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Legge sui pascoli illegittima, la sentenza della Corte Costituzionale

L'AQUILA - La Corte Costituzionale dichiara illegittima la legge sui pascoli della Regione Abruzzo.

L’AQUILA – La Corte Costituzionale dichiara illegittima la legge sui pascoli della Regione Abruzzo.

Con sentenza 228 del 2021, la Corte Costituzionale ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, lettera c), della legge della Regione Abruzzo 6 aprile 2020, n. 9 (Misure straordinarie ed urgenti per l’economia e l’occupazione connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), nella parte in cui inserisce il comma 3-bis, lettere a), b), c) e d), all’art. 16 della legge della Regione Abruzzo 3 marzo 1988, n. 25, recante «Norme in materia di Usi civici e gestione delle terre civiche – Esercizio delle funzioni amministrative»”. Si tratta sostanzialmente del Cura Abruzzo 1, nella parte riguardante la cosiddetta legge sui pascoli. La legge regionale era stata impugnata dal Consiglio dei Ministri a giugno del 2020; a ottobre 2021, invece, la sentenza, depositata nelle scorse ore.

Come si legge nella sentenza firmata dalla Corte composta da Giancarlo Coraggio (Presidente), Giovanni Amorso (Redattore) e Roberto Milana (Direttore della Cancelleria), “l’art. 9, comma 1, lettera c), della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2020, nella parte in cui inserisce il comma 3-bis all’art. 16 della legge reg. Abruzzo n. 25 del 1988, va dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., con assorbimento di tutti gli altri parametri”.

“Il previgente art. 117 Cost., nella versione antecedente alla citata riforma costituzionale, – chiarisce la Corte – non consentiva alle Regioni, nella materia «agricoltura e foreste», di dettare con legge la disciplina della titolarità e dell’esercizio di diritti dominicali sulle terre civiche, dall’altro lato giustificava, tuttavia, il trasferimento ad esse delle funzioni amministrative (art. 118 Cost., vecchio testo), nonché l’inserimento degli usi civici nei relativi statuti (sentenza n. 113 del 2018). In tale contesto costituzionale, pertanto, non solo trovava fondamento l’ampio trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative già esercitate da organi dello Stato, ivi comprese le competenze attribuite al Commissario per la liquidazione degli usi civici dalla legge n. 1766 del 1927 (art. 66, quinto comma, del d.P.R. n. 616 del 1977), ma si spiegava anche la tendenza delle Regioni a regolare con proprie leggi l’esercizio di tali funzioni amministrative, pur restando esclusa la possibilità di incidere sulla titolarità soggettiva e sul contenuto oggettivo del diritto dominicale, nonché sul regime giuridico dei beni. Nel contesto del riformato Titolo V della Parte II della Costituzione, coniugato alla progressiva evoluzione degli assetti fondiari collettivi, di cui si è detto sopra, la disciplina di questi ultimi appartiene ormai interamente alla materia «ordinamento civile» ed è tutta ricompresa nell’area della potestà legislativa esclusiva dello Stato. Del resto la stessa legge n. 168 del 2017 prevede, con norma di carattere transitorio (art. 3, comma 7), che, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge medesima, le Regioni esercitano le competenze ad esse attribuite nella disciplina delle organizzazioni montane, anche unite in comunanze, comunque denominate, ivi incluse le comunioni familiari montane. Decorso tale termine, ai relativi adempimenti provvedono con atti propri gli enti esponenziali delle collettività titolari, ciascuno per il proprio territorio di competenza”.

In sostanza, la Corte ricorda che né prima né dopo la riforma del titolo V il regime civilistico degli usi civici è mai stato di competenza regionale, quindi l’articolo che della legge regionale che va a incidere su di essi è incostituzionale.

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