Cultura

John Fante, la leggenda americana con radici abruzzesi

Lo scrittore John Fante: la leggenda americana cresciuta sulle radici abruzzesi. I ricordi familiari di Torricella Peligna.

Lo scrittore John Fante: la leggenda americana cresciuta sulle radici abruzzesi. I ricordi familiari di Torricella Peligna.

John Fante, vide la luce, nella capitale del Colorado, Denver, l’8 aprile 1909, da Nicola, un immigrato proveniente dal borgo di Torricella Peligna (Ch), nell’ allora Abruzzo e Molise. La mamma Mary Capolungo, cattolicissima, era nata a Chicago, da una famiglia d’origine lucana. Un’infanzia povera ed irrequieta quella di John, primo di quattro fratelli, che lascia la stessa Università del Colorado, attratto come tanti pionieri dalla nuova “Terra Promessa” californiana, specie dopo la pesante crisi del 1929. Il grande folk-singer Woody Guthrie, dall’Oklahoma, già percorreva le strade polverose, narrate poi dallo scrittore J. Steinbeck, in “Furore”. Proprio agli inizi del nuovo decennio, con la passione della scrittura, il poco più che ventenne aspirante narratore inizia la sua dura gavetta, come testimonia la sua lettera alla madre Mary, restata a Roseville: “Cara mamma, passo il mio tempo a scrivere, fino a che la situazione prenderà una piega migliore. Ogni scrittore deve fare la fame per un po’ prima di valere qualcosa”. Una grande determinazione e spirito di sacrificio del giovane John, che inseguiva strenuamente il suo sogno ad occhi aperti, accettando intanto di fare l’operaio in uno stabilimento di pesce e del ghiaccio. I suoi legami affettuosi con la madre, i due fratelli e la sorella Josephine, riaffiorano nei suoi ricordi d’ infanzia, nelle opere di Fante, incarnate dal suo “alter ego”: Arturo Bandini, anche con il dolore dell’abbandono del padre della loro casa, per seguire un’altra donna, in “Aspetta Primavera, Bandini”. Dopo la madre ed i fratelli lo raggiungeranno, con la sua affermazione come sceneggiatore nel dorato mondo dell’industria cinematografica californiana, rievocato in “La Strada per Los Angeles”, uscito però dopo la sua morte, avvenuta l’8 maggio del 1983, in California. Come in una lunga seduta di psicanalisi, John Fante, cerca di dominare la sua rabbia ed aggressività, con la cura della scrittura, ricercando una nuova pace interiore con la sua famiglia, (sposando Joyce Smart nel 1937, che le darà quattro figli), pubblicando i primi racconti sulla rivista “American Mercury”, iniziando a maturare il linguaggio peculiare dello sceneggiatore da film, che lo consacrerà come un maestro. In quel mondo il suo incontro con altri italo-americani, come i fratelli E.& J.Pagano, gli apriranno le porte della stessa Metro-Goldwyn Mayer, ad Hollywood. Un rapporto comunque controverso ed intermittente quello di Fante con il cinema, che vedeva quasi come una costrizione (“Non mi piace lavorare per i film”), scriveva alla madre nel 1934, con la sua solita schiettezza ed autoironia, che però gli procurò non pochi problemi con i suoi colleghi e produttori. Questi ricordi sono stati ripresi dal figlio Dan, anch’ esso scrittore, che nel 2012 fu ospite del “Festival J.Fante”, a Torricella Peligna, da dove il nonno era partito, richiamando anche gli ultimi anni tormentati del padre, malato di diabete e frustrato dal considerarsi : “Un’ icona letteraria misconosciuta”, dopo decenni di sceneggiature. Infatti solo postumo nel 2006, fu trasposto in un film il suo “Chiedi alla Polvere”, del 1939, (con Tom Cruise produttore), che darà sempre la voce ad Arturo Bandini, ovvero sé stesso. Una figura straordinaria ed ancora attualissima di scrittore, che deve essere ristudiato per le sue origini, come ora rimarca la stessa Sandra Leonardi, Geografa dell’Università “La Sapienza”, lavorando per il Touring Club Italiano: ” Un Atlante meraviglioso di luoghi di ricordi, di beni naturali e bellezze storico-artistiche, che suscitano emozioni e sono motivo d’ispirazione”. Ed ancora: “Fante guarda alle terre abruzzesi ed a Torricella Peligna, con gli occhi di un italiano di seconda generazione, che come spesso accade, è in conflitto con la sua cultura d’ origine, ma ciò nonostante è sempre pieno di compassione per i suoi Cari…Paesaggi simbolici e poetici legati alla memoria paterna”, che refluiscono spesso sui temi ricorrenti delle migrazioni, che vanno coltivati per mantenerli sempre vivi, nel passaggio delle sue generazioni, che rischiano di allentare i legami, facendo prevalere il solo oblio. Lo stesso Gabriele D’Annunzio, “Il Vate” ebbe il suo terzogenito Ugo Veniero (classe 1877), ingegnere e imprenditore italo-americano, che visse dal 1917, alla sua morte, nel 1945, negli USA, a New York.

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