Cultura

San Rocco a L’Aquila tra storia e tradizione

Il contributo di Mauro Rosati (Archeoclub) sulla "presenza" di San Rocco a L'Aquila e altre curiosità.

San Rocco a L’Aquila (e altre curiosità), il contributo di Mauro Rosati (Archeoclub L’Aquila).

Nella figura di San Rocco storia e leggenda si intrecciano fra loro; non dimentichiamo però che anche la leggenda si basa sempre su una verità di fatti e quindi va tenuta in dovuta considerazione nella ricerca storica. “Snocciolando” leggende e racconti popolari si può estrarre il “succo” di indizi storici importanti. Se in questo momento storico leggessimo la biografia (o “agiografia”) di San Rocco, a distanza di circa sette secoli – cambiando contesto e personaggi – sembrerebbe quasi di leggere le cronache dell’Italia di oggi, afflitta dalla piaga della pandemia insieme alla maggior parte del Mondo. All’epoca di San Rocco il morbo si chiamava “peste”, oggi ha un altro nome e un’altra natura; la sostanza però è simile. Ecco perché, quest’anno, la memoria di San Rocco – celebrata il 16 agosto – ha assunto un significato particolare e diverso rispetto al solito.

Di San Rocco sappiamo che apparteneva al Terz’Ordine Francescano (T.O.F.) ed era originario di Montpellier (Occitania; Francia). Sui suoi estremi biografici (date di nascita e di morte) ci sono due versioni differenti: – 1295-1327, la prima versione, quella tradizionale; – la seconda versione – quella oggi più sostenuta – indica la sua nascita tra il 1345 e il 1350, e la sua morte tra il 1376 e il 1379. Esistono versioni diverse anche su dove sia morto (Montpellier, Angera, Voghera); è sepolto nella chiesa di Venezia a lui intitolata. Per i dettagli sulla vita del Santo rimando ai numerosi racconti facilmente reperibili, anche in rete. Di famiglia benestante, San Rocco rinunciò ai suoi beni e si incamminò in pellegrinaggio verso Roma. Nel suo viaggio (di andata e di ritorno) attraversò l’Italia flagellata dalla peste, fermandosi in diverse località (Roma compresa) ad assistere e a curare i contagiati; ben presto gli vennero attribuite guarigioni miracolose, tra cui quella di un cardinale a Roma, e già da vivo acquisì la fama di santità. Tornando da Roma, quando era a Piacenza, anche San Rocco venne contagiato dalla peste riuscendo poi a guarire. Per questi motivi, tra i tanti attributi iconografici (il cappello, il bastone, la borraccia, il mantello con i simboli del pellegrino, il cane con il pane ai suoi piedi) ce n’è uno “principale” che compare quasi sempre: San Rocco viene rappresentato mentre si scopre una gamba per mostrare una piaga della peste. E sempre per queste ragioni, nella cultura cristiana popolare San Rocco divenne presto il Santo da celebrare e da invocare particolarmente per la difesa dalle malattie infettive. Il culto di questo Santo è talmente diffuso e sentito che, ad esempio, dal 1856 San Rocco è uno dei Santi compatroni di Napoli, una delle grandi città di cultura europee e storica capitale.

C’è poi una curiosità “meteorologica”. Prima del disastro climatico in corso da alcuni decenni – ancora fino a 25-30 anni fa – la ricorrenza di San Rocco (16 agosto) rappresentava in genere una “svolta” stagionale, almeno nel nostro Appennino ma credo anche altrove: passata la “canicola” (o “solleone”) i temporali si facevano più frequenti, le temperature andavano abbassandosi gradualmente, le giornate erano ancora estive ma diventavano più gradevoli; questo periodo di transizione conduceva pian piano verso l’autunno meteorologico, nell’arco di circa un mese, e senza troppi “sbalzi” di temperatura – né in un senso né nell’altro -.

Veniamo adesso ai giorni nostri e avviciniamoci al nostro territorio. Sappiamo più o meno tutti che San Rocco è il patrono del borgo di Piànola, appena fuori le mura della nostra città, sull’altra riva del fiume Aterno. Oltre a San Franco, San Rocco è celebrato anche nel borgo di Assergi (nella Delegazione-“Castello” di Camarda) dove si festeggia il 14 agosto. Sempre nel nostro Contado esistono cappelle intitolate a San Rocco nei borghi di Forcella di Preturo, Pagliare di Sassa, Pescomaggiore e – più lontano – nel borgo di Civitaretenga (L’Aquila; Altopiano di “Navelli-Civitaretenga”). Soltanto per citarne alcune. Se poi dalla nostra città ci spostiamo verso sud, allontanandoci di alcuni chilometri – direzione Tornimparte – arriviamo a Monte San Rocco, confine naturale e valico autostradale tra il Contado aquilano e l’Alto Cicolano; in particolare, il nome della montagna è legato al vicino paese di Corvaro, di cui San Rocco è patrono insieme a San Francesco d’Assisi, e al quale è intitolata una piccola e storica chiesa-oratorio. Da racconti orali del luogo si apprende che la stessa galleria autostradale – intitolata a San Rocco – oltre che al nome della montagna, si legherebbe a una sorta di “ex voto” per cui gli operai e l’impresa che la realizzarono (1965-1968) vollero onorare San Rocco, poiché lo scavo del traforo non causò nessuna vittima tra i lavoratori; ne seguì una donazione a favore della parrocchia di Corvaro.

Ora torniamo a L’Aquila e “atterriamo” in Piazza del Duomo. C’è un San Rocco tra le vie della nostra città che ci “guarda” dall’alto, da una posizione ben visibile, ma di cui non ci accorgiamo quando gli passiamo davanti. Raggiungiamolo con il percorso più semplice. Da Piazza del Duomo entriamo in Via dell’Indipendenza – la strada che inizia tra il Palazzo della Banca d’Italia e il bel palazzetto Nardis “neomedievale-toscaneggiante” (XX secolo) -. Alla fine della via si apre uno spazio: siamo in Piazza San Marco; giriamo lo sguardo verso destra e abbiamo davanti a noi la facciata della chiesa di San Marco Evangelista, tra le chiese più antiche e più importanti della città. La facciata, così come la vediamo oggi, si presenta come una “fusione” architettonica fra la tradizione aquilana più antica e un elemento “di importazione”, ossia le due “torrette-campanile” che formano nell’insieme una “facciata-campanile”. Sulla torretta in alto a destra si legge «A.JUB. 175[0]» (non sembra visibile lo zero), ossia l’anno del completamento della ristrutturazione della facciata, coincidente con il Giubileo. I campanili sono stati applicati ai due estremi della facciata, quindi era lì che forse si era concentrato l’intervento principale di ricostruzione; il terremoto del 1703 – è un’ipotesi – aveva probabilmente provocato “le orecchie” agli angoli della facciata che si erano piegati e poi, forse, crollati. Un po’ quello che abbiamo visto anche dopo il sisma del 2009. L’impostazione tradizionale aquilana è riconoscibile dalla lavorazione delle pietre e dalle fasce in pietra rossa che caratterizzano anche altre facciate aquilane delle origini (in particolare del Duecento e del Trecento); i campanili si innestano sulla facciata mediante uno “zoccolo” ciascuno e con delle fasce (lesene) che li legano architettonicamente e visivamente alla parte originale, come se “germogliassero” dalla muratura più antica. Nella parte più originale fa eccezione il finestrone centrale settecentesco, al posto del rosone tradizionale che molto probabilmente esisteva in origine. Sui fianchi della chiesa – soprattutto quello destro – è ben visibile una muratura medievale più antica “a cubetti”, realizzata in “apparecchio aquilano” duecentesco-trecentesco (“opus aquilanum”) mentre in facciata vediamo una lastra – apparentemente altomedievale (prima del 1000) – riutilizzata e murata nel rivestimento (cortina) della muratura. Al centro della facciata di San Marco, in alto sopra il finestrone, c’era anche un’immagine in pietra della Madonna con il Bambino, datata alla seconda metà del XV secolo e coronata da un “baldacchino” in pietra. Questa immagine è caduta dalla facciata durante il terremoto del 2009 ed è stata recuperata dai Vigili del Fuoco che l’hanno trovata quasi intatta, con alcune piccole rotture riparabili.

[Proposta]. Nel caso fosse andato distrutto, sarebbe importante ricostruire il piccolo baldacchino “a corona” (documentato da foto in rete) che era posizionato sopra l’immagine della Madonna con il Bambino, un dettaglio che la valorizzava.

[Riflessione]. Tornando alla facciata di San Marco in generale, esprimo un parere personale: dal mio punto di vista, la “fusione” complessiva sulla facciata è abbastanza ben riuscita; i campanili e lo zoccolo sinistro sono distinguibili per alcune differenze nella qualità della pietra (più “spugnosa”) – e in parte nel taglio – ma allo stesso tempo sono “rispettosi” della parte più antica, poiché utilizzano una tipologia di pietra differente ma che non “stacca” in maniera brusca dal punto di vista del colore. Una “fusione” quindi, un “innesto” distinguibile ma dialogante, e non quell'”appiccico” (o “copia e incolla” se preferite) che si crea quando si applica un elemento nuovo – “di importazione” – senza un raccordo e senza un “dialogo” con quello che già esiste.

Torniamo al racconto. Se guardiamo bene i campanili della facciata – magari con l’aiuto di un binocolo – ci accorgiamo che ci sono quattro statue di santi, due per ciascun campanile; ogni statua è “appoggiata” su una mensola ed è coperta da un “baldacchino”. Da sinistra a destra: San Marco Evangelista, titolare della chiesa; San Tussio eremita; San Raniero, vescovo di Forcona; e un Santo senza nome e con la parte della testa mancante. Questo santo senza nome sembra essere proprio San Rocco, riconoscibile dalla postura con cui mostra la gamba destra e dal cane ai suoi piedi con il pane.

[Proposta]. Sarebbe bello se nel restauro della facciata venisse ricostruita la parte mancante della statua di San Rocco, ovviamente in maniera riconoscibile secondo i principi contemporanei del restauro.

A questo punto ci chiediamo: perché San Rocco? Che c’entra con la chiesa di San Marco? Torniamo alla fondazione della nostra città, e rimaniamo sempre nella zona di San Marco. Siamo nel Quarto di San Giorgio, nel grande locale assegnato agli abitanti del comprensorio di Bagno, cui appartiene anche Piànola.

[Nota]. Storicamente, infatti, il borgo di Piànola fa parte del territorio del “Castello” di Bagno; per “castello” si intende “comprensorio”, poiché Bagno è un “nome collettivo” che include tanti borghi. Ecco perché i “bagnesi” e i “pianolesi” condividono in città lo stesso locale, e oggi la chiesa di San Marco riunisce idealmente – in un unico luogo – tutti i borghi di questo “castello”.

[Riflessione]. A proposito di “castelli”, c’è una curiosità che potrebbe interessarci: nell’ordinamento attuale della Repubblica di San Marino esistono i “Castelli”, che corrispondono in sostanza ai “Comuni” della Repubblica Italiana. Bisogna precisare che l’origine e la strutturazione dei Castelli di San Marino hanno una dinamica diversa dal rapporto Castelli-Città del nostro territorio. Tuttavia – se riflettiamo sulla questione in generale – le Delegazioni del nostro Comune sono “comprensori” che raggruppano più castelli di fondazione: a mio parere, sarebbe storicamente legittimo se le Delegazioni del nostro Comune venissero ufficialmente definite “Castelli”; la cosa avrebbe fondamento storico e valorizzerebbe questi distretti che formano il Comune dell’Aquila, nell’ottica della struttura “Città-Territorio” che caratterizza fin dalle origini la nostra città. Non dimentichiamo, tra le altre cose, che il nostro territorio comunale è molto più esteso della Repubblica di San Marino. Penso che sarebbe anacronistico ripristinare i Comuni annessi nel 1927 mentre, invece, si potrebbe riconoscere e legittimare la loro specificità storica proprio elevando le Delegazioni alla denominazione di “Castelli”.

san rocco

Riprendiamo il racconto e, per un attimo, lasciamo la parola a una “Relazione” sulle chiese collegiate dell’Aquila (1824): « Per effetto del Diploma di FEDERICO II. S. Marco e S. Maria di Bagno traslocaron le loro sedi nell’ Aquila, la prima dal Villaggio di Pianola, e l’altra dalla Terra di Bagno, e sue Ville. […].» Ai tempi della fondazione di Aquila, gli abitanti di Piànola costruiscono in città la loro chiesa intitolata a San Marco Evangelista – detta anche San Marco di Piànola (o San Marco di Pianola di Bagno) -; a poca distanza, i “bagnesi” costruiscono la chiesa di San Tussio di Bagno dove trasferiscono le spoglie del Santo eremita che era sepolto nella zona di Bagno, in una chiesa di San Tussio “fuori le mura”.

[Nota]. Le origini di San Tussio, eremita e confessore, sono una questione dibattuta: una versione lo lega a Bagno fin dalla nascita, un’altra invece lo indica come nativo dell’area tra Tussio e Bominaco.

Secondo quest’ultima versione, San Tussio sarebbe nato nella località della “Masseria dei Monaci” (“Masseria di Tussio”), un centro abitato sorto nei pressi di una masseria dei monaci benedettini di Bominaco, e probabile nucleo di origine dell’odierno borgo di Tussio (L’Aquila; Altopiano di “Navelli-Civitaretenga”).

A seconda delle versioni, il nome di San Tussio si legherebbe “a doppio filo” con quello del paese: una versione racconta che il borgo avrebbe preso il nome da San Tussio, un’altra indicherebbe il contrario. Tenendo conto di alcuni dati, storici e toponomastici, sembrerebbe più probabile la seconda versione: San Tussio potrebbe forse essere un “nome parlante” – in particolare un “nome toponomastico” -, poiché deriverebbe dal luogo di nascita del Santo.

Chiusa questa parentesi, proseguiamo con la storia della fondazione delle chiese di Bagno dentro le mura. Poco più distante da San Marco e da San Tussio, nasce la chiesa di Santa Maria di Bagno (oggi scomparsa) che sorgeva nella piazza omonima, tra Via San Francesco di Paola e Via al Campo di Fossa; molti aquilani – soprattutto chi ha almeno 50 anni – conoscono questa piazzetta come l’autostazione degli autobus “Pacilli” (confinante appunto con la piazza), azienda privata di trasporti pubblici “scomparsa” con l’istituzione delle autolinee pubbliche regionali, poco più di 40 anni fa. Per completezza storica ricordiamo – a parte – che, ancora più distante – nelle vicinanze delle Mura – sorse invece il monastero (anch’esso scomparso) di Sant’Andrea di Bagno (o Sant’Andrea delle mura) con il suo orto murato che arrivava fino alle mura civiche: oggi ce lo ricordano Via Sant’Andrea e Piazza Sant’Andrea (quest’ultima però, al momento non è elencata ufficialmente nei viari, come segnalato da alcuni residenti). Aggiungiamo anche che Via Vincenzo De Bartholomaeis in passato si chiamava “Vico (o Via) di Sant’Andrea” perché conduceva al sito del monastero (è la via che oggi collega Piazzale Pasquale Paoli con Via Sant’Andrea). Il tracciato di Vico Sant’Andrea (oggi Via De Bartholomaeis) è visibile anche nella pianta di Aquila del 1753 dove – come oggi – incrocia Via Campo di Fossa, che all’epoca però non proseguiva ancora fino alle mura. Il monastero di Sant’Andrea venne fondato a partire dal 1368, dopo una donazione di alcuni aquilani di Bagno; fu destinato ad ospitare le Monache Agostiniane che erano sotto la guida dei vicini Padri Agostiniani, quindi potremmo dire che era una “versione femminile” del convento di Sant’Agostino. Sant’Andrea si trovava sempre nel locale di Bagno dentro la città e a poca distanza da Porta di Bagno.

Torniamo in Piazza San Marco. La chiesa di San Tussio ebbe una breve durata poiché intorno al 1282 arrivarono i Padri Agostiniani che successivamente acquisirono la chiesa (1295), inglobandola nel complesso del convento di Sant’Agostino; la parrocchia fu poi soppressa (1331) e le spoglie di San Tussio passarono quindi dentro la vicina chiesa di San Marco, dove venne realizzata un’apposita custodia (una nuova sistemazione delle spoglie di San Tussio fu effettuata per volontà di Girolamo Manieri, vescovo di Aquila dal 1818 al 1844, sempre all’interno di San Marco). Nel 1703, il terremoto distrusse la chiesa di Santa Maria di Bagno; i suoi parrocchiani unirono la loro parrocchia alla chiesa di San Marco che venne invece ricostruita e ristrutturata. Nel frattempo – da qualche secolo – “era arrivato” anche San Rocco, che all’epoca della fondazione della città non era ancora nato. Quindi, nell’anno 1750, la chiesa di San Marco “riuniva” idealmente i Santi legati al territorio di Bagno con Pianola: per questo i quattro Santi raffigurati sui campanili sarebbero la “fotografia” di una situazione storica che sostanzialmente è anche quella di oggi. San Marco come titolare principale della chiesa fondata dai “pianolesi”, San Tussio e San Raniero legati a Bagno in generale, e San Rocco, divenuto patrono di Piànola. Manca San Massimo, probabilmente per un motivo molto semplice: da un punto di vista ecclesiastico (e non solo), Civita di Bagno – anche se rientra geograficamente nel territorio di Bagno – rappresenta un centro “autonomo” (detto anche “Civita di San Massimo”) perché la sede della sua Diocesi fu trasferita (traslata) ad Aquila nel 1256, portando il nome di San Massimo alla Cattedrale aquilana; sempre la “Relazione” sulle chiese collegiate aquilane (1824) ci ricorda: « […] Filiani di questa Chiesa [San Marco; n.d.R.] sono tutti Naturali di Bagno, e Pianola, tranne quei di Civita di Bagno, i quali sono soggetti alla Cattedrale […]». Al titolo di San Massimo è stato poi unito quello della chiesa di San Giorgio, per cui il nostro Duomo ha acquisito il titolo di San Massimo e San Giorgio. Quindi – al giorno d’oggi – San Massimo e San Giorgio meriterebbero di essere rappresentati nelle nicchie ai lati del portale della Cattedrale aquilana.

Anche l’onomastica stradale ha tenuto appropriatamente e saggiamente in conto il valore storico della chiesa di San Marco: oltre a “Piazza San Marco” che arriva fin davanti a Sant’Agostino, abbiamo “Via Forcona” (antico nome di Civita di Bagno) che corre sul lato sinistro della chiesa, e “Via dei Neri” (lato destro) che dovrebbe richiamare la Confraternita dei Neri (“Li Negri”) con sede nella chiesa di San Marco dal 1582 (per completezza va detto che sul nome “Via dei Neri” esistono anche altre ipotesi; personalmente ho riportato quella che mi sembra più stringente). Il nome di questa Confraternita dovrebbe richiamare l’abito nero che la contraddistingueva: la versione arcaica “Li Negri” – infatti – richiama alla mente l’aggettivo latino maschile “niger” (“nigri”, al plurale) che significa appunto “nero”. Claudio Crispomonti nella sua Historia (1630 circa) riporta un elenco delle Confraternite aquilane dei suoi tempi, tra cui: «La Pietà, Veste negre, con Cappuccio tondo, a San Marco»; nell’elenco del Crispomonti è l’unica confraternita con veste nera che ha sede in San Marco. Quindi “La Pietà” di San Marco doveva corrispondere alla Confraternita dei Neri e assolveva diversi compiti, dei quali ci parla sempre Claudio Crispomonti: «La Compagnia della Pietà marita ogni anno tre Zitelle, et veste tredeci Orfanelli, et have cura di assistere, e seppellir quei, che moiono p[er] mano della giustitia».

Per concludere questa nostra passeggiata nel tempo e nello spazio, è doveroso ricordare che la chiesa di San Marco normalmente ospita un quadro molto caro alla maggior parte degli aquilani: la Madonna del Popolo Aquilano “Salus Populi Aquilani” (Salvezza del Popolo Aquilano). L’immagine è oggi esposta nella vicina chiesa di Santa Maria del Suffragio (le “Anime Sante”), all’interno della Cappella della Memoria dedicata alle Vittime del sisma del 2009. Lì, la Madonna del Popolo Aquilano attende di tornare nella sua casa, a San Marco, chiesa dal grande valore storico e architettonico, il cui titolo completo è oggi “San Marco – Santuario della Madonna del Popolo Aquilano”. Per questo, chiudiamo “facendo il tifo” per la rinascita di San Marco così come per Santa Maria Paganica (chiesa Capoquarto) e per la nostra Cattedrale (chiesa-madre di tutta la Diocesi); e, naturalmente, per molte altre chiese.

(Foto Wikipedia e G. D’Annunzio)

Mauro Rosati
Archeoclub d’Italia – Sede L’Aquila

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