L'intervista

Melozzi e il suo Sanremo: “Zitti e buoni una scossa di vita nel bel Festival della contemporaneità”

"È stato un Festival bellissimo, finalmente 'Zitti e buoni' ha avuto la cornice di pubblico che meritava. Siamo tornati a un Sanremo vero: un telegiornale e non più un film". Il maestro Enrico Melozzi si racconta al Capoluogo.it.

È stato un Festival bellissimo, finalmente ‘Zitti e buoni’ ha avuto la cornice di pubblico che meritava. Siamo tornati a un Sanremo vero: un telegiornale e non più un film dallo stesso copione”. Il maestro Enrico Melozzi si racconta al Capoluogo.it.

Un’altra edizione del Festival di Sanremo alle spalle per il maestro Enrico Melozzi, che si è rimesso subito al lavoro per riprendere la preparazione dei concerti che lo attendono a Dubai, cornice dell’Expo. Inevitabile parlare di Sanremo e delle emozioni di una kermesse segnata dal ritorno del pubblico in sala e da un clamoroso successo mediatico.
“Uno dei miei sogni – ci spiega Melozzi – era l’esecuzione di ‘Zitti e Buoni’ davanti al pubblico e quest’anno è stato possibile. Condurre l’orchestra mentre i Maneskin si esibivano è stato un concentrato di energia e adrenalina, sembrava che il Teatro potesse venire giù da un momento all’altro. Ricordo ancora quando Fiorello, lo scorso anno, mi diceva: ‘Maestro pensa quanto sarebbe bello suonare questo pezzo con il pubblico’. Questo momento è arrivato ed è stato una forza. Un’esibizione intensa e potente che ha catturato tutti i presenti all’Ariston e che mi ha aiutato a scaldarmi per l’inizio della gara”.

Già, perché il maestro teramano Enrico Melozzi ha diretto – oltre ai Maneskin super ospiti – ben tre concorrenti in gara per questa edizione di Sanremo: Giusy Ferreri, Ana Mena e il duo Highsnob e Hu. Che esperienza è stata?
“Devo dire che i pezzi hanno funzionato, al di là della classifica finale. C’è da considerare che è cambiato il regolamento sui voti e questo nuovo meccanismo ha dato vita ad una classifica quasi cristallizzata, riducendo le possibilità di rimonta di chi non è riuscito a convincere ad un primo ascolto. Comunque i brani stanno andando molto bene e questo ci fa piacere”. 

Sanremo ha saputo definitivamente rilanciarsi?
Oggi Sanremo è tornato ad essere il miglior palcoscenico per promuovere la musica. Una volta c’era chi si permetteva di rifiutare di partecipare a Sanremo o, al massimo, accettava di partecipare come super ospite. Invece ora partecipare alla gara è importantissimo: perché ciò ti permette di registrare 3/4 passaggi sul prestigioso palco dell’Ariston. Inoltre c’è tutto un mondo intorno a Sanremo, una grandissima visibilità, discorsi e discussioni, articoli, pagelle…Una vetrina di primo piano da non perdere per gli artisti”. 

La kermesse si è aperta ai generi musicali contemporanei. Anche questo è uno dei segreti del rinnovato successo del Festival?
“Io credo che, a differenza di quanto si dice in giro, Sanremo sia sempre stato aperto ai diversi generi musicali, anche se forse non ce ne siamo resi conto. Negli anni ’60 o ’70 c’erano le ballate, ma c’era anche il pezzo ballabile. Poi gli anni ’80 sono stati dominati dai suoni elettronici. Qualcosa sicuramente è cambiato negli anno ’90, quando abbiamo assistito alla nascita di una sorta di ‘genere Sanremo’. Si diceva: ‘Scrivo un pezzo per Sanremo’, un’abitudine che ha generato una vera e propria distorsione che non ha affatto premiato il Festival. La vera potenza sta, invece, nell’intercettare i generi vivi. In quegli anni si viveva in un mondo, ma si scriveva e si cantava di un altro mondo, con un linguaggio ‘sanremese’. Risultato? Le canzoni erano tutte uguali. Quello è stato l’inizio della fine. Amadeus, per fortuna, ha fatto ciò che andava fatto. Riportando in gara le canzoni che rappresentano il presente, perché sono brani che rispecchiano in toto i loro artisti. È riuscito, quindi, a rendere di nuovo contemporaneo il Festival, che finalmente non è più un film ma un telegiornale, nel suo essere al passo e lo specchio dei tempi. È ciò che dovrebbero fare anche i Teatri lirici, usare la medesima formula adottata dal Festival negli ultimi anni, perché la gente vuole il contemporaneo, l’attuale“.

È anche grazie a questa formula che ci è riusciti ad avvicinare ai giovani?
“Non sono molto incline a pensare a formule artistiche che siano uno stimolo per i giovani. Per quanto mi riguarda, se il lavoro che si fa è fresco, diretto e spontaneo si avvicina il pubblico a 360 gradi. Non distinguerei tra pubblico e giovani: c’è un unico pubblico che recepisce il prodotto se di qualità. Pensiamo ai Simpson: il classico prodotto di alta qualità che può piacere ad ogni fascia d’età. Bisogna lavorare in modo tale che qualsiasi cosa prodotta sia per tutti: probabilmente anche questo è stato il segreto del successo del Festival di Sanremo”. 

Ora per il Maestro Melozzi ci sarà Dubai.
“Sì, mi aspettano due concerti a marzo prossimo con i 100 violoncelli, partiremo il prossimo mese. Ci saremo io, Giovanni Sollima, Riccardo Muti, Francesco De Gregori, Nicola Piovani…sarà un grande evento artistico nel Padiglione italiano, che ha saputo esprimere tanta cultura nonostante la fase Covid. Sono felice di poter rappresentare l’Italia”. 

Melozzi, da Sanremo a “100 Cellos Live” in DUBAI 2022

Nato come esperimento nel 2012, durante l’occupazione dello storico Teatro Valle di Roma, 100 Cellos è un innovativo ensemble di oltre 100 violoncelli fondato da Giovanni Sollima ed Enrico Melozzi, entrambi compositori, arrangiatori, direttori d’orchestra (e soprattutto violoncellisti), che si alternano sapientemente alla guida del gruppo, divertendosi e dividendosi tra i ruoli di solista e direttore. Il progetto, che conserva nella sua imprevedibilità la sperimentazione e l’apertura che ne hanno segnato la nascita, accoglie professionisti, solisti di fama, studenti, amatori e appassionati e propone un repertorio mai scontato, che parte dalla musica antica fino ai ritmi moderni e popolari; formula vincente, che Sollima personalmente sperimenta da oltre un trentennio, e che i 100 Cellos hanno fatto propria, portandola nei teatri e nelle piazze di tutta Italia, d’Europa e del mondo. Questo è quindi lo spirito che anima il laboratorio proposto nella cornice di Expo 2020, che promuove una creatività artistica radicale e fluida in cui ognuno, indipendentemente dall’età e dall’esperienza, può contribuire a dar vita ad una musica che realmente appartiene a tutti.

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