Cultura

Le nuove stanze della poesia, “San Martino” di Giosuè Carducci

San Martino: la poesia di Carducci, la festa delle castagne del vino e delle corna, per l'appuntamento con la rubrica di Valter Marcone.

Incidentalmente questa puntata de Le nuove stanze della poesia che presenta e commenta la poesia di Carducci “San Martino” viene pubblicata appena passata la festa di questo santo che cade il giorno 11 novembre. Una festa di vino,castagne e… corna. Una festa, una ricorrenza antica che apre le porte all’inverno.

San Martino il santo vescovo di Tours viene festeggiato per la sua generosità nel dividere il suo mantello con un povero per ripararsi dalle temperature dell’inverno, intemperie che proprio con questa data si annunciano pur in un tempo ancora lontano dal solstizio.

Nella tradizione popolare la festa di San Martino è anche la cosiddetta festa dei cornuti, o festa dei becchi, cioè la celebrazione pagana dedicata alle persone tradite dal consorte o dalla consorte. Si tratta di una ricorrenza dotata di grande fascino per gli studiosi di demo antropologia . Anche perché è piuttosto difficile stabilire le origini di questa tradizione . Si tratta infatti di una delle consuetudini più complesse da ricostruire: consuetudine che dunque ha dato vita ad una serie di ipotesi che si riferiscono proprio all’origine.

A differenza del San Martino della tradizione popolare quello di Giosuè Carducci è solo un ribollir di tini di cui « va l’aspro odor de i vini / l’anime a rallegrar»; non ha nulla a che vedere con il la festa dei cornuti e con le gesta del Santo vescovo di Tours. .Una scena che racconta un momento importante nel ciclo delle delle stagioni ,l’autunno e quindi la vendemmia che alimentano la cultura contadina del nostro paese e il proverbio “A San Martino ogni mosto diventa vino”. Racconta anche la caducità della vita come “stormi d’uccelli neri che se ne vanno come i pensieri” . E racconta anche “l’allegria”.

Quella della Torre Bianca dove Carducci e i suoi compagni vivevano durante quella loro stagione di vita dedicata all’insegnamento in un piccolo borgo .

Mangiando e bevendo e come dice una biografia su wilkipedia : “Nella Torre Bianca si mangiava e beveva, e gli schiamazzi indispettivano la gente del luogo. Sebbene Carducci abbia sentenziato che queste, assieme a «giocare, amare, dir male del prossimo e del governo» fossero le occupazioni più degne dell’homo sapiens, era quello un costume che non gli si confaceva e che tradiva l’insoddisfazione latente. Non studiava né scriveva più, e persino la letteratura e la gloria gli parevano vane. «Perché perdere il mio tempo e la mia salute a far commenti e poesie?» scriveva ai fiorentini, «No, non faccio più nulla e non farò più nulla: e faccio bene».

“Nel 1856, dopo aver passato l’estate nella ridente Santa Maria a Monte, piccolo borgo nell’odierna provincia di Pisa cantato nel sonetto O cara al pensier mio terra gentile, fu ammesso, per interessamento del direttore della scuola, Giuseppe Pecchioli, al Ginnasio di San Miniato al Tedesco. Lo accompagnarono Ferdinando Cristiani e Pietro Luperini, due normalisti cui furono assegnati rispettivamente l’insegnamento della grammatica e delle umanità. Carducci ebbe la cattedra di retorica per la quarta e quinta classe. I tre abitavano a pigione subito fuori Porta Pisana, in una casetta nota nel vicinato come «casa de’ maestri», e da loro definita Torre Bianca.”
E invece no. Il suo destino è legato all’insegnamento e dunque alla scuola ma è anche un luminoso destino di letterato che otterrà proprio il premio Nobel per la letteratura. Come dimostreranno gli avvenimenti successivi della sua vita..

“San Martino” è una delle più celebri e amate del poeta maremmano, compare nel terzo libro della sua più completa e organica raccolta poetica, le Rime Nuove.

Alcuni studiosi sostengono che, essendo presenti nella poesia dei termini identici a quelli utilizzati da Ippolito Nievo in una sua poesia del 1858, Carducci si sia ispirato direttamente a questo scrittore, noto patriota italiano ottocentesco e autore, fra le altre cose, de Le confessioni di un italiano.

La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;

ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.

Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
sull’uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.

Il testo autografo ci dà notizie molto dettagliate circa il momento di stesura: riporta infatti in calce la data «8 dicembre 1883: finito ore 3 pomeridiane». Inoltre ci dice che, prima di ricevere la denominazione attuale, la poesia San Martino era stata intitolata Autunno.
il mare è in tempesta, la nebbia avvolge le colline ma il borgo è in festa, inebriato dal vino dopo la recente vendemmia autunnale. Si crea un ben riuscito contrasto fra un mondo chiuso e il mare . Il cacciatore arrostisce la cacciagione sulla brace mentre osserva, al tramonto (elemento naturale malinconico per eccellenza) uno stormo di uccelli neri, neri come la morte e come la notte che si avvicina Il verso utilizzato in questa poesia è definito anacreontico e comprende quattro quartine di settenari (di cui i primi tre piani e il terzo tronco) con schema rimico ABBC DEEC FGGC HIIC.

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