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Noi, generazione Dad tra nuove tecnologie e vecchie fragilità

Al passo con le tecnologie e fragili come il futuro incerto. Chi sono i ragazzi della generazione Dad? Il contributo di Lorenzo Tursini.

Al passo con le tecnologie e fragili come il futuro incerto. Chi sono i ragazzi della generazione Dad? Il contributo di Lorenzo Tursini.

Se il fumo fosse fragile potremmo romperlo in migliaia di filamenti minuscoli. Se solo il fumo fosse fragile si potrebbe rompere ma non lo è. Non so bene di cosa siano fatte le anime, ma credo siano simili al fumo: intangibili, spesso invisibili e che trattengono la forza nella loro fragilità. Siamo frangibili, non dobbiamo aver paura di ammetterlo. La verità è che siamo spaventati a morte dal futuro anche quando fingiamo di non pensarci. Il peso delle aspettative che noi abbiamo su di noi, che gli altri hanno su di noi, finisce spesso per logorarci. Io credo che il problema stia esattamente nell’incertezza.

Se ci pensate noi “Ragazzi dad” (che nome idiota) abbiamo per il futuro la stessa incertezza dei DPCM. Il punto è che spesso abbiamo sogni più grandi di noi, già il solo vivere ormai sembra esserlo. Non farò proclami del tipo: lasciateci vivere in pace, o cose del genere. Non sono il tipo. Quello che voglio dire è che noi stiamo letteralmente reinventando il mondo. Le comunicazioni, le relazioni sociali, le interazioni con l’altro, tutto da ricostruire. Siamo figli dell’apice della rivoluzione tecnologica. Il tessuto sociale è completamente nuovo e diverso già da come era dieci o vent’anni fa.

C’è un fatto che ci colpisce e che detesto: la generalizzazione, mi spiegate bene che senso ha? Cioè, perché le valutazioni su di noi si basano sull’esame del particolare per tendere ad una generalizzazione oggettiva sofistica e priva di alcun argomento logico? Siamo fumo, non abbiamo forma ma siamo colmi di sostanza. Voglio dirvi anche che nonostante io sia pessimista di natura, guardando questa generazione guardo al futuro con ottimismo. Siamo, come spesso ci dicono, una generazione di distruttori. Lo siamo perché stiamo smembrando pezzo dopo pezzo lo status quo obsoleto che ci domina, costruendo autostrade anziché muri. Siamo al culmine della disperazione dell’essere, non abbiamo idea di chi saremo domani. Interi settori produttivi sono ormai ad esempio automatizzati e quindi anche lì dovremo reinventarci.

Hanno cambiato il mondo più persone sedute dietro un Mac in uno Starbucks che uomini in cent’anni di onesta professione. La verità è che bisogna solo accettare il cambiamento, accettare noi, il nostro fumo senza forma che ascende all’etere delle idee con forza e voglia di rivoluzione. Sbagliamo anche noi, signori miei, ma cresciamo anche da questo. Non si diventa adulti compiendo gli anni, lo si diventa cadendo, sbagliando, scivolando, soffrendo, ansimando, avendo paura, temendo, credendo ai sogni, inseguendo la vita. Siamo fumo, un fumo che copre per bene l’incendio che parte dai nostri cuori e che è pronto a bruciarci dentro per rendere questo piccolo pianeta che su traiettoria ellittica gira senza fermarsi un posto migliore. La nostra generazione è lirica, parossistica, sventrata dalle critiche infondate e portata troppo spesso all’eccesso della disperazione che in vita affonda radici ben più profonde di ciò che è immaginabile. Il mondo che oggi sembra essere a pezzi, chi dice per causa nostra, diverrà una meravigliosa fenice. Abbiamo solo bisogno di tempo e fiducia e di qualche parola di meno mista a qualche aiuto in più. Stiamo in silenzio facendo una rivoluzione epocale, e forse è arrivato anche il momento di fare più rumore. Prego chiunque legga questa lettera, oggi, di rimettersi in viaggio verso i sogni se li ha abbandonati e di proseguire il viaggio a chi ha pensato di uscire dall’autostrada dei sogni. Voglio dire anche che come adulti si diventa pure essendo giovani, giovani ci si può rimanere trovando dentro se stessi un motivo per non divenire cinici e qualcosa in cui credere. Ed anche ai cinici e ai codardi voglio dire che non è mai troppo tardi per andare a cambiare il mondo dal vetro di uno Starbucks.

Ad astra.

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