Cultura

Le nuove stanze della poesia, Gabriele D’Annunzio

Gabiele D'annunzio nelle vesti di poeta dialettale, per l'appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia, a cura di Valter Marcone.

Per l’appuntamento con la rubrica “Le nuove stanze della poesia”, un “cammeo” su Gabriele D’Annunzio dialettale, a cura di Valter Marcone.

La poesia dialettale abruzzese ebbe un certo riconoscimento soltanto tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 in poi, quando si completò quel processo di autocoscienza e costruzione della propria identità da parte dei poeti e delle relative comunità culturali dell’Abruzzo.

Un processo iniziato nella seconda metà dell’Ottocento con il circolo culturale di Francesco Paolo Michetti, Francesco Paolo Tosti e Gabriele D’Annunzio, che insieme a studiosi delle tradizioni popolari Antonio De Nino, Gennaro Finamore e Giovanni Pansa, dettero un’autorità accademica e critica all’enorme patrimonio culturale abruzzese, non solo letterario, dal punto di vista della parlata dialettale, ma anche artistico nel campo della pittura, della scultura, dell’architettura, della musica.

Ecco un vero e proprio “cammeo” su Gabriele D’Annunzio, poeta veramente d’occasione, per quanto riguarda l’uso del dialetto,come in questa sua composizione che segue.

Non lo usò sovente, più che altro compose dei piccoli epigrammi o anche “madrigali” di breve durata con dedica a persone care, come la madre Luisa de Benedictis, o ad amici, come Giacomo Acerbo e Luigi d’Amico: si ricordano “L’Acqua de la Pescara per la madre”, “La purchetta d’ore per l’Acerbo”, e “Lu parrozze per Luigi d’Amico”. Quest’ultimo fu composto il 8 novembre 1926, in ossequi del tipico dolce abruzzese, il parrozzo.

“A Luiggine d’Amiche
E’ ttante bbone ‘stu parrozze nòve
Che pare na pazzìe de San Ciattè
Ch’avesse messe a’ nu Gran Forne tè
La terre lavorate da lu bbove
La terre grasse e lustre de se còce,
cchiù tonne de na provèle; a ‘su foche
gientile, e che duvènte a poche a poche
cchiù dòce de qualunque cose ddòce.
Bbenedètte d’Amiche e San Ciattè!
O Ddìe, quante m’attacche a lu parròzze
Ogne matine, pe lu cannaròzze
Passe la sise de l’Abbruzze me’!”

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