Politica

Sospeso vertice 5 Stelle dal Tribunale di Napoli, Conte: “Sono io il leader politico”

Sospesa la nomina dell'ex premier Giuseppe Conte a capo politico dei 5 Stelle: il movimento è in crisi di consensi e lacerato. L'editorale di Giuseppe Sanzotta.

 

Giuseppe Conte sta preparando da buon avvocato l’offensiva contro Di Maio che l’ha sfidato pubblicamente quando da Napoli arriva come un fulmine la notizia: accolta l’istanza di iscritti ai 5Stelle, sospesa la ratifica del nuovo statuto e l’elezione degli organi dirigenti. In pratica è sospesa la nomina di Conte a capo politico del movimento. Questo perché non è stato consentito agli iscritti degli ultimi sei mesi di partecipare alle votazioni della scorsa estate. Dunque il partito o movimento è acefalo, resta solo la figura di Grillo come garante. Sembra festeggiare Casaleggio con la sua piattaforma Rousseau che Conte aveva liquidato. Forse segretamente festeggia anche Di Maio, perché la guida di Conte esce ammaccata.

L’ex premier Conte vuole reagire. La 7 con la Gruber gli offre una tribuna, è l’occasione per difendersi, per spiegare, per lanciare un messaggio ai propri lettori più confusi che mai. Prima di andare in onda il tg gli regala una notizia cattiva e una buona. Cominciamo dalla cattiva. Il sondaggio settimanale vede ancora una discesa delle quotazioni del partito, ora viaggia poco sopra il 13 per cento dei consensi. Quattro anni fa aveva più del 33 per cento. Difficile trovare una caduta simile nella storia della politica. Non c’era riuscito nemmeno Renzi. Forse ci sta provando Salvini. Restiamo però in campo grillino, difficile spiegare a chi pretendeva di governare senza alleanze, che ora rischia di essere una forza marginale e comunque minoritaria anche nel costruendo fronte progressista.

Ma passiamo alla notizia buona, un sondaggio tra gli elettori rivela che oltre il 70 per cento è con Conte e solo il 10 per cento sta con Di Maio. Almeno nella battaglia interna l’avvocato pugliese può sorridere. Magra soddisfazione, sembra una contesa giocata sul ponte del Titanic mentre sta affondando. E quella che arriva da Napoli è una notizia, imprevista, che getta benzina sulla casa che sta bruciando. Conte si rifugia nel terreno che conosce meglio, quello giuridico. Avverte che è lui il leader, non sono le carte bollate a determinare scelte politiche. Però deve correre ai ripari, così avverte che si rifaranno le elezioni, saranno ammessi tutti gli iscritti e l’incidente sarà chiuso. Forse ha ragione da un punto di vista giuridico, resta il fatto che un numeroso gruppo di iscritti ha denunciato il proprio partito. In altri tempi ci sarebbe stata una reazione forte. Ora sembra che il mondo dei 5Stelle sia rassegnato a un inarrestabile declino.

Comunque questo provvedimento arriva nel bel mezzo di un conflitto interno. E Conte può anche farsi bello ricordando che il suo partito è ancora maggioranza relativa in Parlamento, per arrivare a dire che in futuro sarà la forza trainante del fronte progressista. Sembra non crederci neanche lui. E come potrebbe essere diversamente: il partito perde pezzi, nelle elezioni locali è scomparso, nei sondaggi precipita senza paracadute, è lacerato da conflitti interni. Resta quel legame con Letta e il Pd. Conte giura che non ha cercato di tradire la fiducia del segretario del Pd. Se ha trattato con Salvini non è stato perché era rinato un vecchio amore, l’ha fatto in quanto delegato da Letta. E’ sicuro che il segretario del Pd abbia piena fiducia in lui.

Insomma quel fronte progressista è il rifugio per salvarsi dalla tempesta. Certamente c’è sempre la scappatoia movimentista, protestataria. Tornare a quel movimento del vaffa dei primi anni. Ma Conte non è l’uomo giusto. Potrebbe essere un Di Battista, non certo Di Maio che ormai sembra il vecchio zio saggio di quel ragazzaccio che correva in auto a Parigi per incontrare i gilet gialli facendo imbufalire Macron. Indietro non si torna. Lo dicono i sondaggi tra gli elettori che incoronano Conte. Si fidano di lui e non hanno più voglia di tornare a urlare nelle piazze. Alla fine quanti ne resteranno? Se lo chiedono quelli del Pd che cominciano a guardare anche altrove: l’alleanza con quel che resta del movimento non basta per sperare di vincere.

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