Cultura

Le nuove stanze della poesia, “Il Natale” di Alessandro Manzoni

"Il Natale" di Alessandro Manzoni: un'altra poesia dai banchi di scuola per l'appuntamento natalizio con la rubrica di Valter Marcone.

Nel giorno dell’antivigilia della festa del Natale 2021 , la puntata odierna de Le nuove stanze della poesia non poteva non ricordare un celebre componimento di Alessandro Manzoni: Il Natale.

Con questi versi voglio fare gli auguri di Buon Natale al Direttore e alla Redazione e ai collaboratori de Il Capoluogo e ai lettori tutti e in particolare a quelli che settimanalmente seguono questa rubrica.

Un augurio perchè la luce che emana la mangiatoia di Betlemme dove è stato deposto un bambino fragile e indifeso possa illuminare il cammino della vita di tutti e di ognuno .

Alessandro Manzoni compone questo Inno nel corso dell’estate 1813, terzo dopo La Risurrezione e Il Nome di Maria; se si esclude la Pentecoste; un componimento elaborato e ricco di immagini che animano le molte strofe che piene di una tenerezza, quella di Dio, si ripiegano su se stesse per accentuare l’intima sostanza di un avvenimento, il Natale di Gesù avvenuto storicamente duemila anni fa.

L’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio e posto in una posizione di preminenza sugli altri viventi ,per la sua “caduta” a causa della disobbedienza al suo creatore, viene immaginato e paragonato ad un masso che caduto nel fondo di un burrone non ha alcuna possibilità di tornare alla sua originale posizione se non attraverso un intervento esterno.

Quell’intervento sarà opera di un bimbo, partorito da una vergine bambina , deposto in una mangiatoia ,donato agli uomini da un Dio che adempie così ad un patto .Quello di dare il suo unico Figlio, vero Dio e vero uomo, in riscatto dell’uomo. Un Figlio che per adempiere alla volontà del Padre morirà sulla croce . Un dono della grazia raccontato attraverso le tappe appunto della “salvezza” dalla grotta di Betlemme al legno della croce sul Golgota..

I versi 29-42 in cui si annuncia il Natale richiamano l’egloga IV delle Bucoliche di Virgilio, che annunciava il ritorno dell’età dell’oro segnato dalla nascita di un nobile fanciullo. La parte centrale dell’inno chiarisce il senso teologico della vicenda, ricordando la natura divina di Cristo e la sua qualità di Figlio, la sua eternità ed immensità pari a quelle del Padre,

Manzoni scrive questo Inno appena tre anni dopo essersi convertito al cattolicesimo (1810),all’età di 28 anni , non tanto per sciogliere il voto per la ritrovata Enrichetta ( il miracolo di S.Rocco), quanto per avere a lungo meditato su ciò che veniva dibattuto con l’Abate Tosi e con il Degola in merito alla religione cattolica .

In quello stesso anno infatti ( 1810) Enrichetta Blondel si era convertita dal Calvinismo al Cattolicesimo, e Manzoni aveva interpretato questo avvenimento come un segno di accoglienza delle discussioni di carattere moralistico/religioso con i frequentatori di casa Manzoni,da ripagare con l’adesione alla dottrina di Cristo .

Il Natale è un componimento che parte degli Inni sacri .In quest’opera secondo il De Sanctis c’e un forte sentimento democratico e di rivendicazione sociale che induce ad affermare che è diritto del povero sollevare “ al Ciel ch’è suo le ciglia , pensando a cui somiglia…”

Ma, secondo il Russo, si tratta di un cattolicesimo arcaico, dominato dal dogma. Il dogma non si discute, è un mistero calato sull’umanità ma presente in ogni momento ed in ogni azione. Come già

Dante in politica, Manzoni è arcaico in Religione. Non c’è alcuna attenzione al proprio tempo, ma solo richiamo ai principi generali e lontani che governano il sentimento dell’umanità guardata alle sue origini. La composizione può essere suddivisa in due parti quasi contrapposte per il succedersi di una prima di tono celebrativo / teologico e di una seconda di tono popolare/umano.

Il Natale
Qual masso che dal vertice
di lunga erta montana,
abbandonato all’impeto
di rumorosa frana,
per lo scheggiato calle
precipitando a valle,
barre sul fondo e sta;

là dove cadde, immobile
giace in sua lenta mole;
né, per mutar di secoli,
fia che riveda il sole
della sua cima antica,
se una virtude amica
in alto nol trarrà:

tal si giaceva il misero
figliol del fallo primo,
dal dì che un’ineffabile
ira promessa all’imo
d’ogni malor gravollo,
donde il superbo collo
più non potea levar.

Qual mai tra i nati all’odio,
quale era mai persona
che al Santo inaccessibile
potesse dir: perdona?
far novo patto eterno?
al vincitore inferno
la preda sua strappar?

Ecco ci è nato un Pargolo,
ci fu largito un Figlio:
le avverse forze tremano
al mover del suo ciglio:
all’ uom la mano Ei porge,
che sì ravviva, e sorge
oltre l’antico onor.

Dalle magioni eteree
sgorga una fonte, e scende,
e nel borron de’ triboli
vivida si distende:
stillano mele i tronchi
dove copriano i bronchi,
ivi germoglia il fior.

O Figlio, o Tu cui genera
l’Eterno, eterno seco;
qual ti può dir de’ secoli:
Tu cominciasti meco?
Tu sei: del vasto empiro
non ti comprende il giro:
la tua parola il fe’.

E Tu degnasti assumere
questa creata argilla?
qual merto suo, qual grazia
a tanto onor sortilla
se in suo consiglio ascoso
vince il perdon, pietoso
immensamente Egli è.

Oggi Egli è nato: ad Efrata,
vaticinato ostello,
ascese un’alma Vergine,
la gloria d’lsraello,
grave di tal portato
da cui promise è nato,
donde era atteso usci.

La mira Madre in poveri
panni il Figliol compose,
e nell’umil presepio
soavemente il pose;
e l’adorò: beata!
innazi al Dio prostrata,
che il puro sen le aprì.

L’Angel del cielo, agli uomini
nunzio di tanta sorte,
non de’ potenti volgesi
alle vegliate porte;
ma tra i pastor devoti,
al duro mondo ignoti,
subito in luce appar.

E intorno a lui per l’ampia
notte calati a stuolo,
mille celesti strinsero
il fiammeggiante volo;
e accesi in dolce zelo,
come si canta in cielo
A Dio gloria cantar.

L’allegro inno seguirono,
tornando al firmamento:
tra le varcare nuvole
allontanossi, e lento
il suon sacrato ascese,
fin che più nulla intese
la compagnia fedel.

Senza indugiar, cercarono
l’albergo poveretto
que’ fortunati, e videro,
siccome a lor fu detto
videro in panni avvolto,
in un presepe accolto,
vagire il Re del Ciel.

Dormi, o Fanciul; non piangere;
dormi, o Fanciul celeste:
sovra il tuo capo stridere
non osin le tempeste,
use sull’empia terra,
come cavalli in guerra,
correr davanti a Te.

Dormi, o Celeste: i popoli
chi nato sia non sanno;
ma il dì verrà che nobile
retaggio tuo saranno;
che in quell’umil riposo,
che nella polve ascoso,
conosceranno il Re.

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