Cronaca

Mafia nigeriana, chiesti complessivamente altri 30 anni di carcere per tre imputati

Udienza per il processo alla cosiddetta Mafia nigeriana, requisitoria del pm per altri tre imputati: chiesti complessivamente oltre 30 anni di carcere.

L’AQUILA – Udienza per il processo alla cosiddetta Mafia nigeriana, requisitoria del pm per altri tre imputati: chiesti complessivamente oltre 30 anni di carcere.

Nuova udienza alla cosiddetta Mafia nigeriana oggi presso il Tribunale dell’Aquila. Il pm Stefano Gallo ha chiesto complessivamente 30 anni di carcere per altri tre imputati. Nella scorsa udienza, il pm aveva chiesto 14 anni per l’assistito dell’avvocato Carlotta Ludovici, considerato il braccio destro di “Titus”, il capo del cult italiano della Black Axe che secondo la ricostruzione dell’accusa operava proprio da L’Aquila.

Mafia nigeriana a L’Aquila, l’accusa chiede 14 anni per il braccio destro di Titus

Nell’udienza di oggi, invece, chiesti rispettivamente altri 14 anni per un altro soggetto, considerato figura apicale nell’organizzazione, 6 anni e 8 mesi per un’altra persona e 10 anni e 8 mesi per un terzo imputato, per un totale di oltre 30 anni di carcere.
Oggi il pm Gallo ha ricostruito le vicende legate alle Black Axe, dettagliando il presunto ruolo degli imputati. Per altre due persone la requisitoria è attesa per il prossimo 16 maggio e successivamente la parola passerà alla difesa, per procedere quindi con le sentenze che dovrebbero arrivare a stretto giro. A pesare sulle richieste del pm, l’accusa ex 416bis, relativa all’associazione a delinquere di stampo mafioso che la difesa contesta.

Black Axe a L’Aquila.

Come ricostruito durante la conferenza stampa seguita all’operazione “Hello Bross”, la Black Axe nasce originariamente come confraternita universitaria operante in Nigeria con sanissimi propositi, sui temi dell’anticolonialismo e dell’antirazzismo. Nel tempo, però, l’organizzazione ha perso i connotati originali, sfociando in una vera e propria associazione a delinquere che, secondo l’ultimo rapporto dell’FBI, è operativa in oltre 80 stati del mondo ed è considerata la più pericolosa. L’organizzazione è suddivisa territorialmente in “cult” che possono corrispondere al territorio nazionale, come nel caso dell’Italia, o più ampio. A capo del cult italiano, quindi, il 35enne che aveva scelto L’Aquila come centrale operativa.
Affiliazione: proprio come le mafie “nostrane”, come spiegato dal commissario Benedetta Mariani, responsabile dell’Ufficio di Polizia giudiziaria della Procura, e all’epoca dei fatti alla Squadra Mobile aquilana, l’affiliazione alla Black Axe avviene attraverso protocolli rigidissimi e riti: intanto bisogna essere presentati da una sorta di “padrino” che fa da “garante” della fedeltà del nuovo affiliato, che era sottoposto a prove di coraggio e riti nei boschi, a base di “bombe” di stupefacenti o le cosiddette Kokoma. “Titus” era un “integralista” della Black Axe, ovvero – oltre al basso profilo – imponeva che le nuove leve venissero affiliate solo in Nigeria. Una mafia che, come le mafie più evolute, ha gradualmente abbandonato la “violenza deflagrante” contro i singoli, come rilevato dal Procuratore Renzo, per la “violenza sui sistemi”, come quello economico. Nei due anni di attività sotto indagine, infatti, la Black Axe ha mobilitato circa 1 milione di euro, utilizzando anche bit coin.

“Titus”, considerato il capo del cult italiano, era sbarcato a Pozzallo nel 2014, da un barcone proveniente dalla Libia. Era stato quindi assegnato in un centro di accoglienza dell’Aquila, dov’era rimasto per circa due anni, prima di partire per Reggio Emilia. Ma “Titus” aveva poi deciso di tornare a L’Aquila, per due ordini di motivi: la posizione centrale e vicino a Roma, che gli permetteva di gestire meglio i contatti con i vertici del cult e la tranquillità del capoluogo abruzzese, dove era possibile perseguire una delle regole base: basso profilo.
Una laurea nel settore economico e una buona famiglia alle spalle, un profilo “insolito” per quello che è considerato un capo mafia, ma la Black Axe d’altra parte non rappresenta la “solita mafia”. Non gambizza e non ammazza, perché poi “arriva la polizia”, ma preferisce “l’attacco ai sistemi”, come quello economico, all’attacco fisico, anche se all’occorrenza non manca nemmeno la violenza sulle persone.

Da verificare, ora, se quelle accuse per Titus, per colui che ne è considerato il braccio destro assistito dall’avvocato Ludovici e gli altri imputati, saranno accertate a livello giudiziario in tribunale.

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