L'editoriale

Covid 19, caos locali a L’Aquila

Basta un positivo e scoppia il caos tra i commercianti. In pochi giorni tanti locali chiusi causa Covid. In teoria solo fino ad avvenuta sanificazione, in pratica? La convivenza con il virus sembra un miraggio

Basta un cliente positivo al Covid19 transitato per un locale ed è caos. Bar, ristoranti, pub, locali chiusi per Covid. L’Aquila in queste ore offre l’esempio perfetto di come al passaggio di un frequentatore risultato contagiato, scatti un altro mini-lockdown, giusto il tempo della sanificazione. Ma tra i commercianti è caos.

In pochi giorni si stanno susseguendo numerose chiusure spontanee nel capoluogo. Nella Movida aquilana molte serrande si sono abbassate, anche se temporaneamente. In attesa, cioè, che vengano ripristinate le condizioni per tornare a lavorare in sicurezza. Il Monthy’s Irish Pub, la pizzeria La vita è bella, il Barrio a Paganica e ancora il locale Anbra, quelle di ieri in centro a L’Aquila.

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“Riaprire così è un’impresa”, è l’allarme lanciato dai commercianti.

“Prima la chiusura, poi la riapertura che ha comportato spese ulteriori, arrivate dopo mesi in cui l’incasso è stato pari a zero, ma i costi non si sono fermati. Ora la chiusura per sanificazione al primo cliente positivo. Ci adeguiamo, come sempre, ma lo Stato cosa fa?“.

Se tante sembrano essere le misure chieste ai commercianti prima di riaprire ognuno la propria attività, meno sembrano essere le misure prese per sostenere queste stesse attività, che si sono ritrovate, loro malgrado, a fare i conti con una situazione di emergenza economica, oltre che sanitaria.

“Stiamo lavorando insieme alla Soprintendenza – ha spiegato al Capoluogo l’assessore al Commercio e Vice Sindaco di L’Aquila, Raffaele Daniele – per prevedere una struttura modulare come dehor per ogni locale del centro storico, al fine di consentire un aumento della capienza mantenendo il distanziamento“.

Non si scopre oggi che la riapertura è effettivamente costata spese extra ai commercianti, con introiti dimezzati a causa del distanziamento. Questa volta non per acquistare nuovi registratori di cassa telematici, ma per i divisori in plexiglass, gli adesivi vari, i Dispositivi di Protezione Individuale, i gel igienizzanti, le frequenti attività di sanificazione degli spazi. Tutta una serie di misure necessarie a fronte di ingressi contingentati e incassi ridimensionati.

Al primo positivo, però, si chiude, anche se solo per qualche ora. Ma cosa prevede la legge? Lo abbiamo chiesto alla Asl e alle Associazioni di Categoria.

“Se dal contagio si risale ai contatti del positivo e nel tracciamento risulta esserci anche un Bar (ad esempio), c’è l’obbligo, per legge, di chiudere l’attività, ma esclusivamente per il tempo necessario alla sanificazione del locale” – specifica Carlo Rossi, direttore Confesercenti L’Aquila.

“Al di là della sanificazione, però, non c’è alcuna chiusura disposta dalla legge se il locale è stato frequentato da un cliente positivo. Anche perché quello stesso cliente, probabilmente, avrà avuto contatti non solo con l’ambiente bar e chi lo frequenta, ma anche con tutta un’altra serie di attività. Scatta, invece, l’obbligo di fare il tampone quando si parla di contatti diretti: quindi se un dipendente del locale è positivo si può decidere – secondo disposizioni della Asl derivanti dal tracciamento dei contatti – di prescrivere i tamponi al personale”.

Dalla Asl1, poi, un’ulteriore precisazione alla nostra redazione: “La Asl, come organo tecnico, alla registrazione di un caso positivo parte con gli accertamenti sui contatti avuti dal paziente contagiato. L’Azienda Sanitaria, però, non è un organo decisore. La facoltà di decidere un’eventuale chiusura è in capo alla più alta Autorità Sanitaria del Territorio, cioè il sindaco. Sindaco che, sulla scorta degli atti e delle valutazioni della Asl, può decidere la chiusura di un’attività commerciale. L’obbligo previsto per legge è quello della sanificazione del locale, in cui sia stata accertata la presenza di un caso positivo”.

Le chiusure precauzionali di molti locali allora, che spesso durano giorni quando non addirittura settimane, sembrano costringere la categoria a ricavi a intermittenza. Sempre a intermittenza sono spesso arrivati i 600 euro per Partita Iva durante i mesi di chiusura. Come se per i gestori dei locali il lockdown non si fosse mai fermato nel vero senso della parola, ma fosse stato messo in stand-by. In attesa del prossimo positivo.

Tuttavia le spese e le tasse, soprattutto quelle rinviate causa Covid, ora sono l’ennesimo virus da affrontare, che arriva su un tessuto già indebolito da patologie pregresse. E nessuno, tra chi ha stabilito le modalità per la riapertura e per la ripartenza dell’intero Paese, sembra saper prescrivere la cura a una crisi sempre più nera.

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