Il contributo

11 settembre 2001, le storie poco raccontate: i carri armati e i lutti tra la comunità italiana

11 settembre 2001, una tragedia raccontata innumerevoli volte, tante storie nate e morte dentro i grattacieli del World Trade Center. Eppure, sono ancora molte le storie da raccontare. Come il rischio, per Manhattan, che affondasse la punta sud nella baia

11 settembre 2001, venti anni fa quello che è passato alla storia come attentato alle Torri Gemelle, che sconvolse il mondo intero. Una tragedia raccontata innumerevoli volte, tante storie nate e morte dentro i grattacieli del World Trade Center. Eppure, sono ancora molte le storie da raccontare. Quelle illustrate da Silvana Mangione, Vice Segretario Generale per i Paesi Anglofoni Extraeuropei.

Sull’11 settembre 2001, ormai venti anni fa, sono stati pubblicati milioni di articoli, inventando teorie e complotti inesistenti, pur di metterci la firma ed essere citati. Tuttavia, esistono ancora alcune storie vere, belle e brutte, poco diffuse o mai raccontate, come l’arrivo dei carri armati a Manhattan per chiudere gli accessi ai ponti e ai tunnel perfino al rientro dei residenti, che rimasero fuori dall’isola per più di una settimana. Non si è detto che davanti alle Nazioni Unite ha sostato per mesi una colonna di Tir, attrezzati con grandi celle frigorifere, per conservare i corpi delle vittime, in attesa di riconoscimento e sepoltura.

 

silvana mangione

In foto Silvana Mangione

 

Per oltre dieci anni si è mantenuto il segreto sul grave rischio che si verificasse un’altra tragedia, sventata dall’intelligenza delle squadre della compagnia elettrica di New York. L’energia assorbita dai grattacieli del World Trade Center era fornita da cavi sotterranei ad alta tensione, immersi in olio altamente tossico per impedire il surriscaldamento del rame all’interno di un enorme tubo protettivo d’acciaio. Bisognava aprire il tubo per disattivare i cavi, prima che le macchine dei soccorritori entrassero in contatto con il metallo e l’acqua con effetti dirompenti, che avrebbero potuto causare il distacco e l’affondamento della punta sud di Manhattan nella baia, con tutti gli edifici non colpiti dagli attentati. C’era un solo macchinario in grado di tagliare lo spessore del tubo, ma era a San Francisco. Il 12 settembre, nonostante il blocco dei voli, fu inviato in California un aereo per caricare e portare a New York la salvezza, ma a tutt’oggi non sappiamo se fosse un aereo militare o addirittura quello presidenziale.

11 settembre 2001, quel giorno capimmo di essere in guerra

Fra le azioni più generose e discrete, che fiorirono dopo quel giorno maledetto, ce n’è una pressoché sconosciuta. Alla riapertura delle scuole, le donne italoamericane di Queens andarono a prendere le vicine di casa di origine mediorientale per accompagnarle con i loro figli a scuola, affinché nessuno le aggredisse, nel clima di caccia al nemico etnico che stava dilagando.

La comunità italiana aveva perso centinaia di suoi figli fra chi lavorava alle Torri gemelle, i poliziotti e i vigili del fuoco accorsi sul luogo del disastro. Aveva bisogno di un grande abbraccio per lenire il dolore. Un altro aereo, quello del nostro Presidente della Repubblica, portò dall’Italia 30 parlamentari accompagnati dall’allora Ministro per gli Italiani nel mondo, Mirko Tremaglia. Rimasero soltanto 24 ore. Fu celebrata una Messa solenne nella Cattedrale di San Patrizio con 3.000 fedeli, in uno spazio che ne siede 2.600, e altre migliaia su Quinta Avenue che cantarono insieme a noi i due inni nazionali. Poi Katia Ricciarelli intonò l’Ave Maria di Schubert e Panis Angelicus, con effetto catartico.

L’ultima visita alle Torri Gemelle: noi, aquilani, scampati per caso all’attentato dell’11 settembre

Il presidente della Repubblica Ciampi aveva scritto: “L’America non è la sola a piangere le sue vittime… Che la loro memoria ci aiuti a sconfiggere la barbarie”. Per questo, ogni anno, la nostra comunità legge due volte i nomi dei suoi caduti: una a Ground Zero, l’altra al Consolato d’Italia. Per non dimenticare.

11 settembre 2001 – 11 settembre 2021: l’intervento dell’Ambasciatrice Mariangela Zappia, alla videocall organizzata dalla Farnesina insieme al Cgie

Sono lieta di partecipare a questa sentita commemorazione e ringrazio il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero e il Segretario Generale, Michele Schiavone, per esserne stati promotori. Saluto il Sottosegretario Della Vedova e tutti i connazionali e gli amici americani collegati.

Ci uniamo tutti alle parole pronunciate oggi dal Presidente della Repubblica, che ha espresso “la vicinanza del popolo italiano alle famiglie delle vittime di quel feroce attentato e a tutto il popolo degli Stati Uniti”.

Nella memoria di tutti noi sono scolpite le immagini di quei quattro aerei usati come strumenti di morte vent’anni fa. I due scagliati contro le Twin Towers, il terzo sul Pentagono e il quarto che ha mancato l’obiettivo solo grazie al coraggio di equipaggio e passeggeri che hanno avuto la meglio sugli attentatori.

“Quella tragedia ci ha uniti agli Stati Uniti nel segno del dolore”, ha evidenziato il Capo dello Stato, che ha voluto rivolgere un pensiero particolare ai connazionali e alle persone di origine italiana che persero la vita quel giorno.

225 di queste vittime erano italiane, e di origine italiana erano più di 60 dei 343 pompieri che persero la vita a New York. Insieme agli agenti della polizia e dell’Autorità portuale della città, contribuirono a salvare ventimila persone coinvolte nell’attacco alle due Torri. Il loro eroismo costituisce l’esempio più alto del contributo che gli Italiani hanno offerto alla crescita degli Stati Uniti d’America, fin dalla nascita di questo Paese.

L’11 settembre del 2001 io ero a New York, in servizio alla Rappresentanza italiana alle Nazioni Unite. Ricordo bene lo stato di shock in cui piombo’ New York e con essa tutto l’Occidente.

L’attacco ci mostro’ brutalmente che possiamo essere colpiti nei luoghi in cui ci sentiamo più sicuri. Diffuse un senso di paura e accrebbe la nostra domanda di sicurezza.

In questo contesto l’Italia e’ stata tra i primi Paesi amici ed alleati a rispondere all’appello lanciato dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre, quando per la prima volta dalla costituzione dell’Alleanza Atlantica e’ stato invocato l’Art. 5 del Trattato dell’Atlantico del Nord.

In questi 20 anni l’Afghanistan è stato il teatro del nostro più grande impegno militare all’estero dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Sono state impegnate 50.000 nostre donne e uomini in uniforme. 54 di loro hanno perso la vita e 723 sono stati feriti.

Non siamo stati invano in quel Paese. Un’intera generazione di afghani ha potuto vivere in un Afghanistan diverso; le donne hanno potuto esprimersi, studiare e lavorare; abbiamo costruito scuole, pozzi, strade, dighe, reti elettriche, ospedali, per tutta la popolazione.

Finita la fase dell’emergenza, in cui l’Italia ha evacuato il più alto numero di afghani da Kabul di ogni altro Paese dell’Unione Europea, siamo ora impegnati in una nuova fase, al fianco degli Stati Uniti e degli altri alleati, per preservare i progressi compiuti dall’Afghanistan in termini di diritti umani e libertà civili.

“La memoria dell’11 settembre” – nelle parole del Presidente Mattarella –“ ci spinge con sempre maggior vigore a proteggere gli indivisibili valori di liberta’, democrazia, pace e sicurezza che non possono mai essere considerati acquisiti, come ci ha dimostrato la drammatica vicenda afgana”.

L’Italia e’ impegnata in prima linea nel coordinamento internazionale che si è attivato sull’Afghanistan su molteplici fronti, dall’assistenza umanitaria al contrasto al terrorismo.

Siamo convinti che per contrastare il terrorismo, in ogni luogo e in ogni forma, occorra estirparne le radici profonde, che trovano terreno fertile nell’instabilità. L’Italia viene apprezzata dagli Stati Uniti e dagli altri nostri partner come un “esportatore di sicurezza”. Ebbene, per portare stabilità e sicurezza, siamo convinti che sia necessario lavorare da un lato con la gente e con l’approccio a tutto campo che ha sempre distinto l’operato delle nostre forze armate. Dall’altro, occorre coinvolgere tutti gli attori che condividono la preoccupazione per un Afghanistan in cui proliferi la minaccia terroristica.

L’Italia ha adottato anche un proprio piano per l’Afghanistan articolato in cinque pilastri: l’assistenza umanitaria; la risposta strutturale al flusso di rifugiati; l’istruzione degli afgani; la difesa dei diritti umani, con particolare attenzione alle donne; l’elaborazione di una strategia politica e diplomatica condivisa con i partner.

Tra le lezioni più dure che abbiamo imparato con l’11 settembre c’è quella che la nostra sicurezza dipende dalla sicurezza degli altri Paesi, dalla loro stabilità. È questa consapevolezza, unita alla memoria indelebile per l’attacco di vent’anni fa, a rinnovare la nostra vicinanza agli Stati Uniti e a motivare oggi il nostro impegno, insieme a loro e agli altri alleati, per fronteggiare ogni minaccia terroristica.

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