Politica

Partiti senza strategia

Le conseguenze del governo Draghi sulle tattiche dei partiti; mancano però le strategie.

C’era una volta il governo gialloverde, quello composto da 5Stelle e Lega. A guidare quell’esecutivo c’era Conte, e i due vice erano Salvini e Di Maio. Una sera sul balcone di Palazzo Chigi si aprirono le finestre per festeggiare “l’abolizione della povertà”. Bottiglie di spumante e brindisi per quel consenso unanime del Consiglio dei ministri all’approvazione del reddito di cittadinanza. Nessun distinguo con il sì convinto dei ministri della Lega. Alle Camere Lega e 5Stelle fecero quadrato, il provvedimento passò con i voti della maggioranza. Il Pd e le altre opposizioni votarono contro il decreto (c’era anche quota 100). Passano due anni e la Lega si scaglia contro il reddito, che ha votato.  Difende il provvedimento il Pd, che votò contro. Paradossi della politica. E i provvedimenti sicurezza? Conte, su questi attacca Salvini, ma chi era il presidente del Consiglio? Naturalmente Conte.

Nessuno è impazzito è solo la conseguenza del governo Draghi. Tutti nella maggioranza, il premier  non si sforza di mediare, ma semmai di convincere tutti a seguirlo. E così i partiti rischiano di trasformarsi in anonimi portatori d’acqua. Hanno bisogno di visibilità, ma senza far balenare nemmeno l’ombra del sospetto che possano staccarsi da questa anomala maggioranza. Così Salvini giura che non voterà per l’obbligo vaccinale o il green pass esteso. Poi si corregge, no al vaccino obbligatorio, ma il green pass è cosa diversa. Lasciare il governo? Nemmeno per sogno, non vuole fare “regali” a Pd e 5Stelle. Il Pd, governista per vocazione, non corre il rischio di essere frainteso. Quando  Letta polemizza con Salvini  lo accusa di essere fuori dal governo. E così per le battaglie identitarie si occupa di legge Zan e di diritti  civili. Materia parlamentare che non coinvolge l’esecutivo. I 5Stelle a fatica cercano di uscire da una fase travagliata. La  battaglia identitaria  è difendere quella conquista, quel reddito ora sotto attacco.

Sull’economia, sui progetti di sviluppo, , insomma sui grandi temi, tutti silenziosi. Non si parla al manovratore. Si assiste a polemiche che nascono e muoiono nel giro di pochi giorni, temi che dividono, ma senza scismi. Tutto fino almeno all’elezione del Capo dello Stato il prossimo febbraio. Ma anche qui non si sa bene chi potrà cercare di dare le carte. Draghi al Quirinale? Soltanto se sarà lui a volerlo. Reincarico a Mattarella? Se lo vuole il presidente. Il mondo dell’economia spinge perché Draghi resti fino  al termine della legislatura. I partiti, forse con la sola eccezione di Fratelli d’Italia, non hanno fretta di chiudere questa esperienza. Una vecchia volpe della politica italiana come Cirino Pomicino arriva a ipotizzare che, anche dopo il voto del  ’23,  i partiti, dovranno ricorrere ancora a Draghi. In realtà nessuno sa bene cosa potrà accadere con il voto. Se i sondaggi di oggi dovessero essere confermati, vincerebbe la destra, ma il primo partito sarebbe quello della Meloni e dovrebbe essere lei a guidare il governo. Ma è quel che vuole Salvini? A sinistra temono il voto, ma la speranza è il consolidamento di una maggioranza ampia per cercare di contrastare la coalizione avversa. Però ci vuole tempo. Tutto questo basato sui sondaggi. Ma i voti reali confermeranno le previsioni? Gli stessi sondaggisti, pur concordi nei loro test, mettono in guardia da eventuali sorprese. Il voto di ottobre nelle grandi città italiane potrebbe essere un test attendibile.  Quei risultati potrebbero forse far cambiare qualcosa. Ma soltanto nella tattica, perché di strategia non si parla da nessuna parte. Pilota Draghi e ai partiti non resta che cercare di conquistarsi qualche spazio di visibilità e di consenso aspettando di poter giocare da protagonisti.

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