Cultura

Le nuove stanze della poesia, Pietro Civitareale

Pietro Civitareale, il ritratto del poeta di Vittorito per l'appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia, a cura di Valter Marcone.

Pietro Civitareale nasce a Vittorito in provincia di L’Aquila e dopo il conseguimento dell’abilitazione magistrale inizia ad insegnare in una scuola di Sulmona.

Insieme a Ottaviano Giannageli, Vittorio Clemente e il pittore Italo Picini dà vita in quella città ad un cenacolo letterario con iniziative culturali di grande rilievo dentro le quali si ritrova lo spirito del tempo, erano gli anni Cinquanta dello scorso secolo, ma anche tutto l’impegnoi, l’estro, la fantasia, di letterati ed artisti con una forte personalità

Civitareale collabora anche alla rivista “Dimensioni” fondata e diretta dallo stesso Giannangeli . Su questa rivista pubblica articoli di critica ma anche poesie.

Dimensioni fu una rivista di arte e letteratura fondata a Sulmona nel 1957 da Ottaviano Giannangeli e Fausto Brindesi. Dalla metà del 1958 la sede della rivista passò a Lanciano, e a Giannangeli si aggiunsero, come direttori, i poeti e giornalisti Giammario Sgattoni e Giuseppe Rosato, fino alla sua chiusura nel 1974.

Animata da un gruppo di giovani abruzzesi che dopo l’università decisero di vivere e operare in provincia, “Dimensioni”, fu luogo di incontro e di scambio tra la cultura nazionale e le nuove intellettualità che si facevano strada a livello locale.

Nel 1960 si trasferisce, per motivi di lavoro, ad Alessandria, e successivamente a Firenze, deve risiederà stabilmente dal 1962.

La sua raccolta di versi Nuovi accordi (1959), viene accolta entusiasticamente dal poeta Vittorio Clemente, che gli scrive: […] Vi ho trovato sincerità profonda di sentimento e ispirazione; vivacità di linguaggio e immagini: misura di discorso.

Per quest’ultima cosa mi compiaccio molto con te: l’hai saputo raggiungere senza nuocere alla chiarezza delle espressioni e dei significati

L’attività poetica di Civitareale è stata assai prolifica, sia in lingua che in dialetto. Ottaviano Giannangeli, nella prefazione al suo libro Un’altra vita (1968), scrive di lui: […] Civitareale è teso a continuare e perfezionare una sua ragione, per cui ha inteso specializzare da tempo, come ogni serio operatore di versi, un proprio linguaggio.

Il suo timore […] è quello di vedere dissolversi […] il nucleo storico – e geografico – in cui ha visto disegnarsi faticosamente il germe della sua poesia.

Fu anche critico di raffinata cultura ed esperienza occupandosi di grandi autori come Carlo Bettocchi per esempio a cui si lega con una profonda amicizia e a cui dedica due volumi (Carlo Betocchi, 1977; Betocchi, l’armonia dell’essere, 1994).

Sempre in qualità di critico, scrive sulla delicata questione della poesia dialettale, e pubblica numerosi saggi e volumi antologici, come Poeti in romagnolo del secondo Novecento (2005) e La dialettalità negata (2009).

Traduce dallo spagnolo e si occupa degli autori e della storia della letteratura di questo paese . Traduce infatti grandi autori classici, come Cervantes e gli innovativi poeti moderni, come Gimferrer.

Nel 1998 la sua traduzione di Pessoa viene edita da Mondadori (L’enigma e le maschere).

Pietro Civitareale ha vinto, tra gli altri, il Premio Michele Cima (1982), il Premio Tagliacozzo (1988) e il Premio Scanno (1992) per la poesia il Premio Internazionale Pisa-Ultimo Novecento (1980) per la saggistica, e il Premio Trinità (1981) per la traduzione.
È con queste parole che lo studioso Franco Brevini sintetizza il lavoro poetico in dialetto di Civitareale: Il suo abruzzese obbedisce a un canone monolinguistico, è un codice interiore, adibito a un’operazione rigorosamente lirica, in un quadro di poesia che guarda ai grandi modelli della tradizione regionale, soprattutto De Titta e Clemente

Nu sole rusce

Nu sole rusce
déndre a ju giardéine.
I mmàtreme che ddàive
i chelìure a i fiore,
I ppàtreme che lletecàive
ch’i ciejje.
I jjéie, che n’arlogge
che nnen curràive,
che ccuntàive j’ènne.
I aspettàive.

Un sole rosso / nel giardino. // E mia madre che distribuiva / colore ai fiori, / e mio padre che litigava / con gli uccelli. // Ed io, con un orologio / fermo, / che contavo gli anni. // Ed aspettavo. (da Ju core, ju munne, le parole)

Ma quande jesce la luna

La notte è nu mìure
arrete a èutre mìure.
Chiù nen vanne a rabbéure
i cavejje alle funtane
i manche na véuce se sente
sperze pe’ la campagne.

Ma quande jesce la lìune
se scataste ju préime mìure
i n’àutre i n’àutr’anchéure.

Alléure ju lebbre cale
a pasce pe’ le pràtere
i ogni chéuse è accuscì
chiare, ténere, argentate.
Ju tore che’ le corne
mbacce ajju ciele,
l’èdere ammonte pe’ la case,
la sàuce ncamurcate
dentre l’acque de ju fiume.

Ma quando esce la luna – La notte è un muro / dietro altri muri. / Più non tornano a bere / i cavalli alle fontane / e nemmeno una voce si sente / spersa per la campagna. // Ma quando spunta la luna / crolla il primo muro / e un altro e un altro ancora. // Allora la lepre scende / a pascolare per i prati / e ogni cosa è così chiara, / tenera, argentata. // Il toro con le corna / contro il cielo, / il rampicante su per la casa, / il salice riverso / nell’acqua del fiume. // (Traduzione dell’autore) da Le miele de ju mmierne

Sprefunnà tra le piume
Sopr’a i vetre la lìune
ha stéise na stréisce
de lìuce, ha recamate i mìure
de suttéile féile d’argiente.

Sprefunnà tra le piume
nàire de ju suonne,
nn’avé paìure de l’ombre,
de i jéile lunghe de ju mmierne.

Sprofondare tra le piume – Sui vetri la luna / ha steso una striscia / di luce, ha ricamato le pareti / di sottili fili d’argento. // Sprofondare tra le piume / nere del sonno, / non temere le ombre, / i lunghi geli dell’inverno. // (Traduzione dell’autore)

Ju giardeine

Chenosce nu giardéine
luntane da ogne remméure.

Du’ féile de piante,
nu ragge ncantate de sole
nu cierchie d’ore,
tre farfalle che vòlene.

Come nu ciejje annascuoste
dentr’all’ombra maje,
uarde ju munne de fore,
come dentr’a na vetréine.

Il giardino – Conosco un giardino / lontano da ogni rumore. // Due filari di alberi, / un raggio obliquo di sole, / un cerchio d’oro / tre farfalle che volano. // Come un uccello nascosto / nella mia ombra, / guardo il mondo di fuori, / come all’inter no di una vetrina. // (Traduzione dell’autore) da Quele che remane

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