Emergenza covid 19

Mascherine FFP2 non a norma: occhio alla truffa

Mascherine FFP2 non a norma: sul mercato italiano ne circolano circa 55 milioni. I consigli per evitare la truffa.

Maxi-truffa sulle mascherine: sulla carta sembrano FFP2, ma non proteggono affatto come promesso.

Sono le mascherine più efficaci e per questo motivo anche le più ricercate e le più costose: parliamo delle Ffp2, dispositivi di protezione individuale che se all’inizio della pandemia vedevamo indossare solo da medici e infermieri impegnati nella lotta al Coronavirus, adesso sono sempre più di uso comune.

Alcuni Stati ne hanno imposto l’uso per viaggiare sui mezzi pubblici (in Baviera) o per fare la spesa nei supermercati (in Austria).

La crescita della domanda di questo tipo di mascherine ha portato al proliferare di truffe: sempre più frequenti sono i sequestri di materiali senza marchio CE o che a seguito di test non risultano avere la stessa efficacia promessa. Da Bergamo a Roma, passando per Como, Ciampino, Brindisi: sono 6 milioni le mascherine e altri sistemi di protezione sequestrati solo dai Nas da inizio pandemia a oggi.

Le mascherine Ffp2 non a norma risultano vendute in Italia in qualità di dispositivi di protezione di livello altissimo (almeno 90%), ma in realtà filtrano soltanto il 36%.

Quindi, non tutte le mascherine Ffp2 in commercio funzionano come dovrebbero.

Lo sostiene sul Corriere della Sera una società internazionale di import-export dell’Alto Adige, che ha commissionato una serie di test sui dispositivi di protezione individuale importati dall’Asia.

A scoperchiare il vaso di Pandora è stato il quotidiano Repubblica: in un’inchiesta ha snocciolato dati agghiaccianti. Dei 553 milioni di mascherine arrivate in Italia dall’estero, circa il 10% è non conforme, spesso anche inutile contro il coronavirus e quindi pericoloso per la salute pubblica.

L’inchiesta ha voluto verificare se le maschere “siano adeguate allo standard En 149:2001+A1:2009, relativo alla direttiva Ce 425/2016 sui dispositivi protettivi“: non sarebbero le uniche truccate, in quanto pure le FFP3 pare che abbiano una capacità di filtraggio inferiore e non superino il test per la traspirazione.

La cosa gravissima è che a quanto pare, dati alla mano, circolerebbero 55 milioni di mascherine irregolari sul mercato italiano: la notizia è emersa dalla prova di filtrazione fatta eseguire a luglio in un laboratorio accreditato spagnolo.

Una truffa che si è ripetuta in questi mesi in tutta Italia: le mascherine sarebbero state importate dalla Cina con documenti apparentemente in regola, ma poi risultati taroccati.

In tutto questo cataclisma c’è andato di mezzo il commissario straordinario Domenico Arcuri, poiché, come riportato anche dal quotidiano il Giornale, l’amministratore delegato si è trovato costretto, nell’agosto 2020, a rescindere un contratto con una società che aveva importato nel nostro paese 11milioni di strumenti protettivi, di cui ben 5 milioni contraffatti.

Quando una mascherina Ffp2 è a norma?

Le mascherine filtranti facciali Ffp2 o N95 (l’equivalente americano) come ogni dispositivo di protezione individuale deve rispettare quanto stabilito nel regolamento Ue 425/2016.

Nello specifico devono rispondere a quanto previsto per i dispositivi di categoria III di rischio. Prima della messa in commercio, i produttori devono passare il vaglio di un organismo che ne certifichi il rispetto dei requisiti indicati dalle norme tecniche EN 149:2001 + A1:2009. Solo allora il produttore, potendo dimostrare la conformità del prodotto, può apporre il marchio CE sul prodotto.

I codici della Ffp2

In una Ffp2 a norma il marchio CE è accompagnato da un codice di 4 numeri o lettere, che va a identificare l’organismo che ha certificato la conformità del prodotto alla norma europea. Un elenco degli organismi che emettono i certificati dei prodotti è presente nel database Nando della Commissione europea.

Grazie a questo elenco chiunque può facilmente verificare se il numero che troviamo sotto il marchio CE delle mascherine Ffp2 corrisponde ad un ente autorizzato. Nel caso delle mascherine filtranti dovremo trovare il riferimento ai personal protective equipment e, nello specifico, all’Equipment providing respiratory system protection. Qui comparirà la lista di tutti gli organismi notificati che valutano i dispositivi di protezione delle vie respiratorie, fondamentale per capire se l’ente sia davvero autorizzato a fare verifiche di mascherine filtranti. Se non compare nell’elenco il certificato è quasi sicuramente falso.

Il certificato di conformità e le informazioni contenute

Il certificato di conformità emesso da un organismo notificato che accompagna un dispositivo di protezione individuale deve obbligatoriamente contenere delle informazioni. Se queste non sono presenti, è molto probabile che il certificato non sia autentico. Le informazioni indispensabili sono: nome e codice numerico dell’organismo notificato che certifica; nome e indirizzo del fabbricante o del mandatario; tipologia di dpi; riferimento alle norme tecniche considerate per la certificazione della conformità e data di rilascio.

E se manca il marchio CE o il certificato è falso?

In questo caso o il prodotto non è un vero dispositivo di protezione individuale o è stato prodotto e venduto in deroga alla normativa vigente. Durante le prime fase dell’emergenza il decreto “Cura Italia” ha infatti introdotto una deroga al rispetto delle norme per rendere più rapida l’immissione in commercio di dpi da usare strettamente in ambito sanitario e che resterà in vigore fino alla fine dello stato di emergenza.

Possono essere vendute mascherine senza marchio CE?

Sì, possono essere venduti dpi senza marchio CE e senza riferimento all’organismo notificato certificatore. La deroga, però, riguarda solo le tempistiche e prevede comunque il rispetto degli standard tecnici e di qualità previsti dalla norma EN 149:2001.

Le mascherine prodotte in deroga possono essere vendute in ambito sanitario solo se i produttori autocertificano l’aderenza alle norme tecniche previste dalla legge, mandando i documenti di prova all’Inail, che una volta ricevuta la documentazione, ne autorizza la commercializzazione in ambito sanitario. Il sito dell’Inail ha una pagina dedicata al tema, dove è possibile verificare gli elenchi dei DPI validati.

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