Emergenza coronavirus

Covid 19 L’Aquila, Terapia intensiva sempre sotto pressione: l’emergenza non è finita

L'AQUILA - Risalgono i contagi Covid 19 in provincia, Terapia intensiva sempre sotto pressione. Marinangeli: "La soluzione è nella responsabilità di ognuno".

L’AQUILA – Risalgono i contagi in provincia, Terapia intensiva sempre sotto pressione. Marinangeli: “La soluzione non è negli ospedali, ma nella responsabilità di ognuno”.

“Siamo stanchi, fisicamente e psicologicamente. Da 13 mesi siamo impegnati costantemente a contrastare il Covid 19, non ci siamo mai fermati ma la pandemia non si può contrastare solo dentro l’ospedale, bisogna agire fuori. Solo la responsabilità di ognuno può farci uscire dall’incubo”. Così al microfono del Capoluogo.it il professor Franco Marinangeli, primario di Terapia intensiva dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila, commentando  il nuovo picco di contagi che, a partire dalla Marsica, ormai minaccia tutta la provincia, capoluogo compreso.

“Non siamo ai picchi massimi che magari abbiamo registrato qualche giorno fa e nel periodo di novembre – spiega il professor Marinangeli –  ma la pressione è pesante e continua, per due pazienti che dimettiamo, due ne entrano. In pratica rimaniamo in una fascia di quasi totale occupazione di posti letto, tenendo conto che ci siamo tenuti liberi Sulmona, per evitare di arrivare a momenti di estrema difficoltà. Rispetto al Dl 34 dovremmo avere 16 posti letto di Terapia intensiva Covid, ma per questione di sicurezza nostra e organizzazione interna ne abbiamo messi 20, ma oggettivamente quei 16 inizialmente previsti sono quasi tutti occupati, quindi stiamo lavorando al massimo delle possibilità”.

“Rispetto al totale dei pazienti, il 95% viene dalla Marsica; a L’Aquila ci sono diversi contagi, ma non arrivano in terapia intensiva; purtroppo, però, proprio in virtù di questo aumento di contagi nel capoluogo, devo aspettarmi che arriveranno pazienti anche dall’Aquila. Sembra quasi che funzioni ‘a turni’, in base ai focolai che si creano. A quel punto sono inevitabili i provvedimenti dei sindaci, perché – al di là di tutto – il parametro vero è proprio quello delle Terapie intensive; anche perché se non dispongono chiusure mirate, poi arrivano i dati da zona rossa e bisogna chiudere tutto”.

effetto covid

Com’è cambiato il Covid 19.

Se da 13 mesi gli operatori sanitari sono impegnati a combattere il Covid 19, il virus non aspetta, anzi, cambia: “La mia impressione è che questo virus sia diverso dall’anno scorso, ha maggiore contagiosità e aggressività; rispetto a un anno fa, i pazienti si aggravano velocemente e in alcuni casi in tre giorni arrivano in terapia intensiva, a volte direttamente dal Pronto soccorso. Inoltre l’età dei pazienti si è enormemente abbassata; se prima avevamo in Terapia intensiva pazienti dai 70 anni in su, adesso ne arrivano dai 47 anni e non ci sono più 80enni”. Questo, sia “per effetto della campagna vaccinale che per un diverso atteggiamento degli anziani rispetto ai giovani, che sono più spensierati e pensano che a loro non possa accadere. Certamente i nuovi contagi possono essere il risultato delle giornate di Pasqua e Pasquetta, ma è anche vero che questo atteggiamento di tranquillità c’è stato anche prima di Pasqua e c’è anche adesso. È una catena che non si interrompe. Bisogna seguire le misure anti Covid come il primo giorno e anche dopo essersi vaccinati. È giusto parlare di ripartenze, perché psicologicamente aiuta, però dall’altra parte le persone potrebbero essere indotte a pensare che tutto sommato il problema è alle spalle, e di questo non sono sicuro. La vera garanzia contro il Covid 19 è in mano all’educazione delle persone, non ne abbiamo altre. Il fatto che l’ospedale funzioni è importante, ma non bisognerebbe proprio entrarci, perché non c’è cura specifica per il Covid, ma solo terapie di supporto generali; questo in molti non lo capiscono, come non capiscono che si può arrivare alla terapia intensiva anche da giovani, e purtroppo da giovani si può anche morire di Covid”.

“La verità – conclude il professor Marinangeli – è che siamo ancora in piena emergenza, con la differenza che dopo 13 mesi siamo veramente esausti, per la continua pressione fisica e psicologica. Sono preoccupato per la stanchezza degli operatori sanitari, perché al di là del carico di ore, c’è un grande stress psicologico. Tra l’altro è vero che siamo vaccinati, ma ci sono colleghi comunque positivi – anche se non si ammalano – che possono contagiare e quindi devono stare in quarantena”.

Vaccini, nessuna paura.

Insomma, comportamenti responsabili e campagna vaccinale che deve proseguire: “Oggi in molti si fanno problemi per il vaccino Astrazeneca, ma le complicanze non sono proprio paragonabili ai rischi del Covid. Se si leggono i bugiardini di qualsiasi antibiotico o medicinale si trovano possibili effetti collaterali di ogni genere, eppure nessuno si fa problemi. Invece stiamo sprecando vaccini perché la gente ha paura, ma questo è solo il frutto di una cattiva comunicazione”.

“Ma voglio essere ottimista, – conclude il professor Marinangeli – nel momento in cui si vaccina anche solo il 10% della popolazione, è sempre un 10% che non si ammala, quindi probabilmente rispetto a momenti in cui si andava a ruota libera ci potremmo aspettare minori accessi. Questo, insieme all’arrivo della bella stagione, potrebbe portarci a una situazione più sostenibile, ma dobbiamo continuare a tenere alta la guardia: l’emergenza non è finita“.

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