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Mafia nigeriana, Titus: ascesa e declino dell’imperatore della Black Axe

L'AQUILA - Dalla Nigeria alla testa dell'impero italiano della Black Axe. Chi è Titus, "l'integralista della mafia nigeriana" che aveva scelto come base il capoluogo abruzzese.

L’AQUILA – Dalla Nigeria alla testa dell’impero italiano della Black Axe. Chi è Titus, “l’integralista della mafia nigeriana” che aveva scelto come base il capoluogo abruzzese.

Una laurea nel settore economico e una buona famiglia alle spalle, un profilo “insolito” per un capo mafia, ma la Black Axe non è la solita mafia. Non gambizza e non ammazza, perché poi “arriva la polizia”, ma preferisce “l’attacco ai sistemi”, come quello economico, all’attacco fisico, anche se all’occorrenza non manca nemmeno la violenza sulle persone. Il tutto gestito da L’Aquila da Titus, il capo cult italiano di tutta l’associazione criminale di mafia nigeriana denominata Black Axe, almeno fino a quando Procura e Polizia hanno messo fine al suo impero.

Titus e la Black Axe, i criminali con la laurea.

La Black Axe è diversa dalle “solite” mafie nigeriane. Come ricordava in conferenza stampa dal Procuratore Michele Renzo, l’associazione criminale nasce nell’ambito di confraternite universitarie. E infatti Titus, 35 anni, ha una laurea nel settore economico, come la gran parte degli affiliati. Non solo. Titus ha quella che viene considerata una “buona famiglia” in Nigeria, più che buona, una famiglia in vista, importante. Nonostante questo, prende la via del deserto libico e poi del mar Mediterraneo, per giungere in Italia nel 2014. Viene assegnato al centro di accoglienza dell’Aquila e dopo un paio d’anni parte per Reggio Emilia, non perde mai i contatti con il capoluogo abruzzese, tant’è che viene “intercettato” la prima volta durante l’operazione antidroga denominata “Papavero”, che riguardava cittadini gambiani. Titus, però, oltre a non essere gambiano, ha qualcosa “in più” che incuriosisce la Polizia. “Mai ci saremmo immaginati di trovarci di fronte un personaggio così importante della mafia nigeriana” diranno poi gli investigatori ad arresto compiuto.

black axe polizia

Mafia nigeriana, la regola del basso profilo.

Non è stato facile per i segugi della Polizia di Stato individuare il ruolo apicale di Titus nel cult italiano della Black Axe. “L’imperatore Titus”, infatti, aveva già fatto quel “salto di qualità” che le mafie locali hanno appreso solo negli anni: la violenza fa male agli affari, così come l’esposizione e le prove di forza. Titus, infatti, aveva imposto la regola del basso profilo, perché ogni violenza, pur non denunciata, comportava l’interesse delle forze dell’ordine. Basta infatti un ricovero in ospedale “sospetto”, pur non corredato da denunce, per far scattare le indagini.

Il capo italiano della Black Axe, inoltre, curava gli affari dell’associazione con estrema prudenza: gli spostamenti – molti dei quali da Reggio Emilia, dove ha passato un periodo di tempo prima del ritorno a L’Aquila, allo stesso capoluogo abruzzese – avvenivano spesso senza portare con sé telefoni cellulari, per evitare che fosse “localizzato” dove non voleva essere localizzato. Le comunicazioni avvenivano di persona (anche per questo la scelta “baricentrica” dell’Aquila, rispetto alle altre città presiedute dai suoi “collaboratori”) e con telefoni acquistati direttamente sul posto, insomma un sistema di “semi-latitanza” che aveva poco da invidiare agli storici latitanti “indigeni”. Da qui, l’importanza dei “vecchi” metodi investigativi, accanto a quelli tecnologicamente più avanzati, che hanno permesso agli investigatori di tessere la propria tela per incastrare il capo della Black Axe.

Black Axe, dalle paure primordiali dei riti di affiliazione all’alta tecnologia.

Da un lato, quindi, alta formazione per quanto riguarda economia e informatica, per mettere in campo truffe, tra cui le famigerate truffe romantiche, e muoversi con destrezza nel dark-web (anche se naturalmente non sono stati trascurati i settori “classici” di spaccio e sfruttamento della prostituzione), dall’altra riti di affiliazione antropologicamente rivolti alla tradizione e alle paure primordiali. Come le mafie nostrane, anche nella Black Axe si entra infatti con riti specifici, anche se molto più cruenti. Intanto occorre essere “presentati” da un “linkman”, una sorta di “padrino” che garantisce sulla fedeltà del nuovo affiliato, dopo di che scatta il rito vero e proprio.

I tre giorni nel bosco.

Titus viene considerato un “integralista” all’interno della mafia nigeriana, perché pretendeva che i nuovi membri venissero affiliati esclusivamente in Nigeria, attraverso riti violenti, un po’ perché in Italia avrebbero dato troppo nell’occhio, un po’ per quel legame con la terra di origine che avrebbe reso il tutto più suggestivo e caratterizzante.

Il nuovo affiliato viene portato in un bosco, dove trascorre circa tre giorni, tra violenze e vessazioni di ogni genere. Al termine della brutale iniziazione deve bere la Kokoma, una sorta di bomba di stupefacenti, recitando il giuramento con la convinzione che qualora il nuovo affiliato rompa il patto di fedeltà con la Black Axe, la Kokoma interverrebbe istantaneamente a ucciderlo.

A quel punto il “confratello” è pronto per entrare nell’associazione criminale. Ammesso che sia sopravvissuto.

Black Axe decapitata, perché l’Italia non è un paese per mafia nigeriana.

Secondo l’ultimo rapporto dell’FBI, la Black Axe è operativa in 80 Paesi del mondo ed è la più pericolosa delle mafie nigeriane. Eppure in Italia non hanno vita facile, anzi. Oltre 300 gli affiliati arrestati negli ultimi anni, senza contare l’ultima operazione Hello Bross, che ha di fatto decapitato il vertice criminale. Questo, grazie a strumenti normativi adeguati che purtroppo non tutti i paesi europei possiedono: ovvero il riferimento all’associazionismo criminale di stampo mafioso, ex 416 bis. Senza strumenti adeguati, con pochi “reati di sangue” a carico, infatti, le mafie nigeriane riescono in diversi paesi a limitare i colpi della giustizia. In Italia, invece, il 416 bis dà un’arma importante alle Procure e alle forze dell’ordine per disarticolare le pericolose formazioni criminali, come accaduto con il recente arresto di Titus, l’imperatore della Black Axe italiana.

La Black Axe ovviamente cercherà di riorganizzarsi. La piramide del potere mafioso prevede la presenza di un leader mondiale, presumibilmente localizzato in Nigeria, ma di cui la Polizia italiana ignora le generalità, e un’organizzazione capillare, divisa in cult, che non lascia nulla al caso. Non sarà il primo giovane emergente a prendere il posto di Titus, ma una persona scelta seguendo una ben precisa strategia. Una persona che però deve sapere che in Italia, a causa di una lunga storia di sangue, sacrificio e dolore, c’è il 416 bis, un patrimonio “eredità” della lotta alla mafia siciliana, alla camorra, alla ‘ndrangheta che mette nelle mani di Procure e forze dell’ordine un’arma in più. Quella che ha portato Titus in carcere, “senza passare dal via”, anche senza imputazioni di omicidi o gravi fatti di sangue, ma proprio per l’attività in un’associazione criminale di stampo mafioso.

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