Racconti in quarantena

Racconti in quarantena, tenera e tenace Chiara

Racconti in quarantena: la storia della tenera e tenace Santa Chiara, dalla penna di Mario Narducci. "Il nostro corpo non è di bronzo e la nostra robustezza non è di granito".

Un altro capitolo dei Racconti in quarantena di Mario Narducci, questa volta incentrato sulla figura mistica e carica di simbolismi di Santa Chiara.

Aiutata da Pacifica, la fantesca, la fanciulla scostò i sacchi di derrate, le casse di legno, i recipienti di coccio che ostruivano il passaggio, aprì lentamente l’uscio che cigolò fortemente provocandole il batticuore, nel timore che quelli di casa, immersi nel sonno, potessero destarsi, mandò avanti la fantesca per vedere se nessuno transitasse per Piazza San Ruffino e al “via libera” con un salto la raggiunse per correre a perdifiato dietro di lei per le strade di Assisi fino all’aperta campagna che si tuffava sulla Porziuncola dov’era ad attenderla Francesco con i suoi primi Frati.

Era notte fonda, la notte dopo la domenica delle Palme del 1211 o dodici. Chiara aveva appena diciannove anni e sette anni prima le dovette giungere la “fantastica” notizia del figlio di Bernardone e monna Pica, che nella stessa Piazza San Ruffino, davanti alla Cattedrale, con un gesto provocatorio quanto profetico, per seguire la sua vocazione ancora obnubilata, si spogliava delle ricche vesti di famiglia (il padre commerciava in tessuti fino in Francia, da dove s’era riportata in moglie l’ereditiera dei Bourlemont) per darsi alle giullarate della fede insieme ad alcuni compagni di gioventù, di buona famiglia come la sua.

Quella fuga nella notte non fu per Chiara un gesto improvviso e inconsulto. Da bambina lei era dedita alla contemplazione e al servizio dei poveri sull’insegnamento di sua madre che però, a differenza di lei, amava viaggiare per santuari fino a spingersi in terra Santa. Chiara cercava altro, e quell’altro lo trovò in Francesco di Bernardone, il quale dopo una fallita spedizione in Terra Santa a combatter Crociate (in realtà fece solo pochi chilometri che subito fu costretto a tornare indietro da una febbre malsana), spoglio di ogni avere, nudo com’era nato e subito rivestito di sacco cinto ai fianchi da una corda, prese a predicare l’innamoramento di Dio per gli uomini, in Assisi e fuori, chiedendo la carità per sé e i suoi e più ancora per i poveri, spesso deriso ma più ancora ammirato da quanti rivedevano in lui la Chiesa delle origini.

Chiara, che solitamente indossava vesti di poco pregio, per la messa della domenica delle Palme aveva voluto ostentare tutta la sua ricchezza e bellezza. I capelli biondi divisi da una riga al mezzo che le scendevano in trecce fin oltre i fianchi, il velo di seta sul capo, fermo in fronte da un diadema, che le copriva la “pellegrina” di ricco tessuto, la cinta di pelle che le disegnava i fianchi e che scendeva morbida al centro, sopra la tunica bianca e ampia, il petto stretto da mussolina e il corpetto che la slanciava più ancora dell’età.

Nel suo cuore lei aveva già deciso ogni cosa ma si era potuta confidare solo con Pacifica che subito la seguirà nella nuova avventura della fede. In chiesa era apparita assorta come mai. Il rito procedeva con lei che teneva le labbra sulle mani giunte come pensasse ad altro; e quando i fedeli andarono ai piedi dell’altare dove il Vescovo distribuiva la palma, lei rimase inginocchiata al suo posto, come se il rito le scivolasse sul capo senza toccarla. E allora accadde l’inatteso: il Vescovo che era rimasto con la palma di Chiara in mano, scese i gradini dell’altare, si portò verso il suo banco e le porse sorridendo il simbolo del tripudio di Gerusalemme.

Chiara non si avvide degli sguardi dei fedeli che si erano posati su di lei e risprofondò nella contemplazione del mistero che l’aveva rapita.
Il ritorno a casa fu dei più consueti, anche se legato alla solennità liturgica che aveva allietato il desco di famiglia. Ma il cuore di Chiara era altrove e solo Pacifica sapeva, che con lei attese la notte fonda per la fuga. Una fuga che era insieme simbolo e programma perché avveniva attraverso la “porta dei morti”, quell’uscio medioevale secondario, dall’ingresso rialzato, che veniva aperto solo per i lutti, quando i defunti lasciavano definitivamente la casa di famiglia. Chiara fu di lì che passò. Per dirsi che era morta al mondo già prima della professione dei voti; per significare che dal suo coraggio e dalla sua fede, al seguito di Francesco, sarebbe sorto nella Chiesa un nuovo ordine religioso che avrebbe affiancato quello maschile dei Francescani.

Chiara e Pacifica corrono a perdifiato verso la Porziuncola, anche per non farsi raggiungere da eventuali inseguitori. Qui l’attende Francesco con i suoi frati tra i quali Ruffino, cugino di Chiara, con nelle mani altrettante fiaccole accese. Fanno corona a Francesco che le recide le trecce, le accorcia i capelli alla bene e meglio, la riveste di sacco come i suoi frati: E perché nessuno potesse strapparla dal suo proposito, la trasferisce nel monastero delle benedettine di Bastia dove i laici non possono infrangere la clausura. Ma i famigliari arrivano ugualmente e le tentano tutte anche con minacce, fino a che devono capitolare nel momento in cui Chiara si scopre il capo e la vedono rasa come le consacrate.

E così che principia l’Ordine delle Povere Dame, oggi Clarisse, nel quale, a stretto giro di anni, la raggiungono le sorelle Agnese e Beatrice e infine la madre Ortolana, rimasta vedova di Favarone di Offreduccio, il padre che aveva tentato di tutto per riportarla a casa. Nel 1226 Francesco si accomiata da questo mondo intonando il cantico delle creature. Chiara che fino ad allora non aveva fatto passo senza ascoltarlo, gli sopravviverà di trentacinque anni portando avanti da sola, tenace e tenera, il progetto della nuova famiglia religiosa legata al privilegio della povertà. Lei che era assai severa con se stessa, che si nutriva di poco cibo e molte penitenze, con le sue figlie diventava la più amorevole delle madri. “Il nostro corpo non è di bronzo e la nostra robustezza non è di granito”, ripeteva a coloro che volevano sfinirsi in digiuni e cilici. E ad Agnese di Praga, santa anch’ella, figlia del re di Boemia, scriveva: “ti supplico di moderarti”, indicandole al contempo la vera via della santità.

Era uno degli ultimi Natali di Chiara, ormai giunta spossata alla fine di sua vita, e alla Porziuncola si svolgevano i riti di mezzanotte davanti al Presepe.

Chiara, angustiata ma aderente alla volontà di Dio, se ne stava in preghiera nella sua cella quando all’improvviso la parete di fronte si illuminò e lei vide il Presepe e poté seguire la Messa in atteggiamento estatico. Fu per questo “miracolo” della tenerezza di Dio, che Papa Pio XII volle nominarla Patrona della neonata televisione.

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