Lo studio

Calderone, le immagini dal cuore gelato del Gran Sasso

Il ghiacciaio del Calderone al centro dello studio dell'istituto di Scienze Polari del CNR e dell' Università Ca' Foscari di Venezia: le immagini dal cuore gelato del Gran Sasso

Il ghiacciaio del Calderone al centro dello studio dell’istituto di Scienze Polari del CNR e dell’ Università Ca’ Foscari di Venezia: le immagini dal cuore gelato del Gran Sasso

Un team di ricercatori e studiosi è salito sul ghiacciaio del Calderone per prelevare un campione di ghiaccio e studiare i vari cambiamenti degli ultimi anni. Il ghiacciaio del Calderone è il più meridionale d’Europa; quasi vent’anni fa la sua massa ghiacciata si è spezzata in due, una parte superiore e una inferiore. Dall’inizio degli anni Duemila, quindi, non si può nemmeno più parlare di ghiacciaio ma di “glacionevato”: un accumulo di ghiaccio di ridotta superficie e di limitato spessore, dove anche se d’inverno nevica abbondantemente d’estate la fusione è così veloce che la massa ghiacciata si riduce comunque.

ghiacciaio del calderone - gran sasso

Nel video pubblicato da Focus le splendide immagini dal cuore ghiacciato del Gran Sasso. Nel team di ricercatori c’era Fabrizio De Blasi: “Nella storia recente del glacialismo Italia, il Calderone rappresenta l’ultimo scampolo di ghiaccio della catena appenninica e il corpo glaciale più a sud d’Europa. Ufficiosamente è stato declassato a corpo glaciale statico perchè privo di movimento verso valle (caratteristica dei ghiacciai). Il Corpo glaciale purtroppo  èdiviso in due porzioni e nel tempo, anche a causa del riscaldamento globale, ha perso massa”. Oltre a De Blasi, anche Massimo Pecci, ricercatore del Cnr. “A fine ‘800 qui c’erano circa 70 metri di ghiaccio, oggi resiste grazie all’accumulo di neve invernale e a uno strato di detriti che in estate lo proteggono. La neve trasportata dal vento qui dentro trova un recapito naturale”.

L’obiettivo della missione è stato quello di prelevare il ghiaccio per conservarne la memoria. Come ha chiarito il ricercatore Jacopo Gabrieli, “dentro gli strati del ghiacciaio abbiamo tutta una serie di informazioni, una sorta di libro le cui pagine ci raccontano com’era il nostro pianeta nel passato”. Per recuperare il ghiaccio è stata prima fatta un’ispezione volta a determinare il punto migliore per la perforazione, come una sorta di radiografia al ghiaccio.

Missione Calderone, parte l’analisi del ghiaccio per salvarne la memoria

“È stato utilizzato – ha spiegato Stefano Urbino ricercatore dell’Istituto nazionale di Geofisica e vulcanologia – un radar da esplorazione, uno strumento che emette onde elettromagnetiche e le ascolta con un’antenna ricevente che ci consente di controllare lo spessore della separazione tra neve e ghiaccio e tra ghiaccio e roccia. Si prendono tantissime misure e lungo un profilo siamo in grado di ricostruire la morfologia degli ispessimenti. Sono catalogazioni importanti che consentono di vedere dove la neve è meno spessa, quindi poter scegliere in modo consono il sito di perforazione”.

Se le carote di ghiaccio si dimostreranno un archivio sufficientemente conservato, potranno ambire a essere custodite per decenni nel ‘santuario’ dei ghiacciai montani in sofferenza, che sarà realizzato dal programma internazionale Ice Memory. Prima bisognerà indagare per capire se gli strati di ghiaccio accumulati nei secoli sono ancora al loro posto, oppure sono stati mescolati dalla fusione dovuta all’innalzamento delle temperature.

Il video integrale di Focus, pubblicato sulla pagina Facebook di Meteo Aquilano

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