Cultura

Le nuove stanze della poesia, Daniele Cavicchia

Il ritratto e le poesie di Daniele Cavicchia, per l'appuntamento con la rubrica di Valter Marcone.

Daniele Cavicchia è nato nel 1948 a Montesilvano (Pescara), dove risiede.

Per la poesia ha pubblicato: Liriche (Pescara, 1969); Per i sentieri di Sion (Jester libri, 1973); Alle porte di Enaim (Bastogi, 1982); Altri sogni (Giardini Editore, 1988); Un dio per Saul (Tracce, 1989); Il Manichino (1993); I dialoghi del paziente (Noubs, 1988); Il custode distratto (Tracce, 2002); La malinconia delle balene (Passigli, 2004, presentazione di M. Luzi); Dal libro di Micol (Passigli, 2008); La signora dell’acqua (Passigli, 2011, presentazione di S. Givone), Il guscio delle cose (Passigli, 2019, prefazione di Eugenio Borgna). Ha collaborato a “L’Informatore librario”, a “Il Messaggero” e diretto due riviste letterarie. È segretario organizzatore del premio di saggistica “Città delle rose” e ha curato il premio “Ovidio” e il Festival Internazionale di poesia “Moto Perpetuo” di Pescocostanzo. Sue poesie sono state tradotte in inglese, ungherese, giapponese, ebraico, russo e tedesco.

Eugenio Borgna nella prefazione del volume “Il guscio delle cose” pubblicato da Passigli nel 2019 scrive : “…Confrontando questa ultima straordinaria pubblicazione poetica con le precedenti, non potrei non dire che in essa il discorso poetico si dilata e si snoda in sequenze che si intrecciano le une alle altre in vertiginose ascese e discese tematiche ma nel solco di una mirabile unità espressiva e narrativa che dà anima a una lettura febbrile e ininterrotta: sono testi lirici che non si possono non leggere senza sosta, nello stupore del cuore, dalla prima alla ultima composizione poetica. Dalla memoria, dall’archivio della memoria, i ricordi sgorgano nelle loro penombre e nelle loro luci abbaglianti, le une e le altre intessute di dolore e di angoscia indicibili, di parole scheggiate e imprevedibili, di silenzi impenetrabili, e questo nel roveto ardente di narrazioni che immergono il passato nel presente, in un presente nel quale si riflette un passato che continua a vivere nelle sue metamorfosi e nei suoi sconfinati adombramenti… Dalla lettura di questi testi si esce quasi storditi dalla loro sconvolgente profondità, e dalla loro vibrante testimonianza della fecondità inappagata e straziata delle composizioni poetiche di Daniele Cavicchia che, bruciando ogni convenzionalità, ci avvicinano al mistero del dolore, e ai suoi imprevedibili orizzonti di senso”

D’altra parte lo stesso Cavicchia in una intervista a Nobus.wordpress dice della sua poesia: “Credo di interrogare quasi sempre me stesso. Tento di sdoppiarmi cercando di immaginare l’altro che potrei essere. In ogni caso vivo di dubbi e forse anch’io sono un dubbio. E quindi, la poesia, una volta scritta, è una domanda o una risposta?”.

Per proseguire rispondendo alla seguente domanda: “Un altro elemento della tua poesia è quello della ricerca religiosa; spesso i tuoi versi sono inni, salmi, preghiere…”, come segue: “Si, è vero. Non voglio credere che tutto si limiti al nostro corpo o a quello che di noi e di altri possiamo vedere. Forse siamo di più e non necessariamente bisogna appartenere a qualche religione per allontanarci dalla nostra carnalità: a volte la lontananza può creare delle vicinanze. Se nelle mie poesie si ritrovano salmi o preghiere, in qualche misura dipende dalle letture che prediligo , ma il vero motivo, secondo me, è che quando una poesia riesce altro non è che una preghiera. E lì il poeta c’entra poco, è solo un tramite. Ha ragione Milosz”.

Un colloquio con se stesso e una ricerca dentro l’essenzialità della poesia che appunto per Cavicchia diventa preghiera. Quella che si serve delle parole per rendere la comunione del proprio essere con il fuoco di una creazione.

Perché la poesia: “La poesia è un dettato … succede … parole che arrivano … il poeta, semplicemente, ascolta e traduce” come egli stesso spiega, al pubblico la genesi artistica dei suoi versi,in occasione della presentazione della sua silloge “La Solitudine del fuoco” inaugurando l’edizione 2016 del FLA di Pescara. Una poesia che “è come una preghiera e con essa non si mente e non ci si annoia mai, perché ogni giorno, rileggendola, ci appare diversa”.

Da IL CUSTODE DISTRATTO
Se il giorno
Se il giorno ti coglie impreparato
ed era quello che temevi, sei già assente
come quando pensavi di portarle fiori
mancando l’appuntamento.
Quasi nulla di ciò che resta
è memoria di ciò che è stato,
tutto si confonde nell’assenza di stagioni;
e se bussando ad una porta
nessuno apre, cerchi un vicino
a cui chiedere i motivo
ma non aspetti la risposta
temendo che ti dica che tutti sono andati.

Da DAL LIBRO DI MICOL
Nel silenzio
Nel silenzio di un addio abita il vuoto
di uno scoglio senza onde, di orologi frantumati.
E non sai perché resti muto mentre vorresti maledire
e non sai se anche tu stai andando
o se chi va zittisce il pensiero
perché tu possa indovinare il suo viaggio.
O se per rispetto di un discorso che non puoi capire
altrove, dici, e resti fermo nel tempo che si è fermato.

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