Cultura e tradizioni

Halloween, le radici e la storia del Capodanno celtico

Halloween: le radici antichissime della festa celtica di Samhain. Andiamo a scoprire le tradizioni in Abruzzo e in Italia.

Halloween, la festa più dibattuta e “mostruosa” dell’anno, considerata “l’americanata” per eccellenza, ha in realtà radici antichissime in Europa e anche in Italia.

Non tutti sanno che le origini di Halloween, la festa dedicata a mostri, streghe e fantasmi siano antichissime e rintracciabili in Irlanda, quando la verde Erin era dominata dai Celti. Halloween infatti corrisponde a Samhain, il capodanno celtico.

La parola nel suo significato originario rappresenta una variante scozzese, dal nome completo All Hallows’ Eve che tradotto significa “Notte di tutti gli spiriti sacri”, cioè la vigilia di Ognissanti (in inglese arcaico “All Hallows’ Day”, moderno All Saints’ Day.

Anticamente, nelle isole britanniche la vigilia di Ognissanti si festeggiava con grandi falò, si facevano scherzi (soprattutto i ragazzi) e i poveri giravano di casa in casa chiedendo l’elemosina, portando delle lampade ricavate da rape intagliate in forma di teschio.

Halloween is coming!

Queste rape venivano chiamate Jack O’ Lantern, dal nome del protagonista di una leggenda irlandese. Il nome Halloween viene da All Hallows Evening, letteralmente sera (o vigilia) di tutti i Santi. La festa era particolarmente sentita in Scozia e Irlanda.

Anche in Italia la festa di Halloween è una cosa antichissima: cambia il nome, ma la sostanza è la stessa.

I travestimenti macabri, le storie di spettri, le processioni di bambini (ma anche di adulti) e le zucche intagliate, esistono (o sono esistiti fino a pochi decenni fa) in tutta Italia. Si tratta di sopravvivenze di riti pagani antichissimi.

Cosa c’è di così affascinante nello scherzare con la morte, nel mischiare il sacro e il profano? E perché questo legame tra i morti e i bambini?

Zucche, ragni, pipistrelli e cappelli a punta. Sono i protagonisti della festa di Halloween. In Italia, i più restii ad accogliere questa festa lo fanno, spesso, per ragioni “patriottiche”: una festa lontana dalle nostre tradizioni e dalla nostra cultura, che senso ha festeggiarla? Il gusto di travestirsi, risponderebbero i festaioli, come in un secondo Carnevale.

Andiamo a vedere dall’Abruzzo in poi, alcune delle tradizioni dedicate a questa festa.

Simboli e usanze vicine ad Halloween, ma molto diverse nei significati. Nelle tradizioni Made in Italy poco resta dell’immaginario macabro e della spettacolarizzazione splatter che ha fatto la fortuna della festa targata Usa. Ciò che emerge è un mondo in cui i morti convivono pacificamente coi vivi: le loro presenze sono richiamate, più che temute, e il fuoco, anziché mezzo per scacciare le loro anime, diventa il lume che le guida verso la strada di casa.

In Abruzzo le zucche si chiamano “Cocce de morte” e vengono portate in giro dai ragazzi come personificazione dei morti. Quando bussano alle porte e si presentano:”l’aneme de le morte!”, il padrone di casa si prepara ad offrire dolci, frutta secca o spiccioli. A volte l’elemosina è accompagnata da canti, come a Pettorano sul Gizio (L’Aquila), uno dei borghi più belli d’Italia, dove si intonano queste parole:

“Ogge è lla feste de tutte li sande:
Facete bbene a st’aneme penande…
Se vvu bbene de core me le facete,
nell’altre monne le retruverete.”

A Orsara di Puglia, borgo pugliese in provincia di Foggia, anziché Halloween si festeggia la notte dei Fucacoste e Cocce Priatorje (“falò e teste del Purgatorio”).

Le “cocce” altro non sono che zucche intagliate, in origine a forma di croce, contenenti lumini accesi. Niente a che fare con Halloween: la festa sembra risalire addirittura all’anno Mille.

La “notte del Purgatorio”, quella tra l’1 e il 2 novembre, le zucche col simbolo della croce venivano lasciate davanti alle case per scacciare le anime dei dannati dal banchetto serale, a cui potevano accedere solo le anime buone. Allo scoccare della mezzanotte, iniziava la questua: uomini incappucciati e vestiti di nero giravano in processione bussando a tutte le porte. Chiedevano “l’aneme d’i murt” (letteralmente, l’anima dei morti), cioè gli avanzi del banchetto, che ridistribuivano ai poveri. Portavano in mano una lanterna per scaldarsi: per questo la processsione era chiamata dei “Fucacoste” (con accanto il fuoco). Ancora oggi a Orsara questa è la notte più luminosa dell’anno.

Le zucche si trovano anche nelle tradizioni della Calabria, in particolare a Serra S. Bruno (Vibo Valentia). Qui i ragazzini intagliano la zucca per riprodurre un coccalu di muortu, cioè un teschio: poi si aggirano per le strade chiedendo “Mi lu pagati lu coccalu?” (Me lo pagate il teschio?), che ricorda molto quel “trick or treat?”(dolcetto o scherzetto?) della tradizione anglosassone.

In Sicilia la “Festa dei Morti” è attesa soprattutto dai bambini: sanno che se sono stati bravi riceveranno in dono dai parenti defunti il cannistro, un cesto pieno di giocattoli e dolci. Tra questi ci sono i pupi di zuccaro, dolci antropomorfi, e le ossa ri morti, dolci a forma di tibie umane a base di farina, zucchero e chiodi di garofano. Della tradizione del cannistro parla anche Andrea Camilleri nel racconto “Il giorno che i morti” persero la strada di casa. È un’usanza tanto diffusa che nelle piazze vengono allestiti mercatini ad hoc, le “Fiere dei morti”, dove i genitori possono acquistare i regali per i loro piccoli.

In Sardegna Halloween ha molti nomi: i più diffusi sono Is Animeddas al sud e Su Mortu Mortu nel nord della regione. La sera del 31 ottobre si cena con la pastasciutta e si sta attenti a lasciare nel piatto una porzione per Maria punta boru, una vecchina che se non trova da sfamarsi… buca la pancia con il suo uncino (punta boru) per mangiare la pasta!

Anche nel Nord Italia non mancano le tradizioni 

A partire dal Friuli, dove si celebra ancora l’antico capodanno celtico con la La Fiesta dalis Muars, che cade proprio il 31 ottobre. Nel dialetto locale, muars significa zucca, ed è proprio questo ortaggio al centro dei festeggiamenti: scavata e illuminata, viene posta davanti alla porta di casa per ingraziarsi gli spiriti. Nella regione si ritiene che in questa notte i morti possano uscire dalle tombe e andare in pellegrinaggio nelle chiese più isolate: secondo i racconti popolari, chi dovesse entrare in chiesa durante una di queste visite notturne morirebbe al canto del gallo.

In provincia di Massa Carrara in Toscana si festeggia il bèn d’i morti, un’occasione per ricordare i propri cari scomparsi attraverso gesti di carità. I parenti dei defunti erano tenuti a donare cibo ai più bisognosi; chi possedeva una cantina offriva un bicchiere di vino. A Castelpoggio di Carrara vengono organizzati ancora oggi pranzi aperti a tutti. Ai bambini si regalavano le “sfilze”, collane fatte di castagne bollite e mele.

In Valle D’Aosta e Piemonte sopravvivono invece ancora due tradizioni molto simili: si prepara una sontuosa tavola per far cenare i defunti e poi si fa visita al cimitero, per lasciare ai trapassati la libertà di banchettare in santa pace. Si racconta che durante queste cene gli spiriti parlino tra loro, predicendo l’avvenire dei propri congiunti.

Insomma, il motivo per festeggiare si trova sempre: soprattutto in un momento come questo, dopo quasi 2 anni di sofferenze e ansie legate alla pandemia, si cerca con insistenza un’occasione di leggerezza.

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