Cultura

Le nuove stanze della poesia, “L’anno nuovo” di Angiolo Silvio Novaro

Una poesia di Angiolo Silvio Novaro a chiusura di questo 2021 per l'appuntamento con la rubrica a cura di Valter Marcone.

Per l’ultima puntata del 2021 de Le nuove stanze della poesia, continuando nel proporre e commentare le poesie dei banchi di scuola che in questo periodo hanno ricordato alcune composizioni sul Natale voglio, a due giorni proprio dalla fine dell’anno, trascrivere una poesia di Angiolo Silvio Novaro “L’anno nuovo”.

L’anno nuovo
L’anno vecchio se ne va
e mai più ritornerà.
Io gli ho dato una valigia
di capricci e impertinenze,
di lezioni fatte male,
di bugie, disobbedienze,
e gli ho detto: “Porta via,
questa è tutta roba mia”.
Anno nuovo, avanti, avanti!
Ti fan festa tutti quanti.
Tu la gioia e la salute
porta ai cari genitori;
ai parenti ed agli amici,
rendi lieti tutti i cuori.
D’esser buono ti prometto,
anno nuovo, benedetto.

“D’esser buono ti prometto,/anno nuovo, benedetto”, è la promessa quasi l’invocazione di un fanciullo che nell’anno vecchio ,che sta ormai per terminare, ha combinato marachelle del tipo lezioni fatte male, bugie, disubbidienze, capricci, impertinenze.

Una promessa all’anno nuovo e forse una promessa a se stesso. E dunque questi versi ci dicono che ciascuno di noi può farsi fanciullo e fare una promessa all’anno nuovo, all’anno che verrà ma soprattutto a se stesso. Un impegno come quello che cantava Lucio Dalla appunto “di qualcosa di diverso” per l’anno nuovo.

L’anno vecchio è finito, ormai
Ma qualcosa ancora qui non va

Si esce poco la sera, compreso quando è festa
E c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra
E si sta senza parlare per intere settimane
E a quelli che hanno niente da dire
Del tempo ne rimane

Ma la televisione ha detto che il nuovo anno
Porterà una trasformazione
E tutti quanti stiamo già aspettando

Lo ha detto la televisione ( possiamo stare tranquilli ) “il nuovo anno porterà una trasformazione che tutti quanti stiamo già aspettando”. Ma non basta solo l’attesa, ci vuole anche l”impegno per la trasformazione.

Trasformarsi significa accettare un cambiamento, per lo più profondo e definitivo, di forma, aspetto, strutture o di altre qualità e caratteristiche, come dice il dizionario Treccani.

Un cambiamento che in questo momento assume il valore di una riscoperta, di un nuovo incontro con il mondo perché sicuramente “non sarà tre volte Natale” (una delle eclatanti novità che la trasformazione porterà secondo Dalla, anche se tutto può accadere), ma qualcosa di diverso che ci attende se saremo capaci di riflettere,per esempio, per limitarci ad un solo esempio, su ciò che la pandemia di Covid-19 ci ha insegnato in termini di tutela del benessere personale, sociale e ambientale e non dimenticarci la lezione per il futuro che verrà.

Angiolo Silvio Novaro nacque a Diano Marina il 12 novembre 1866, da Agostino e da Paola Sasso, secondo di sei figli. Frequentò l’istituto tecnico a Porto Maurizio, dove conseguì il diploma di ragioneria nel 1885 e si occupò nell’azienda fondata dal padre.

Esordì con il racconto Gabriele (in L’Illustrazione popolare, 22 aprile 1883), seguito, il 24 novembre, da Mondo di guai nella Gazzetta letteraria di Torino, in cui successivamente furono pubblicati altri suoi racconti.

Negli anni suoi testi apparvero in periodici quali L’Eroica, La Lima, Armi ed Arte, Lirica, ma anche in riviste non di area ligure come “La Lettura” e “Nuova Antologia”.

L’inclinazione verso la pittura invece è testimoniata dalla partecipazione nel 1884 all’Esposizione generale di Torino con il quadro Montagna ligure. La sua opera prima, fu il romanzo (dedicato al fratello Mario) Manoscritto d’una vergine (Milano 1887) a cui seguirono la raccolta di novelle Sul mare (ibid. 1889), elogiata da Giovanni Verga, il romanzo Giovanna Ruta (Torino 1891), storia di un amore deluso che culmina nel suicidio (significativamente dedicata all’autore dei Malavoglia), e un secondo volume di novelle, Il libro della pietà (Milano 1894; nuova ed., ibid. 1898).

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