Le nuove stanze della poesia

Le nuove stanze della poesia, “Compagni di banco” di Marino Moretti

"Compagni di banco" di Marino Moretti: un'altra poesia dai libri di scuola per l'appuntamento con la rubrica a cura di Valter Marcone.

La poesia “Compagni di banco” è stata scritta nel 1911, probabilmente mentre Marino Moretti era a Napoli, ed è uno struggente ricordo dei giorni di scuola in cui si sono concentrate, in questo caso, ma anche per ciascuno di noi, esperienze essenziali. A partire appunto dall’apprendimento compito importantissimo che questa istituzione ha nella formazione degli individui, per continuare poi con le prime delusioni, le voglie di affermazione, le prime amicizie, i primi amori, i rapporti con gli insegnanti, le relazioni con i compagni.

In questo contesto il compagno di banco rappresenta l’amico, il confidente, la persona con la quale si compie un cammino importante per la crescita personale. Un compagno al quale siamo stati disposti a dare tutto, con il quale abbiamo diviso molte cose e che poi negli anni ci è rimasto dentro ad occupare una parte del cuore. Non importa quanto tempo sia passato, il Poggiolini di ciascuno di noi, ora vive una sua vita autonoma che molte volte non conosciamo. L’importante è che ci riempia ancora il cuore qualsiasi lavoro faccia, qualsiasi siano le occupazioni della sue giornate . Il più grande desiderio, è vero, a volte è quello che ci restituisca un’ora di quei giorni, di quegli anni. E tante volte ci riesce perché il ricordo ci aiuta ad affrontare la vita nel presente con quella specie di viatico che rappresentano sempre i ricordi, brutti o belli che siano fanno parte proprio di quella vita che viviamo.

In questa poesia c’è buona parte del crepuscolarismo di Moretti. Abbandona la scuola a diciassette anni ,conosce Palazzeschi e pensa di dedicarsi alla vita da attore .Ma poche sono le speranze di carriera teatrale, e si dedica alla scrittura poetica. La prima raccolta, “Fraternità”, risale al 1905, e già vi si respira un tono crepuscolare assai vicino alle scelte di Sergio Corazzini, e che viene confermato dalle opere più note: le Poesie scritte col lapis (1910) e le Poesie di tutti i giorni (1911), seguite da Il giardino dei frutti nel 1916 (senza per altro dimenticare la produzione novellistica, da Le primavere a Il paese degli equivoci). Di quest’ultima raccolta fa parte la poesia più celebre dell’autore, “A Cesena”, esempio assai calzante della poetica morettiana. Il componimento descrive infatti la mediocre quotidianità di una visita alla sorella da poco sposatasi, in tono asciutto e prosaico. Finita la prima guerra mondiale, Moretti decide così di pubblicare una selezione della propria produzione giovanile: nel 1919 esce presso Treves un’antologia, nuovamente intitolata Poesie scritte col lapis, che conclude l’esperienza crepuscolare di Moretti.

Compagni di banco

Oh, Poggiolini! Lo rivedo ancora
con quel suo mite sguardo di fanciulla,
e lo risento chiedermi un nonnulla
con una voce che… non so… m’accora.
Che cosa vuoi? Son pronto a darti tutto:
un pennino, un quaderno, un taccuino,
purché tu venga per un po’ vicino
al cuore che ti cerca dappertutto.
Oh non venirmi accanto come sei
ora: avvocato, chimico, tenente,
ché cercheresti invano nella mente
il mio ricordo dandomi del lei!
lo non voglio saper, fratello, come
passaron gli anni sopra la tua vita:
voglio l’occhiata timida e smarrita
che rispondeva, un giorno, al tuo cognome.
Voglio che tu mi renda per un’ora
la parte del mio cuor che tu non sai
di posseder, da tanto tempo ormai!
e noi saremo i due compagni ancora!
Noi siederemo ad uno stesso banco
riordinando i libri a quando a quando,
e rileggendo un compito, e guardando
sul tavolino un grande foglio bianco…
Il registro, a cui tutti eran diretti,
quando c’interrogavano, gli sguardi;
io lo sapevo a mente… Leonardi,
Massari, Mauri, Méngoli, Moretti…
Il registro coi voti piccolini
nelle caselle dietro i nomi grandi,
tu lo sapevi a mente… Nolli, Orlandi,
Ostiglia, Paggi, Poggi, Poggiolini…
Dio, che tristezza ricordare questi
nomi d’ignoti a cui demmo del tu!
nomi che non si scorderanno più,
perché in fila così, perché modesti!
O Poggiolini, che fai tu, che pensi?
Forse tu vivi in una tua casina
odorata di latte e di cedrina,
e sguardi e baci ai figli tuoi dispensi!
Forse la sera giuochi la partita
fino alle dieci e mezzo (anche più in là!)
con la moglie, la suocera… e chissà,
forse con Poggi o Méngoli! …La vita!
lo nulla. Quello che fu mio lo persi
strada facendo, quasi inavvertitamente;
e adesso, se ho un foglio e una matita,
faccio – indovina un po’ – faccio dei versi!

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