Arte

MAXXI L’Aquila, Afterimage: 26 artisti internazionali tra memoria e metamorfosi

MAXXI L'Aquila, presentata la nuova mostra Afterimage. Ventisei artisti internazionali espongono sui temi della memoria e della metamorfosi. Mostra aperta al pubblico dal 2 luglio al 19 febbraio.

MAXXI L’Aquila, presentata la nuova mostra Afterimage. Ventisei artisti internazionali espongono sui temi della memoria e della metamorfosi. Mostra aperta al pubblico dal 2 luglio al 19 febbraio.

Afterimage è una riflessione per immagini sui temi della memoria e della metamorfosi, con riferimento all’illusione ottica (afterimage, appunto), un fenomeno per cui uno stimolo visivo – come il flash di una macchina fotografica, ad esempio – produce un’impressione sulla retina che persiste anche dopo il proprio passaggio. Su questi temi si cimentano 26 artisti internazionali, appartenenti a differenti generazioni, tra pittura, scultura, fotografia, installazioni, video e sperimentazione digitale. A presentare la mostra, che sarà aperta al pubblico da domani, 2 luglio, fino al 19 febbraio 2023, il direttore del MAXXI L’Aquila e curatore della mostra, Bartolomeo Pietromarchi, e il co-curatore, Alessandro Rabottini.
“Tre fili si intrecciano in Afterimage – ha spiegato il direttore Pietromarchi – le nuove commissioni e le installazioni site-specific di artisti italiani e internazionali, le opere della collezione della Fondazione MAXXI e le memorie che gli spazi di Palazzo Ardinghelli evocano. La molteplicità degli sguardi che gli artisti in mostra portano ciascuno con sé ci pongono in una relazione vitale con lo spazio espositivo, di cui sono esplorate tanto le sale quanto l’esterno e i passaggi funzionali, nel tentativo di guardare all’architettura come un organismo vivente, un luogo che ha attraversato i secoli e che ora abita il presente con una nuova identità, ovvero quella di museo d’arte contemporanea”.

afterimage maxxi l'aquila

“In Afterimage – aggiunge Alessandro Rabottini – le immagini e le cose, così come i corpi e le storie sono colti all’interno di una dinamica di perenne trasformazione. I nostri ricordi e gli spazi che abitiamo, le cose che ci circondano così come i simboli che interpretiamo, sono in costante movimento: mutano all’interno della nostra memoria e nella loro stessa essenza materiale. Per quante cose scompaiono, altrettante emergono e Afterimage è il tentativo poetico di guardare ai momenti di fragilità e di impermanenza che punteggiano le nostre vite, ponendosi in ascolto del senso di potenzialità che essi portano con sé.”

afterimage maxxi l'aquila

Le interviste.

L’anteprima della mostra.

I 26 artisti internazionali coinvolti: Francis Alÿs (1959, Belgio/Messico), Francesco Arena (1978 Italia), Stefano Arienti (1961, Italia), Benni Bosetto (1987, Italia), Mario Cresci (1942, Italia), June Crespo (1982, Spagna), Thomas Demand (1964, Germania/Stati Uniti), Paolo Gioli (1942-2022, Italia), Massimo Grimaldi (1974, Italia), Brownyn Katz (1993, Sud Africa), Esther Kläs (1981, Germania/Spagna), Oliver Laric (1981, Austria/Germania), Tala Madani (1981, Iran/Stati Uniti), Anna Maria Maiolino (1942, Italia/Brasile), Marisa Merz (1926-2019, Italia), Luca Maria Patella (1934, Italia), Hana Miletic (1982, Croazia/Belgio), Luca Monterastelli (1983, Italia), Frida Orupabo (1986, Novergia), Pietro Roccasalva (1970, Italia), Mario Schifano (1934-1998, Italia), Elisa Sighicelli (1968, Italia), Dahn Vo (1975, Vietnam/Germania), Paolma Varga Weisz (1966, Germania), Dominique White (1993, regno Unito/Francia), He Xiangyu (1986, Cina/Germania).

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Il percorso della mostra.

Afterimage anima ed esplora ogni spazio di Palazzo Ardinghelli a partire dalla facciata e dall’ingresso. Posta sulla soglia del museo, accoglie il visitatore l’opera site specific realizzata per l’occasione da Francesco Arena, Masso con gli ultimi 5 giorni: un blocco di pietra di oltre cinque tonnellate e attraversato da un carotaggio nel quale, ogni giorno, il personale del museo inserirà un quotidiano, così da creare una costante tensione tra il tempo geologico della pietra, indifferente alle vicende umane, e lo stratificarsi delle notizie quotidiane che incessantemente si susseguono. Superata la corte a esedra, l’opera fotografica stampata su raso Senza titolo (5016) di Elisa Sighicelli sovrasta il maestoso scalone dal sapore borrominiano e ci invita ad addentrarci in un percorso in cui immagini e significati mutano costantemente sotto i nostri occhi.
Acquista piena identità di spazio espositivo il ballatoio ad anello che affaccia sulla corte: qui troviamo Saturniidae, opera site specific di Benni Bosetto che trae ispirazione dall’entomologia e dall’astronomia e che, ispirandosi alla tradizione artigiana abruzzese, evoca con forza il principio della metamorfosi.
Una selezione di scatti della serie Interni mossi, realizzata fra il 1967 e il 1979 da Mario Cresci, i dipinti tragicomici Corner Projection (Dog), Screen Ghost e Ghost sitter dell’artista iraniana Tala Madani e il grande dittico su tela Inventario di Mario Schifano animano le pareti della prima sala del piano nobile, al centro della quale campeggia Sleeping Figure, una nuova commissione di Oliver Laric che ha scansionato, ricreato con tecnologia 3D e moltiplicato una statua romana cui ha ricostruito le sembianze originali precedenti a una manomissione del XIX Secolo.
Nella sala successiva, l’opera site specific Untitled dell’artista danese di origini vietnamite Danh Vo interviene nell’ambiente con una struttura in legno concepita in relazione a un monumentale camino di Palazzo Ardinghelli, e all’interno della quale troviamo fotografie di fiori selvatici del giardino dell’artista accompagnate dai nomi latini delle piante trascritti da suo padre, dando così origine a un dialogo tra l’architettura della natura e lo spazio costruito dall’uomo. Nella stessa sala, l’opera dell’artista Bronwyn Katz Groei Grond, realizzata con lana e reti di materassi trovati a Johannesburg, riflette sul destino della città sudafricana attraverso materiali che trattengono le memorie delle persone che li hanno utilizzati, persone che, a seguito della gentrificazione della città, hanno dovuto lasciare le proprie case. Completano l’allestimento della sala opere della serie Cameron Obscura del 1981 di Paolo Gioli, che guarda all’archeologia della tecnica fotografica per attivare una riflessione sui concetti di traccia e memoria.
Di grande impatto l’installazione ambientale site specific realizzata da Thomas Demand nella Sala della Voliera, composta da un intervento a parete e da una serie di opere fotografiche realizzate nell’archivio dello stilista franco-tunisino Azzedine Alaïa (1935-2017). Nella sala centrale di Palazzo Ardinghelli, Demand mette in scena un dialogo tra simulazione e realtà, tra corpo umano e architettura, tra forme digitali e sagome tattili, secondo l’idea che “tutto sia un modello per qualcosa di più grande che verrà” per citare lo stesso artista.
La relazione tra corpo e architettura è presente anche nelle opere Untitled (Voy, sì) di June Crespo, che esplora le possibilità formali ed espressive di materiali tanto duraturi quanto effimeri, mentre nella stessa sala l’installazione di nuova commissione Fiume buio di Luca Monterastelli crea uno spazio in cui la pietra locale e forme che ricordano reperti archeologici paiono misteriosamente riposare.
A seguire, una successione di sale monografiche, a partire da quella dedicata a Pietro Roccasalva: nelle opere Il Traviatore, From Just Married Machine e The Skeleton Key troviamo la tensione fra ascensione e caduta come metafore del desiderio umano di conoscenza, insieme con il tema della continua generazione e rigenerazione delle iconografie. Immediatamente accanto, la scultura di Paloma Varga Weisz Man, Hanging è sospesa tra il ritratto di un uomo reale e la versione a grandezza naturale di un manichino d’artista e, nella precarietà della sua posizione, diventa simbolo di una condizione esistenziale che percorre l’intera mostra. Il percorso prosegue con la profonda e coinvolgente riflessione sulla figura femminile dell’artista norvegese Frida Orupabo che, attraverso le opere Untitled, Labour Ii, Mother and Child I e Angst riattiva materiali fotografici di archivio per decostruire stereotipi razziali e di genere. Da qui si accede sala dedicata alle opere di Francis Alÿs, con la proiezione di diapositive Sleepers II che ritrae uomini e cani randagi ritratti mentre dormono per le strade di Città del Messico, includendo così nella narrazione visiva della città anche coloro che sono spesso ignorati e la cui presenza risulta invisibile. In mostra anche le due poetiche tavolette dell’opera Untitled (Redemption) e i suoi i relativi studi preparatori, in cui scorgiamo due figure umane immerse nell’acqua intente a scrivere ciascuna sulla schiena dell’altra qualcosa che sarà destinato a scomparire presto.
Il tema della relazione tra il corpo, la sua traccia e la sensibilità dei materiali è al centro delle opere Crescendo, BA/// e Bronzato e di Esther Kläs, poste in dialogo con l’enigmatica scultura in ceramica raku dell’artista italo brasiliana Anna Maria Maiolino.
Anche la sala successiva, dedicata a Stefano Arienti, è ispirata ai concetti di traccia e di impressione, questa volta nella memoria retinica e nella relazione tra fotografia e materiali: gli arazzi tessuti a Penne, in provincia di Pescara, della serie Retina traspongono sulla seta memorie di soggiorni dell’artista sul Gran Sasso, in un dialogo tra elaborazione digitale ed eccellenze artigianali locali. L’elaborazione digitale è al centro anche delle opere di Massimo Grimaldi che, con la serie Scarecrows, presenta immagini processate attraverso filtri ed effetti che, sommati fra loro, producono anatomie distorte e figure a mala pena umane, anticipando l’ormai imminente coesistenza tra un’arte umana e un’arte delle macchine.
Da qui ci si imbatte nell’opera site specific di Dominique White Land, Nation-State, Empire, che esplora in modo viscerale il simbolo della bandiera e i suoi significati culturali, storici e politici fino a mostrarne tanto la fragilità quanto la persistenza attraverso l’accumulo e il deterioramento dei materiali scultorei. Il racconto di Afterimage prosegue con la misteriosa scultura di He Xiangy, Asian Boy, in cui il linguaggio della scultura figurativa e iperrealista traduce gli incerti stati d’animo tipici della giovane età, posti qui in dialogo con le altrettanto enigmatiche immagini della serie Fotofinish di Paolo Gioli, in cui calchi di visi transitano in forme naturali.
Da questa sequenza di sale siamo invitati a percorrere gli spazi curvi del ballatoio, che ospitano la serie Materials dell’artista croata Hana Miletić, in cui immagini scattate nelle città di Zagabria e Sisak dopo gli eventi sismici del 2020 sono trasformate in delicate opere tessili: gesti di riparazione spontanei e provvisori diventano così duraturi e tangibili. Ci si avvia dunque verso la fine della mostra attraverso la sala intima e raccolta che ospita l’opera Senza Titolo di Marisa Merz, un dittico che richiama la forma delle pale d’altare e che suggerisce un’osmosi tra pittura e scultura, tra esseri umani ed esseri angelicati, tra l’atto delle creazione artistica e la dimensione della maternità. La mostra si conclude quindi con la sala dedicata alla proiezione dell’opera filmica Terra Animata di Luca Maria Patella, un viaggio onirico tra gli elementi naturali e le azioni umane e che prefigura un paesaggio cromatico dall’aspetto alieno.

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