L'aquila

La nevicata del ’56, quando L’Aquila fu sepolta da un manto bianco

Chi ha vissuto la nevicata del '56 che ha seppellito L'Aquila sotto metri di neve non l'ha dimenticata: i ricordi e l'eccitazione di quei giorni di Paola Sisso. "Quando si andava a scuola con i calzettoni, la sottanina di fustagno e le cartelle come slittino".

“Chi l’ha vissuta non potrà mai dimenticare la nevicata del ’56 a L’Aquila: per noi giovani di allora fu un vero divertimento”.

Sono passati 65 anni ma Paola Sisso non ha dimenticato la nevicata del ’56 che seppellì letteralmente la città dell’Aquila sotto una coltre bianca ed è ancora oggi ricordata come uno degli eventi che mise in ginocchio l’Italia intera.

nevicata 56

Paola Sisso è una testimone di quell’evento, all’epoca era una ragazzina di 12 anni, ma non l’ha mai dimenticata.

Anche i più anziani dell’epoca, nati dopo metà dell’800, sostennero di non aver mai visto nulla del genere. La nevicata del ’56 ispirò persino un paio di canzoni sul palco dell’Ariston tra cui quella di Mia Martini e, attraverso i racconti dei più anziani, è rimasta miticamente impressa nell’immaginario collettivo degli italiani.

Fu l’evento nevoso più marcato e pesante del secolo scorso, superando temperature e precipitazioni degli altri inverni siberiani come quelli del 1929, 1985 e 1986.

Dopo la neve, come se non bastasse, la situazione fu resa ancora più drammatica delle potenti raffiche di vento siberiano che difficilmente scendevano sotto i 100 km/h. La neve superava i tre metri già a quote basse e, cosa rarissima, in Abruzzo caddero 40 cm di neve persino a Pescara.

Le temperature erano scese al di sotto dei -25° con punte di -32° nella piana del Fucino che era rimasta accessibile solo passando dalla Valle Roveto. Il valico di Forca Caruso fu chiuso e i laghi di Campotosto, Scanno e Barrea, gelarono più o meno integralmente. Numerosi i crolli dei tetti registrati sia a L’Aquila che ad Avezzano e in tutti i paesi montani, dove le macchie di neve rimasero nei vicoli più stretti e inaccessibili fino a giugno inoltrato.

Paola Sisso è un’aquilana oggi trapiantata in Sicilia; a seguito del sisma del 6 aprile 2009 ha lasciato la sua amata città, dove oggi vivono ancora i figli, per trasferirsi a Bronte, patria del pistacchio, insieme al marito di origini siciliane.

Tra i ricordi che la legano al capoluogo d’Abruzzo, non poteva mancare la nevicata del ’56, il cui anniversario ricorre in questi giorni e che, ancora oggi, è nella memoria come uno degli eventi più straordinari del secolo scorso.

“L’Aquila è sempre nel mio cuore, ho legati a questa città i ricordi più belli di una vita intera, Se da una parte c’è il dolore per il terremoto, dall’altra la memoria mi riporta spesso alla mia infanzia e per noi ragazzi, quella nevicata, fu un vero e proprio diversivo che riempì le nostre giornate di allegria”, spiega Paola al Capoluogo.

Il papà di Paola era arrivato a L’Aquila dalla Croazia, durante il fascismo il suo cognome, per effetto dell’autarchia, venne italianizzato in Sisso. La mamma, ebrea originaria di Sulmona, faceva di cognome Della Torre, sorella del giovane Fernando, uno dei 9 martiri aquilani, uccisi dalla follia nazista e fascista il 23 settembre 1943.

Dopo la guerra la famiglia Sisso riprese la vita di tutti i giorni. Paola e i 3 fratelli andavano a scuola  e abitavano in via della Genca. La quotidianità di questa famiglia, come per tutti, in quel febbraio del ’56 venne scombussolata dalla potente nevicata.

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“Dopo un dicembre tutto sommato mite – ricorda – fu un gennaio molto rigido. Dal 5 febbraio fino al 22 le temperature minime rimasero prossime ai -10°C di notte e solo raramente di giorno si superò lo zero. Cominciò a nevicare ininterrottamente dal 5 al 14 febbraio. In alcuni punti della città c’era quasi un metro di neve, a questo si aggiunse il vento gelido siberiano che ne accumulò tantissima contro le case tanto che ci fu uno spiegamento di forze per liberare le persone che erano rimaste letteralmente imprigionate”. 

“I primi giorni intorno a noi c’era solo silenzio. Fu una gioia sapere che erano state chiuse le scuole. Tutti quanti, giovani e meno giovani scendevano per strada con quello che avevano per farsi strada creando delle gallerie tra la neve che non smetteva di scendere. Intorno a via della Genca si crearono dei mucchi che si sciolsero solo in estate. Abbiamo avuto la neve per mesi ammucchiata lungo le strade”. 

In quei giorni, gli abitanti dei paesi montani abruzzesi, come nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, riuscivano a muoversi solo uscendo dal primo piano, usando gallerie scavate nella neve. Ad Alfedena i bambini di allora, eccitati come tutti dalla novità, ricordano ancora oggi che la neve era arrivata sopra i tetti, tanto che dalle finestre del primo piano, le vicine si scambiavano cibo e beni di prima necessità.

Ovviamente, se per gli adulti la situazione aveva creato non poche difficoltà, per i bambini e i ragazzini come Paola, fu un vero e proprio spasso, tanto da trasformare tutti o quasi in costruttori di pupazzi di neve o provetti sciatori.

“All’epoca in pochi si potevano permettere di andare a sciare, tra noi coetanei praticamente non c’era mai andato nessuno. Ci si ingegnava con quello che si aveva e lo trasformavamo in slittino. Quando qualche giorno dopo riaprirono le scuole, noi andavamo all’epoca alla Carducci che si trovava su via Sassa e usavamo le nostre cartelle per aiutarci nella discesa”. 

Ovviamente, anche l’abbigliamento dell’epoca non era adeguato: “Noi ragazze non potevamo ancora indossare pantaloni o collant: le nostre mamme avevano adattato delle sottane di fustagno che venivano messe sotto la gonna, qualcuno più fortunato aveva degli scarponcini, ma c’erano i soli calzettoni a ripararci… In ogni caso l’eccitazione aveva avuto il sopravvento: non sentivamo il freddo pungente, ma avevamo solo voglia di scoprire questa novità”. 

nevicata 56

Tornare alla normalità, in un’epoca senza spargi sale e agli spazzaneve non fu facile.

“Oltre alla neve ammucchiata per mesi, le strade erano coperte da uno strato di ghiaccio, non c’erano le macchine di oggi, ma era comunque pericoloso camminarci sopra. Su via Duca degli Abruzzi il ghiaccio veniva rotto quotidianamente con degli attrezzi rudimentali che servivano per grattare via i manifesti dai muri”. 

“Sono ricordi dolcissimi, che non dimenticherò mai: quando L’Aquila mi manca io voglio ricordarla così, con la spensieratezza dei miei 12 anni: spero di poter tornare presto e riabbracciare coralmente la mia piazzetta della Genca, il palazzo della Banca d’Italia dove ho vissuto fino al terremoto, incontrare le amiche e gli amici ancora vivi, con cui condividemmo quelle giornate anomale e divertenti del ’56 e gli anni più belli dell’adolescenza”.