Cronaca

Delitto di Barisciano, inizia il processo: 19 mesi di indagini

A luglio la prima udienza per Gianmarco Paolucci, accusato del delitto di Barisciano. Dal giorno del delitto alla prima udienza, 19 mesi di indagini.

BARISCIANO – A luglio la prima udienza a carico di Gianmarco Paolucci, accusato dell’omicidio di Paolo D’Amico. Dal giorno del delitto alla prima udienza, 19 mesi di indagini.

Era il 24 novembre 2019 quando, non riuscendo a mettersi in contatto con lui, un familiare di Paolo D’Amico, 55enne che lavorava presso l’ASM, si è recato presso l’abitazione del congiunto, a Barisciano. Dalla finestra dell’abitazione, il familiare ha visto il corpo di Paolo D’Amico riverso a terra e ha quindi chiamato i soccorsi.

Il delitto di Barisciano

Scattato l’allarme, sul posto sono immediatamente giunti gli operatori del 118 e i Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia dell’Aquila, che ha immediatamente avviato le indagini sotto il coordinamento della Procura: nessun dubbio, infatti sulla natura del decesso.

Come chiarirà la successiva autopsia, con le ricostruzioni degli investigatori, infatti Paolo D’Amico, nel pomeriggio del 22 novembre 2019, è stato ucciso a Barisciano con 22 colpi sferrati con violenza in varie parti del torace, al capo e alle mani con uno scalpello della lunghezza di 9,6 centimetri e larghezza di 1,6 centimetri e con una mazzetta da cantiere con testa di ferro da oltre un chilo. Secondo le ricostruzioni effettuate, D’Amico sarebbe stato prima aggredito con lo scalpello, per poi ricevere “il colpo di grazia” con la mazzetta da cantiere sul capo. La morte è sopraggiunta per grave politrauma cranico provocato dai colpi di mazzetta e insufficienza respiratoria acuta provocata dai colpi di scalpello al torace.

omicidio paolo d'amico barisciano: indagini dei Carabinieri

Le indagini sull’omicidio.

Come da prassi, i Ris hanno effettuato tutti i rilievi del caso, mentre l’ispezione dell’abitazione ha fatto rinvenire nelle pertinenze della stessa delle piante di marijuana. Secondo gli investigatori, però, mancava qualcosa: probabilmente l’assassino aveva portato con sé alcune piante, facendo sospettare un delitto sviluppatosi nell’ambito del consumo e cessione di stupefacenti. Un altro possibile movente individuato dagli investigatori, quello economico, legato magari a prestiti non onorati.

Per questo i Carabinieri hanno ricostruito tutti i contatti della vittima, aiutati dall’analisi del telefonino della vittima. Difficile l’acquisizione delle testimonianze, in quanto molti degli interrogati frequentavano la vittima per questioni legate agli stupefacenti, quindi gli investigatori hanno dovuto abbattere un muro di reticenze particolarmente ostico. Al di là delle reticenze per motivi legati alla difficoltà di ammettere un certo tipo di illecite attività, gli investigatori però hanno attenzionato i soggetti che avevano reso dichiarazioni particolarmente contradditorie, come nel caso di Gianmarco Paolucci, il 25enne aquilano prima indagato e poi imputato per l’omicidio. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, infatti, Paolucci avrebbe reso dichiarazioni contraddittorie e non corrispondenti alla realtà. Contraddittorie, in quanto in un primo momento avrebbe negato di essere mai stato in casa della vittima, mentre poi avrebbe ammesso di esserci stato in qualche occasione. Non corrispondenti alla realtà, invece, in quanto comunque Paolucci avrebbe escluso di essere stato a casa della vittima nel pomeriggio del 22 novembre 2019, giorno in cui viene collocato temporalmente l’omicidio. Dall’analisi delle celle telefoniche, infatti, gli investigatori hanno notato che il telefono del giovane proprio quel giorno avrebbe agganciato una cella telefonica compatibile con la zona dell’abitazione della vittima. Sul punto, però, la difesa – rappresentata dall’avvocato Mauro Ceci – è pronta a contestare l’inconfutabilità del dato tecnico, in quanto in caso di una cella vicina piena, il telefono potrebbe aver agganciato la prima libera.

Ad ogni modo, le dichiarazioni del giovane hanno allertato gli investigatori, che hanno cercato conferme ai sospetti.

Omicidio Barisciano, l’alcoltest inchioda il presunto assassino

Omicidio di Barisciano, il DNA

La svolta è arrivata grazie all’individuazione, da parte dei Ris, di tracce di DNA sui pantaloni della vittima, all’altezza delle caviglie. Secondo la ricostruzione degli investigatori, infatti, dopo l’omicidio l’assassino avrebbe trascinato per le caviglie il corpo di Paolo D’Amico, per liberarsi la via di fuga. E così avrebbe lasciato tracce di DNA sui pantaloni della vittima. Al DNA trovato sui pantaloni, però, serviva una corrispondenza.

Così, individuato in Gianmarco Paolucci un sospettato, i Carabinieri hanno fatto scattare la rete: verso metà dicembre 2020, infatti, una pattuglia si è posizionata per quello che sembrava un normalissimo posto di controllo, fermando l’auto del 25enne aquilano per poi sottoporre il guidatore ad alcoltest. L’esito positivo delle analisi, che hanno riscontrato che il DNA trovato sui pantaloni della vittima era compatibile con quello del 25enne aquilano, ha convinto gli investigatori della correttezza della propria tesi. Così Gianmarco Paolucci è stato arrestato all’inizio del mese di febbraio del 2021 con l’accusa di aver ucciso Paolo D’Amico, con l’aggravante dei futili motivi e crudeltà nei confronti della vittima.

La vicenda giudiziaria

Dopo l’arresto di Gianmarco Paolucci, la difesa rappresentata dall’avvocato Mauro Ceci ha presentato ricorso per modificare la misura cautelare in carcere. GIP e Riesame, però, hanno confermato il carcere per il 25enne. Si attende ora la pronuncia della Corte di Cassazione.

Nel frattempo, la Procura, nella persona del Pubblico ministero, la dottoressa Simonetta Ciccarelli, ha chiuso le indagini chiedendo e ottenendo dal GIP Guendalina Buccella il giudizio immediato per l’imputato, con la prima udienza prevista per il 14 luglio in Corte d’Assise dell’Aquila.

Come persone offese sono state individuate la madre e il fratello di Paolo D’Amico, assistite dagli avvocati Antonio e Francesco Valentini.

La difesa

Il 14 luglio inizierà quindi il processo, con la difesa pronta a giocare le sue carte, a partire dal movente. Gli inquirenti, infatti, ritengono che l’omicidio sia nato nell’ambito degli stupefacenti o di un prestito non restituito, ma l’analisi tossicologica sul capello del 25enne ha dato esito negativo per quanto riguarda la droga, mentre l’analisi dei dati bancari non ha fatto rivelare movimenti sospetti. Né le perquisizioni hanno permesso di ritrovare le piante di marijuana mancanti dalla scena del crimine.

D’altra parte, anche gli esami dei Ris hanno dato esito negativo, sia per quanto riguarda l’analisi delle tracce rinvenute in auto e a casa del giovane, che quelle sulle scarpe. Sulla scena del crimine, intanto, la difesa ha fatto rilevare la presenza di un’altra orma, mentre le scarpe sequestrate al giovane, ritenute compatibili con l’orma sporca di sangue refertata sul luogo del delitto, infatti, a seguito dell’analisi dei RIS sono state giudicate non corrispondenti alla forma dell’orma e comunque prive di tracce di sangue, seppur le stesse scarpe siano state attentamente lavate.

Niente tracce di sangue neppure sull’auto e a casa del giovane, a parte una vecchia macchia di sangue ritrovata su un materasso, ma che poi è risultata appartenere a una persona di sesso maschile.

Capitolo a parte, la questione della “mano” che ha ucciso D’Amico: per il medico legale, a sferrare i colpi che lo hanno ucciso è stato un destrimano, mentre Paolucci ha sempre dichiarato di essere mancino e in effetti con la sinistra è stato visto firmare l’interrogatorio. Tesi confermata anche dalla fidanzata e dagli amici. C’è però la testimonianza di un appartenente alle forze dell’ordine che ha riferito di averlo visto firmare in un’altra occasione con la destra. Anche sul posto di lavoro, il 25enne eseguiva alcune azioni anche con la mano destra.

Nel corso del dibattimento la difesa valuterà anche eventuali opposizioni relative al test del DNA, che al momento appare come la prova determinante su cui si basa l’accusa.

Dal 14 luglio, comunque, si va in aula per dare almeno una verità processuale al delitto di Barisciano. Con i tempi del giudizio immediato l’attesa non sarà lunga.

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