L'altra dimensione

Dall’Ucraina alla storia, l’altra dimensione della guerra: quando l’odio porta alla catastrofe disumana

Ucraina, il perché della guerra non sa spiegarlo nessuno. Tra delirio di onnipotenza, dittatura e contrasto odio-amore, sono molti i corsi e i ricorsi storici. L'altra dimensione: le ragioni che portano l'odio a prevalere

Sono trascorsi due mesi e mezzo dall’inizio della guerra tra Russia e Ucraina e continuiamo tutti a chiederci “perché”. Tante le risposte dalla geopolitica, ma leggere le dimensioni della catastrofe è ogni giorno più difficile. Tra delirio di onnipotenza, dittatura e rapporto odio-amore, sono molti i corsi e i ricorsi storici a fare da sfondo alle immagini, strazianti, di scene che ci sembrava di aver visto solo sui libri di storia o nei kolossal americani.

L’altra dimensione della guerra, quella più nascosta rispetto alle pagine di giornale che la raccontano, o ai servizi dei telegiornali quotidiani, più nascosta rispetto all’informazione che continua a rincorrersi, con troppe smentite e, ancora, rispetto una censura sempre più soffocante che rimbalza dalla Russia. La guerra continua e continua, parallelamente, a far discutere. Tornano, allora, in evidenza quei rapporti storicamente in conflitto e le pulsioni che si scatenano negli esseri umani e che, se fuori controllo, portano all’improvviso al delirio. Da lì alla guerra il passo può essere paurosamente e inaspettatamente breve.
L’altra dimensione della guerra appunto, quella psicologica. Quella che indaga le ragioni psichiche dietro ai comportamenti dei suoi attori principali e che, comunque, non riesce a rispondere alla domanda più grande. “Perché?”.

guerra ucraina foto Afp

“La guerra è espressione di una catastrofe disumana e, ancora oggi, è nuovamente il mezzo per far riscrivere la storia dell’umanità”. Un’umanità che appare sempre più in pericolo, sotto i colpi della disumanità che nessuno sa come fermare, senza rischiare di aggravare la situazione. Al Capoluogo le riflessioni e l’analisi della psicologa e psicoterapeuta aquilana Chiara Gioia.
“Tutte le guerre consumate nel passato hanno rappresentato il divario tra due immaginari portanti: quello della libertà e quello della dittatura. Espressioni che vanno dalla nevrosi alla psicosi dell’uomo in preda al delirio di onnipotenza, incapace di guardare al mondo se non attraverso l’odio“.
Perché è di odio che si tratta e di fronte all’orrore della guerra non ci sono ragioni che tengano.
“C’è chi sostiene
– continua Chiara Gioia – che le guerre hanno alla base sempre le loro ragioni, personali e collettive, ma al di là della tipologia di guerra, sia essa religiosa, coloniale, civile, comprenderne il perché – e il perché in un certo luogo o in un certo tempo – è sempre complesso, se non addirittura impossibile“.

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“Con la guerra si osservano il bisogno, il desiderio e poi la necessità di quella rivendicazione ‘dell’esser qui per forza’, che può assumere una valenza simbolica che va oltre lo spazio e il tempo. Pensando, in questo caso specifico, agli ucraini questo comportamento non indica solo che non si è fuggiti e che si rimane ancorati alla propria terra, accanto a chi combatte senza sapere per quanto né con quale risultato. Oltre a tutto questo, infatti, c’è una condizione di incertezza costante che però, al tempo stesso, rappresenta anche la dinamicità che – ad un certo punto – porterà ad un’evoluzione. L’evoluzione inevitabile di un conflitto a cui tutti assistiamo inermi oramai da tempo”.
“La guerra, inoltre, mette in evidenza una contrapposizione. Da un lato c’è chi esalta la distruzione, addirittura si esalta il massacro finalizzato a portare a compimento l’eliminazione dell’avversario; dall’altro lato c’è la vitalità dell’essere, quella speranza più grande del terrore. È evidente, comunque, che la guerra storicamente dimostra i limiti della civiltà umana e della sua natura
.

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Le guerre nella letteratura e nella filosofia

In filosofia e letteratura si trovano molteplici interpretazioni diverse e letture del fenomeno della guerra. Chiara Gioia ne ricorda qualcuna: “Secondo il grande storico militare John Keegan la guerra appartiene alla cultura. A suo avviso Civiltà e Guerra non sono in conflitto, ma mutano le vie attraverso le quali entrambe perseguono la soddisfazione della pulsione. 
Anche numerosi testi freudiani esplorano cause e conseguenze dell’intreccio tra guerra e legame sociale
In particolare, dalle considerazioni di Freud si possono esaminare e classificare due tipi di guerra d’ambito familiare: la guerra contro il padre e quella che oppone i fratelli tra di loro. Le guerre effettive, quelle reali, si presentano proprio come un intreccio tra i due aspetti. Freud riporta, inizialmente, modalità finalizzate a liberare gli uomini dalla guerra: cioè il diritto, il disimparato delle pulsioni, la rimozione, l’esacerbazione del conflitto e il trattamento dell’identificazione. Quella dello psicanalista è, o prova ad essere, una risposta tramite la cultura, interpretazione senz’altro complessa da comprendere. Freud analizza la minaccia della guerra attraverso due strumenti: il dualismo pulsionale e il contrasto dentro/fuori ed esamina quindi le possibilità per scongiurare il conflitto. Giunge, tuttavia, alla conclusione che le 5 possibilità da lui individuate risultano insoddisfacenti e incapaci di assicurare la pace”. 

L’Odi et Amo di Catullo. Amore e Odio: come si inseriscono nell’interpretazione della guerra?
Odio ed amore sono sentimenti che razionalmente è impossibile analizzare contemporaneamente, tuttavia dal punto di vista psicoanalitico è possibile concepirli 
insieme. Seguendo la ‘logica emozionale’, nell’inconscio l’amore e l’odio possono convivere ed è da questo concetto, estraneo alla ragione, che nascono dolorosi dissidi interiori.
La poesia catulliana inizia con una frase a effetto: ‘odi et amo’, che si intreccia dolorosamente al tema personale. I versi sono riconducibili alla storia: alla corruzione del mondo da cui Catullo vorrebbe tenersi lontano, attraverso la disgregazione della donna. Ecco allora il conflitto interiore: non si può semplicemente odiare la donna in quanto tale, ma la si può odiare in riferimento all’impossibilità di essere amato da lei. Attingendo da Catullo, allora, viene spontaneo chiedersi ‘Come si può desiderare di amare chi si odia?’. La mente umana fatica a comprenderlo e così ne nasce sofferenza. Perché la parte razionale individuale fa difficoltà a riconoscere il dualismo tra amore e odio che, seppur opposti nel loro modo di esprimersi, convivono nella psiche umana. La guerra, quindi, non si giustifica in alcun modo ma tende ad uno scopo che l’individuo vuole raggiungere, quando in lui predomina l’odio”.

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La teoria della ghianda di Hillman e Hitler.
“Nessun individuo nasce senza uno scopo, assunto basilare nel pensiero hillmaniano in merito alla sua ‘teoria della ghianda’.
Proprio J. Hillman ritiene che ogni individuo sia portatore di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta. La ghianda, piccolissima, contiene in sé la globalità dell’intera quercia.
 Se il suo habitat e tutte le condizioni esterne glielo concederanno, quella sarà la sua massima realizzazione.
Tra tutti i personaggi che Hillman prende in considerazione come esempio, ad uno viene dato un ruolo di particolare rilievo: Adolf Hitler. La sua figura è emblematica in riferimento alla domanda sulla natura del male: può la ghianda essere malvagia? Hillman pone Hitler in uno stato di passività rispetto alla sua ghianda: questo cattivo seme non ha trovato opposizione nella persona che lo ospitava. Quindi Hitler è stato totalmente succube della sua vocazione al male, come se fosse un’entità distinta, verso la quale non aveva il potere di opporsi. Ovviamente, non va assolutamente interpretata come giustificazione, bensì come lettura analitica delle sue azioni.
La natura umana, come già riportato da Freud, ha un’innata propensione alla violenza e alla distruzione. Tutti gli individui hanno una controparte di ombra, che in alcuni casi resta latente e controllata in modo funzionale, mentre in altri emerge fino a prendere il sopravvento in ogni azione, dando voce alla distruzione individuale e collettiva”. 

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