il racconto delle storie di conflitti e guerre civili Ma parla nei suoi reportage anche di emigrazione e di storie di emigranti. Nei primi anni della sua carriera si concentra nelle zone calde del mondo che coinvolgono la Turchia e i paesi della Lega araba. Ha ricevuto il Premio Franco Giustolisi “Giustizia e Verità” nel 2015 con l’inchiesta realizzata per LA7 sul traffico di migranti e sulle carceri libiche, il Premiolino per il giornalismo nel 2016 e nel 2021 il Premio Ischia internazionale di giornalismo. Nel 2018 il documentario diretto con il fotografo Alessio Romenzi Isis, Tomorrow. The Lost Souls of Mosul, sui figli dei combattenti dell’ISIS, è stato presentato alla 75ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.Per Giulio Einaudi Editore ha pubblicato nel 2019 Io Khaled vendo uomini e sono innocente, con cui ha vinto il Premio Estense, e nel 2021 Bianco è il colore del danno, libro nel quale parla della sua esperienza con la sclerosi multipla. Con Editori Laterza ha pubblicato nel 2019 Porti ciascuno la sua colpa.
«Le parole sono azioni, non sono mai neutre. Se chiamo un evento fenomeno o emergenza sto raccontando due storie diverse al mio lettore, il convitato di pietra che chi scrive deve sapere di avere sempre di fronte». Ha detto una volta Francesca Mannocchi in un seminario alla Luiss nel 2021 : «Chiamare un uomo miliziano o terrorista significa dare vita a due narrazioni differenti dei fatti. Il modo in cui raccontiamo determina l’opinione pubblica e questa, a sua volta, l’agire politico. Parlare del fenomeno migratorio che caratterizza l’Italia da anni come di un’emergenza causa risposte dettate da uno stato d’allarme che non aiutano a governare la situazione».

«Una crisi, una manifestazione, le vetrine rotte dalle bombe carta, il fronte di Tripoli sono momenti facili da raccontare. Difficile è descrivere quello che non succede: quando finisce la guerra, le telecamere si spengono e i reporter tornano a casa. Ma è nel dopo che si determinano gli eventi. È nell’intervallo tra quel momento e l’inizio di un’altra guerra che succedono le cose, perché i fenomeni non nascono dal nulla e noi dobbiamo avere la caparbietà di raccontare i luoghi anche quando sembra che non succeda niente. È nel vuoto tra il 2011 e il 2014, quando le truppe americane se ne vanno dall’Iraq, che al-Qaeda diventa l’ISIS. Ed è adesso che i bambini dell’ISIS, i cuccioli del califfato, sono rimasti da soli nei campi profughi e si sta generando l’humus del prossimo fondamentalismo. Lo sappiamo già perché l’abbiamo già visto» (https://zetaluiss.it/2021/01/16/francesca-mannocchi-racconta-buon-giornalismo/ Sta tutta qui l’etica professionale e il valore appunto del lavoro della Mannocchi. C’è poi la questione della lingua. Quando una Grande Potenza mette in atto tentativi di conquista di territori fuori dai suoi confini , la “guerra della lingua” è la prima mossa tattica e strategica ,forse ancor prima delle armi , perchè ancora più potente di quest’ultime . Tra le istituzioni immateriali quella che rappresenta più fortemente l’identità e la storia di un popolo è proprio la lingua e quindi intervenendo in vario modo su di essa si avvia un processo di cambiamento in favore dell’occupante. Per esempio nell’attuale guerra tra la Russia e la Ucraina , da settembre la parola “Ucraina” scomparirà dai libri per le scuole della regione di Kherson e i libri di storia saranno ispirati ai principi russi.

Del resto la guerra della lingua è antichissima. Basti pensare al racconto biblico (Giudici,12,4-7) che narra come i Galaaditi dopo aver sconfitto gli Efraimiti cercarono i sopravvissuti per completare lo sterminio. A chi si presentava per traversare il Giordano chiedevano di pronunciare la parola “shibboleh” ,sapendo che per gli Efraimiti la “sh” era impronunciabile. Venivano così uccisi sul posto tutti quelli che avevano difficoltà a pronunciare quella sillaba. In Ucraina accade la stessa cosa nel 2022 . Per identificare i russi gli ucraini usano far pronunciare parole in cui al posto della “g” russa c’è una sorta di “h” chiaramente impronunciabile per infiltrati o sabotatori russi. Tra l’altro l’Ucraina è un paese ricco di lingue . Se ne contano una ventina ( tra cui russo, rumeno, ungherese ecc.) tanto che va ricordato che probabilmente l’invasore russo ha scambiato la russofonia molto diffusa per un sentimento di amore per la Russia. L’invasione ,proprio per questo motivo, doveva essere una passeggiata dell’esercito accolto a braccia aperte. Ciò non è stato. Di più , nel 2019 il presidente dell’Ucraina seppure con una maggioranza risicata ha varato un provvedimento in cui la lingua russa risulta essere un residuo linguistico regionale ,alla pari di molte altre lingue nei confronti della lingua ufficiale che è l’ucraino. Si capisce dunque la voglia di rivincita della Russia che nei territori conquistati impone l’uso della lingua russa. Tra l’altro il Parlamento dell’Ucraina ha preparato un provvedimento che vieta l’importazione di libri in lingua russa fino a mettere fuori dai programmi scolastici la letteratura russa. Gli esempi potrebbero continuare. E c’è la narrazione con saggi e resoconti documentati secondo i canoni proprio della geopolitica. La guerra in Ucraina è il risultato di anni di tentativi diplomatici ed escalation. Ecco 5 libri che aiutano a comprendere cosa stia accadendo e come si sia arrivati fino a questo punto.“Perché l’Ucraina”, di Noam Chomsky.è un saggio in cui il filosofo e scienziato cognitivista Noam Chomsky cerca di rintracciare le cause profonde della guerra che ha investito l’Ucraina, descrivendo – aiutato da fonti e documenti – gli intricati rapporti fra la NATO, la Russia e la Cina, con l’intenzione di fornire una valida chiave di lettura a chiunque voglia sapere di più su questo terribile conflitto. “Kiev”, di Nello Scavo racconta il conflitto a partire dallo scorso febbraio, periodo in cui ha raggiunto l’Ucraina perché le minacce russe sembravano sempre più insistenti e realistiche. Con sapiente maestria, e servendosi di innumerevoli testimonianze dirette,“La Russia di Putin”, di Anna Politkovskajapubblicato per la prima volta in Italia qualche settimana fa – nel 2004. Due anni dopo, viene trovata morta nell’ascensore di casa sua, a Mosca. “La Russia di Putin” è uno dei libri con cui la giornalista ha tentato di fare luce sull’operato del presidente russo, mostrando al mondo intero cosa voglia dire vivere in un paese governato da un dittatore. “Putin. L’ultimo zar, da San Pietroburgo all’Ucraina”, di Nicolai LilinVersione aggiornata di un libro che ha avuto enorme successo, “Putin. L’ultimo zar, da San Pietroburgo all’Ucraina” racconta la vita rocambolesca e l’ascesa politica di Vladimir Putin, “Russia e Ucraina. La mappa che spiega la guerra”è uscito da pochissimo nelle librerie italiane, e promette di chiarificare le ragioni di questa terribile guerra che, di certo, non è cominciata due mesi fa, ma molto prima.

Ecco gli elmi dei vinti
Ecco gli elmi dei vinti, abbandonati
in piedi, di traverso e capovolti.
E il giorno amaro in cui voi siete stati
vinti non è quando ve li hanno tolti,
ma fu quel primo giorno in cui ve li
siete infilati senza altri commenti,
quando vi siete messi sull’attenti

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