Giornata mondiale dell'acqua

Acqua, in Africa una persona su tre soffre la sete

Giornata mondiale dell'Acqua: intervista a Francesco Barone, professore di Univaq impegnato da più di 20 anni in missioni umanitarie in Africa.

Giornata mondiale dell’Acqua: intervista a Francesco Barone, professore dell’Univaq impegnato da più di 20 anni in missioni umanitarie in Africa. Continua il viaggio del Capoluogo per valorizzare l’acqua, il bene primario.

“In Africa 1 persona su 3 non dispone di acqua”. Lo spiega a IlCapoluogo.it, alla vigilia della Giornata mondiale dell’Acqua (22 marzo), il professore dell’Univaq Francesco Barone, impegnato da più di 20 anni in missioni umanitarie in Africa.

Il problema, però, non è nella mancanza assoluta del bene: “Per quanto riguarda le nazioni nelle aree desertiche come Algeria, Niger, Sudan, Libia, Egitto, – spiega il professor Barone – gli studiosi ritengono che nel sottosuolo vi siano grosse quantità d’acqua. Per quanto riguarda invece la zona dei grandi laghi, quindi parliamo della Repubblica democratica del Congo, Ruanda, Burundi, Tanzania, che conosco meglio, ci sono 3 riserve importanti di acqua dolce: c’è il lago Tanganica, il lago Kivu e il lago Vittoria. Il problema è che i villaggi sono distanti dai laghi e non ci sono infrastrutture che portano risorse idriche in quei posti. Quindi esiste certamente un problema acqua in Africa, ma è legato ai pozzi che non si costruiscono, alle infrastrutture che non ci sono e alle sorgenti d’acqua che vengono perfino inquinate dai ribelli”.

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Il problema dell’acqua, inoltre, porta con sé tutta una serie di ulteriori criticità, legate a un approvvigionamento privo di infrastrutture: “I giovani e i bambini sono costretti a fare tanti chilometri al giorno per raggiungere punti di prelievo, con taniche da 5 e 10 litri, e naturalmente questo influisce sulla dispersione scolastica. Ma c’è anche ovviamente un grave problema sanitario. L’acqua portata nei villaggi in questo modo, presto diventa stantia e attira insetti e zanzare, che sono portatori di malaria e altre malattie gravissime. L’acqua va quindi bollita, fatta raffreddare e poi bevuta. Senza contare i problemi derivanti dall’acqua inquinata che porta altre gravi malattie. Io stesso, facendo il bagno al lago Kivu, ho contratto una gravissima malattia che è la schistosomiasi, che deriva da un batterio di acqua dolce. È una malattia grave e si rischia la morte. Io mi sono salvato per miracolo, in quanto sono stato ricoverato allo Spallanzani e immediatamente mi hanno fatto la diagnosi corretta. Questo per dire che i rischi sono altissimi. Certo, per quanto riguarda la potabilità, c’è anche acqua in bottiglia, ma parliamo di persone che vivono con 1 dollaro e mezzo al giorno, o comprano da bere o da mangiare”.

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Le previsioni per il futuro non sono incoraggianti: “Ci sono dati che dicono che la popolazione africana intorno al 2050/2055 potrebbe addirittura raddoppiare, il che significa concentrare la maggior parte delle persone nelle grandi città, provocando ulteriori problemi per le risorse idriche. Intorno agli anni Novanta, infatti, il 70% della popolazione urbana aveva buona disponibilità d’acqua, ma dopo 10/15 anni la percentuale è scesa al 35%. Se la popolazione nelle grandi città continua ad aumentare, è chiaro che questa disponibilità già bassa è condannata a diminuire ulteriormente”.

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Difficile immaginare soluzioni definitive a breve termine, ma “il problema potrebbe essere attenuato da interventi mirati per la costruzione di pozzi; purtroppo non ci sono soldi, quindi devono intervenire organizzazioni umanitarie. D’altra parte se consideriamo l’acqua come un bene primario, occorre un’assunzione di responsabilità da parte dei governi e delle organizzazioni internazionali per risolvere un problema serio. Servono investimenti massicci per realizzazione di reti idriche che consentano la distribuzione di questa importante risorsa”.

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