Le nuove stanze della poesiadella poesia

Le nuove stanze della poesia, Vado a scuola di Zietta Liù

Vado a scuola: una poesia di Zietta Liù per l'appuntamento con la rubrica a cura di Valter Marcone.

 

Nel riprendere il tema delle poesie dei banchi di scuola nella scorso puntata ho iniziato con gli anni Cinquanta del Novecento.

Tento qui di completare il quadro di riferimento della situazione della scuola di quegli anni. Le classi in quegli anni erano affollate e l’edilizia scolastica spesso presentava edifici imponenti, retaggio di ottocentesche collocazioni ecclesiastiche ma molto più spesso era un’edilizia povera specialmente nei piccoli centri della provincia italiana, per non parlare dei centri rurali dove a volte la collocazione era di fortuna.

In città si poteva arrivare anche a un numero di quaranta allievi per classe , quindi la disciplina doveva essere assolutamente rispettata anche con l’uso di metodi oggi sicuramente intollerabili: le famose bacchettate sulle dita o i lunghi periodi trascorsi con le mani incrociate dietro la nuca o in ginocchio, a volte sui legumi (ad esempio i ceci) secchi.

Si usavano anche castighi “psicologici”, come il noto “cappello da asino” per gli studenti impreparati, o altri come ad esempio passare un periodo dietro la lavagna o scrivere molte volte la stessa frase. Le ore di lezione avevano inizio con una preghiera a cui seguiva una ispezione per così dire corporale sul rispetto dell’igiene personale :pulizia del viso, delle mani, delle unghie.

Sia i maschi che le femmine indossavano un grembiule che poteva essere o nero o blu con un fiocco.I libri e i quaderni erano contenuti in una cartella, spesso anche di stoffa, le aste , i pennini , matite e gomme in un astuccio di legno. I banchi avevano un calamaio di vetro infisso sul piano e il bidello provvedeva a riempirlo di inchiostro.

Anche se la Costituzione repubblicana (art. 34) garantiva l’istruzione pubblica, gratuita e obbligatoria per almeno 8 anni e sanciva la libertà di istituire scuole “senza oneri per lo stato”, tuttavia restava il sistema scolastico precedente: scuola elementare quinquennale e i tre anni successivi divisi in due ordini di scuole: la media che permetteva l’accesso alla scuola superiore e l’ avviamento professionale senza l’insegnamento del latino che escludeva da qualsiasi proseguimento degli studi.

Si deve arrivare alla fine degli anni Cinquanta e precisamente al 1959 perché i senatori Ambrogio Donini e Cesare Luporini del Partito comunista italiano propongano un progetto di legge (il 359 del 21 gennaio 1959) che prevede l’istituzione di una scuola media unica in aggiunta a quella elementare istituendo quindi un obbligo dall’età di sei anni fino ai quattordici.

Il ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Medici elabora nello stesso anno il “Piano per lo sviluppo della scuola”, con la medesima proposta di innalzamento dell’obbligo dell’età fino ai quattordici anni.

La scuola media unica venne introdotta dunque con la la legge n.1859 approvata il 31 dicembre 1962. Essa prevedeva sia l’abolizione della scuola di Avviamento al lavoro e sia di altre scuole particolari, con la creazione di una sola tipologia di scuola media unificata che permettava l’accesso a tutte le scuole superiori. Nello stesso periodo vennero aumentate in Italia le classi miste maschili e femminili, che progressivamente sostituiranno le classi composte esclusivamente da elementi del medesimo sesso. Nel 1968 viene istituita la Scuola materna statale e nel 1969 vengono emanati gli Orientamenti per la scuola materna.

Nel 1969 vengono approvate norme che liberalizzano l’accesso agli studi universitari (fino ad allora, si poteva accedere all’Università solo con il diploma del liceo classico a tutte le facoltà), e che modificano l’esame di maturità strutturandolo con due prove scritte (una fissa di italiano, ed una specifica in funzione del tipo di istituto) ed una prova orale che verteva su due materie scelte (una dallo studente ed una dal gruppo di professori) fra un gruppo di quattro indicate anticipatamente dal ministero della pubblica istruzione, gruppo di materie diverso per ogni tipo di istituto scolastico.

Modifiche e riforme che nel corso dei decenni successivi hanno portati ad ulteriori cambiamenti fino a definire la scuola di oggi così com’è.
Al termine di questo breve excursus che riassume i primi cambiamenti significativi nella scuola italiana negli anni Cinquanta e Sessanta propongo dunque in questa puntata le ultime due poesie di Zietta Liù scelte sull’argomento scuola

Vado a scuola

Vado a scuola, mammina. Ti prometto che sarò
bravo e buono, come vuoi.
Non ci credi? Ma via! Sono un ometto!
Oggi imparo a contare fino a cento;
domani scriverò una letterina;
e via di questo passo, come il vento!
A fin d’anno, vedrai, sarò un dottore.
Ho la cartella nuova, il grembiulino…
Mi par d’esser proprio un gran signore!
La campanella
Cosa vuol la campanella
della scuola piccolina
che ha sul muro i rampicanti,
e d’intorno la cedrina?
Squilla e canta, canta al sole
e s’è fatta quasi roca.
Ma che vuole, ma che vuole?
Ecco: i bimbi! Una fiorita,
di corolle, un gaio sciame
che s’avvia per la salita.
Hanno il nastro, la cartella
e negli occhi un riso d’oro.
Tace ormai la campanella
della scuola piccolina:
si riposa nel profumo
di mentastro e di cedrina.

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