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Estestiste e parrucchieri chiusi in zona rossa, il settore non ci sta

Parrucchieri e centri estetici chiusi in zona rossa fino al 6 aprile. "Per noi è una condanna a morte, una decisione che uccide un settore e alimenta l'abusivismo".

“Per noi parrucchieri, insieme ai colleghi del settore dell’estetica, questa decisione di farci chiudere in zona rossa è incomprensibile e ingiustificata”.

È arrabbiato Stefano Grugnale, parrucchiere pescarese che dal 6 marzo fino al 6 aprile, dovrà abbassare la saracinesca della sua attività nel capoluogo adriatico.

Il governo Draghi, tramite il Dpcm che sarà valido fino a Pasqua, impone infatti la chiusura delle attività di barbieri e parrucchieri nelle zone rosse.

Una misura che era già prevista, e che è stata confermata, anche per i centri estetici, i quali si aspettavano l’allentamento delle restrizioni, in virtù di una sentenza del Tar che consentiva l’apertura dei centri in zona rossa.

Centri estetici aperti anche in zona rossa: ma il conto da pagare per le chiusure è salatissimo

Sono mesi che parrucchieri e centri estetici vivono con una sorta di spada di Damocle tra capo e collo, concretizzata nell’incubo dell’ennesima chiusura, a fronte di spese da sostenere quasi quotidiane, a prescindere che la saracinesca sia alzata o abbassata.

Un malcontento registrato anche da parte delle associazioni di categoria. 

Filiberto Figliolini, Responsabile nazionale di Confesercenti per il settore dell’Acconciatura, si unisce alla presa di posizione, espressa con un comunicato stampa, di Sebastiano Liso, Presidente Confesercenti Nazionale Immagine e Benessere.

“Non riusciamo a capire come si possano applicare al nostro settore provvedimenti ancor più restrittivi. Eppure abbiamo dimostrato che i nostri centri sono più che sicuri, sia in termini di contingentamento delle persone, sia per l’utilizzo dei materiali monouso, oltre che per le distanze rispettate. Abbiamo recentemente denunciato come il comparto, nonostante fosse rimasto aperto, abbia subito cali di fatturato del 45%. Con queste nuove chiusure, molti di noi non ce la faranno a sopravvivere”.

Perfettamente d’accordo con questa presa di posizione anche Stefano Grugnale.

“Da quasi un anno abbiamo applicato tutti i protocolli richiesti – dice al Capoluogo – tenendo conto che, noi parrucchieri, abbiamo regole igieniche molto stringenti da ben prima dell’emergenza sanitaria”.

Stefano Grugnale

Ci fanno chiudere in un mese cruciale perchè, restrizioni o meno, in primavera la donna sente il bisogno di cambiare, di sentirsi in ordine, come se da questo periodo dell’anno prendesse nuova linfa vitale”.

“Una piega particolare, il colore fresco e appena rifatto, un buon taglio alle chiome, aiutano anche psicologicamente e a noi il lavoro consente di poter andare avanti”.

Stefano è amareggiato, perchè, come tanti altri colleghi, si sente trattato come se fosse un “untore”.

Stefano, come tanti suoi colleghi, rivendica tutti gli investimenti e gli sforzi fatti per applicare le linee guida e i protocolli dettati a livello nazionale e locale. 

“Ci siamo adeguati alla pandemia, da noi si lavora a ritmi serrati e come se fossimo in sala operatoria. Per fare tutto questo ci sono delle spese dietro che se non supportate da entrate, porteranno davvero alla rovina per tutto il settore”. 

Finite le speranze anche per quanto riguarda gli aiuti, o ristori che dir si voglia.

“A oggi abbiamo ricevute delle vere e proprie mance che non sono bastate nemmeno a mettere un piccolo rammendo alla voragine creata dalle chiusure e dagli incassi quasi dimezzati. Speriamo che il governo faccia qualcosa di serio. I ristori sono porti senza moli, non arriva nulla se non a singhiozzo”, conclude.

Anche a L’Aquila, parrucchieri ed estetiste temono la zona rossa

Alcuni parrucchieri hanno già messo “le mani avanti”, avvisando sui social i clienti che, qualora si dovesse tornare in zona rossa, attiveranno il servizio a domicilio, per la consegna dei prodotti per fare in casa la ricrescita ed altri trattamenti.

Per adesso però, almeno a L’Aquila, ancora in zona arancione, parrucchieri e estetiste possono ancora lavorare. “Ma fino a quando?” si chiede l’hair stylist aquilano Alberico D’Alessandro, sentito dal Capoluogo.

Alberico D'Alessandro

Se ci fanno chiudere è ovvio che rispettiamo la legge. Noi vogliamo solo lavorare, se ci viene proibito cosa possiamo fare?”.

“Siamo vittime inconsapevoli di una situazione che sta strozzando un intero comparto e tutto un indotto che ruota intorno ai nostri saloni: se non lavoriamo noi, non lavorano rappresentanti, ditte e fornitori di prodotti legati alla cura del capello e alla persona… Un cane che si morde la coda in sostanza”.

“Nessuno, che io sappia, ha contratto virus nei nostri saloni, dove ogni mese viene eseguita la sanificazione, i dispositivi di protezione ci sono, i distanziamenti anche, gli appuntamenti vengono rispettati in maniera molto rigorosa. Lavoriamo di meno da mesi, ma in totale sicurezza”.

Per Alberico la soluzione reale non è quella di chiudere, ma aumentare i controlli. “Chiusure e sanzioni a chi non è in regola, gli altri lavorano in tranquillità e sicurezza, è molto semplice. La sospensione delle nostre attività finirà per innescare un’impennata dell’offerta di prestazioni da parte di operatori abusivi”.

Per Alberico è un pericolo concreto, “Non solo per la salute di ognuno, visto che tanta gente ancora non è vaccinata, è soprattutto una forma di concorrenza sleale per le imprese come la mia che hanno sempre lavorato seguendo le regole”. 

Dello stesso avviso Tamara Frasca, onicotecnica aquilana.

Tamara frasca

“Va bene, se dovrò chiudere per l’ennesima volta lo farò: ma siamo sicuri che sia la scelta più giusta? Noi onicotenciche non lavoriamo solo sull’estetica, tanti trattamenti sono necessari per alcune patologie legate alle unghie. Se io non apro, c’è magari la ragazza che vuole lavorare da casa. Per cui noi non incassiamo e in qualche modo si incentiva il lavoro a nero”, dice Tamara al Capoluogo.

Poi, se queste chiusure possono essere utili per uscire una volta per tutte da questo incubo ben venga, mi faccio però una domanda: tutti i protocolli che abbiamo dovuto seguire e le spese sostenute per rafforzare le distanze e la sicurezza, in un rapporto con il cliente che era già di 1 a 1, a cosa sono servite?”.

Non so davvero cosa dire, spero che questo governo ci garantisca più aiuti. Non possono farci anticipare affitti, oppure farci pagare tasse e utenze in pieno quando non abbiamo entrate a fronte di spese che vano sostenute a prescindere dall’apertura. Per mettere da parte qualcosa ci vorranno mesi, forse anni”.

“Abbiamo investito nelle nostre attività, pagando tutto e stando sempre in regola, adesso, noi chiediamo di poter lavorare tranquillamente”. 

C’è chi in questa situazione comincia davvero a perdere la pazienza: ad esempio, Francesca Grieco, già sentita dal Capoluogo in questi mesi, durante le chiusure del lockdown di marzo, quando era rimasta a casa come le altre sue colleghe.

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Francesca non è solo un’onicotenica, è anche e soprattutto la mamma di un bambino. Deve lavorare, ne ha bisogno, dal momento che la sua vita ruota tutto intorno alla sua attività.

“Questo stillicidio dell’incubo di una nuova chiusura mi sta facendo impazzire, comincio ad essere stufa e amareggiata. per farmi una clientela ci sono voluti anni e migliaia di euro spesi in corsi di aggiornamento. Capisco l’emergenza sanitaria, ma se non mi fanno lavorare io devo essere tutelata, così come tutte le colleghe del comparto. A fine mese, come sempre, ho una serie di scadenze a cui voglio ottemperare, come faccio a pagare se non ho incassi?”.

Francesca è un fiume in piena,  alimentato dalle incertezze del periodo.

“La professionalità costa: noi dobbiamo aggiornarci costantemente, i prodotti di qualità non sono a buon mercato e fanno la differenza, i corsi li devi fare per forza per restare competitiva sul mercato. Se da un anno si guadagna poco o niente, come possiamo guardare al futuro con un briciolo di speranza?”.

“La situazione è esasperante: come si comincia a parlare di chiusure, le clienti disdicono gli appuntamenti, oppure li riformulano e invece di fare una ricostruzione, chiedono di smontare il lavoro fatto. Non possiamo andare avanti così, è passato un anno, i ristori ricevuti sono stati davvero quasi inesistenti e un piano B per riconvertirmi in qualcos’altro per adesso non ce l’ho!”.

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