8 marzo: storie di donne

Irena Sendler, un riconoscimento a L’Aquila per la donna polacca che salvò 2500 bambini ebrei

Irena Sendler: "Ogni bimbo salvato con il mio aiuto è la giustificazione della mia esistenza". La storia di un angelo che ha salvato la vita a 2500 bambini ebrei.

Irena Sendler: nella giornata dedicata alle donne scopriamo la storia dell’angelo polacco dagli occhi buoni che salvò migliaia di bambini ebrei durante le persecuzioni naziste e che avrà un  riconoscimento a L’Aquila dove le verrà intitolata una strada, una piazza o un’area verde. Discreta e coraggiosa, Irena Sedler era un’infermiera e assistente sociale polacca; durante la Seconda Guerra Mondiale la salvato oltre 2.500 innocenti. La sua storia di coraggio e abnegazione rimase sconosciuta per quasi 50 anni.

Irena Sendler nel 2007 fu dichiarata eroe nazionale dal Parlamento polacco ma, ormai 97enne, non riuscì a ricevere di persona l’onoreficenza. Scrisse quindi una lettera divenuta famosa. La sua storia, praticamente rimasta sconosciuta per quasi 50 anni, fu scoperta per caso nel 1999 da un gruppo di studenti provenienti dagli Stati Uniti che stavano lavorando in Polonia a un progetto sull’Olocausto (progetto Life in a jar).

Il riconoscimento a L’Aquila arriva a seguito dell’adesione del Comune alla campagna di sensibilizzazione “8 marzo: 3 donne 3 strade” promossa dall’associazione Toponomastica Femminile con il patrocinio dell’ANCI, che prevede l’intitolazione di strade, piazze, aree verdi e spazi pubblici alle donne che in passato hanno contribuito al progresso e allo sviluppo del nostro Paese con il loro impegno sociale, culturale, religioso e politico.

8 marzo a L’Aquila, 3 donne per 3 strade: la campagna di Toponomastica femminile

“Ogni bambino salvato con il mio aiuto è la giustificazione della mia esistenza su questa terra, e non un titolo di gloria”. Aveva detto nel 2007 quando ricevette l’onorificenza di Giusto tra le nazioni. Nata nel 1910 a Varsavia, Irena rimase orfana di padre a soli 7 anni; fin dalla sua prima infanzia si sentì molto vicina alla popolazione ebraica, che già nella fase precedente allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale era stata oppressa dal governo polacco. All’università, per esempio, si oppose alla ghettizzazione degli studenti ebrei, e come conseguenza venne sospesa dall’Università di Varsavia per tre anni; più tardi entrò di nuovo nella facoltà e riuscì a terminare i suoi studi.

irena sendler

Nel 1939, durante l’invasione della Polonia da parte dei tedeschi, lavorava a Varsavia come responsabile delle cucine comunitarie dove si forniva cibo e conforto a orfani, anziani e persone bisognose, cercando così di alleviare le sofferenze di migliaia di persone. Inoltre, tramite queste mense venivano anche consegnati vestiti, medicine e denaro. Nel 1942, in risposta alla creazione di un ghetto a Varsavia dai nazisti, si arruolò nel Consiglio per l’aiuto agli ebrei, noto come “Zegota” e in questo periodò cominciò la sua opera per cercare di strappare i più piccoli all’orrore dei campi di sterminio. Tante famiglie  le affidarono i propri piccoli, decidendo di separarsi con la speranza di salvarli da una morte certa.

Come dipendente dei servizi sociali della municipalità, la Sendler ottenne un permesso speciale per entrare nel ghetto alla ricerca di eventuali sintomi di tifo (i tedeschi temevano che una epidemia di tifo avrebbe potuto spargersi anche al di fuori del ghetto stesso). Durante queste visite, la donna portava sui vestiti una Stella di Davide come segno di solidarietà con il popolo ebraico, come pure per non richiamare l’attenzione su di sé. Irena cominciò a collaborare con la Resistenza polacca con il nome di battaglia di “Jolanta”. Insieme ad altri membri della Resistenza organizzò la fuga dei bambini dal ghetto. più piccoli vennero portati fuori dal Ghetto dentro ambulanze o altri veicoli. Li nascose ovunque: nei sacchi della spazzatura, nelle bare, riuscendo così a salvargli la vita. Per un anno e mezzo sono scomparsi più di 2.500 bambini del ghetto grazie alla sua opera.

Quando fu intervistata, nel 1999, ricordò alcuni passaggi di quel periodo: “Ho ricevuto, per me e il mio collega Schultz, identificazioni dall’ufficio della salute, uno dei cui compiti era la lotta contro le malattie contagiose. Più tardi, sono riuscito a ottenere i lasciapassare per altri collaboratori. Poiché i tedeschi temevano un’epidemia di tifo, hanno tollerato il controllo del sito da parte dei polacchi”.

In un’epoca ben precedente ai computer la donna schedò tutti i bambini che aveva fatto fuggire per poter poi, dopo la guerra, cercare di ricongiungerli con le famiglie di origine. Aveva inserito tutti i dati in dei barattoli che aveva poi seppellito nel giardino della sua casa.

Purtroppo, nell’ottobre del 1943 fu arrestata dalla Gestapo in seguito a una soffiata. Torturata (le vennero fratturate le gambe, tanto che rimase inferma a vita), seviziata e condannata a morte, non ha mai rivelato i dati dei bambini o i nomi dei suoi collaboratori. poco prima di finire davanti al plotone di esecuzione, grazie all’aiuto di un soldato nazista riuscì a scappare di prigione. Il suo nome era annotato nell’elenco delle persone giustiziate, ma questo non rappresentava un ostacolo: contò a lavorare fino alla fine del conflitto con false generalità. 

A fine guerra consegnò la lista dei nomi al Comitato di salvataggio degli ebrei sopravvissuti. Riuscì a rintracciare circa 2.000 bambini che vennero poi adottati o portati in Palestina, dal momento che la maggiorparte delle famiglie erano state sterminate a Treblinka e negli altri lager.

Nel 1965 venne riconosciuta dallo Yad Vashem di Gerusalemme come una dei Giusti tra le nazioni. Soltanto in quell’occasione il governo comunista le diede il permesso di viaggiare all’estero, per ricevere il riconoscimento in Israele. Dopo decenni di vita in quasi totale anonimato, la sua storia venne finalmente alla ribalta. Un giornale polacco pubblicò una fotografia e nonostante fossero passati più di 50 anni, tanti di quei bambini, diventati adulti, riconobbero l’angelo che gli aveva salvato la vita.

Nel 2003, Papa Giovanni Paolo II le inviò una lettera personale lodandola per i suoi sforzi durante la guerra. Il 10 ottobre 2003 ricevette la più alta decorazione civile della Polonia, l’Ordine dell’Aquila Bianca, e il premio Jan Karski “Per il coraggio e il cuore”, assegnatole dal Centro Americano di Cultura Polacca a Washington. Nel 2007 l’allora Presidente della Repubblica di Polonia Lech Kaczyński, avanzò la proposta al Senato del suo Paese perché fosse proclamata eroe nazionale. Il Senato votò a favore, all’unanimità. Invitata all’atto di omaggio del Senato il 14 maggio dello stesso anno, all’età ormai di 97 anni non fu in grado di lasciare la casa di riposo in cui risiedeva, ma mandò una sua dichiarazione per mezzo di Elżbieta Ficowska, che aveva salvata da bambina. Sempre nel 2007 si fece il suo nome per il premio Nobel per la pace, alla fine tuttavia, il premio venne assegnato ad Al Gore. È morta il 12 maggio 2008, all’età di 98 anni.

Non ha mai pensato di ricevere alcun omaggio per il suo altruismo, né per aver sopportato la tortura dei nazisti, né per le angherie subite successivamente durante il regime comunista, per lei era sempre più importante aiutare gli altri che qualsiasi tipo di riconoscimento. “Questi atti erano la giustificazione della mia esistenza sulla terra, e non un titolo per ricevere la gloria”. 

Nel 2009, un anno dopo la sua scomparsa, uscì in Canada, negli Stati Uniti e in Polonia la pellicola “Il coraggio di Irena Sendler”, un omaggio postumo a una grande donna.