Quale futuro?

George Floyd e gli Stati non più Uniti: “Razzismo, diritti persi e abuso di potere”

"George Floyd era un uomo di colore. Il semplice doverlo puntualizzare e doversi soffermare sul colore della pelle rappresenta un promemoria dei nostri fallimenti umanitari". L'analisi della giovane aquilana Flavia Santilli

George Floyd lascia un’America in bilico, tutti i futuri sono incerti, ma alcuni sono più incerti di altri.

di Flavia Santilli

George Floyd, l’uccisione di un uomo nero da parte di un poliziotto sta incendiando l’America. La riflessione della giovane aquilana Flavia Santilli.

Sembra di assistere alla fine della civiltà come la conosciamo oggi. Il futuro che si prospetta dinanzi agli Stati non più tanto Uniti ci fa presagire il peggio. Siamo forse di fronte alla pandemia più grave della storia? Quella dell’autodistruzione. L’uomo è per natura portato a lottare affinché sopravviva alle minacce e per medesima natura è portato a lottare fino allo stremo, fino alla morte per far faccia ai rischi imminenti. L’uomo è quotato all’autodistruzione, dunque, in un modo o nell’altro.

Il caos che generiamo per istinto esige di essere accuratamente ridimensionato, impacchettato e portato all’attenzione di una realtà in grado di mantenerlo sotto controllo. Che succede quando un uomo, un governo, una legge o un semplice comportamento etico non risultano più in grado di far fronte al caos? L’uomo matura. Cantando sulle note dello “sbagliando s’impara” l’inno di pace, prosperità e sviluppo sociale, l’uomo supera i momenti bui per lanciarsi in una nuova e modestissima avventura: il futuro nel quale migliorarsi, non ricommettere errori tragici, comportarsi in modo tale da equilibrare la bilancia vitale dello spirito che grava sul piatto della guerra, più spesso di quanto pesi su quello della pace. Ma non è questo il giorno.

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George Floyd muore il 25 maggio 2020.

Il caso di cronaca nera viene immolato a simbolo di protesta e ribellione per tutte le ingiustizie che si rincorrono per le strade delle famose città globalizzate: quelle all’avanguardia, quelle in cui vivere sereni, coltivare i sogni, far valere le proprie idee, quelle nelle quali essere liberi.

George Floyd era un uomo di colore. Il semplice fatto di doverlo puntualizzare e doversi soffermare sul colore della pelle rappresenta un promemoria dei nostri fallimenti umanitari. L’equazione è elementare: se la quantità di melanina contenuta nel suo corpo fosse stata minore, George Floyd sarebbe sopravvissuto? Probabilmente non sarebbe divenuto un fatto di cronaca nera. Probabilmente non sarebbe divenuto un fatto.

Come ci insegna la storia, la goccia che fa traboccare il vaso è presagio di disordini. Ce lo insegna l’arciduca Francesco Ferdinando, il quale assassinio diede inizio alla Grande Guerra. L’esperienza ci insegna che l’ultima goccia non può pendere all’infinito: se lo scontento sociale riempie il vaso quasi fino all’orlo, l’ultima lacrima esige di cadere e diventare motivo di confusione e sregolatezza. George Floyd è stata l’ultima goccia del vaso colmo di cittadini stanchi di subire abusi razziali, religiosi, di genere e di potere. La ghiandaia imitatrice del popolo. La figura di riferimento della ribellione. Il modello di ispirazione della rivolta.

E perché no, dopotutto, non ci ritroviamo dentro un’arena a combattere gli uni contro gli altri i nostri Hunger Games? Il futuro distopico che credevamo esistere e resistere soltanto nei romanzi oggi appare ben più chiaro; d’altro canto nel 2020 non siamo lontani dall’essere sorvegliati da un simil “Big Brother“, che per comodità e convenienza chiamiamo “Alexa”, che per la cronaca è stata chiamata a testimoniare ad un processo per omicidio, per iniziare la macabra galoppata verso il controllo delle nostre vite.

Con trentasei anni di ritardo siamo giunti sull’Olimpo Orwelliano con le mani in mano, sporgendoci esitanti mentre ci chiediamo cos’altro ci riserverà il futuro. Quando la civiltà vera si estinse, gli Hunger Games furono istituiti dal governo dopo la repressione dei ribelli che si rivoltarono ai poteri forti, come punizione nei confronti del popolo. Ebbe luogo proprio in Nord America, il tutto, in un distopico e quanto mai avverabile futuro americano. Cosa c’è poi di diverso da quello che sta accadendo oggi?

George Floyd è morto per mano di un poliziotto americano, per gamba, anzi.

Col ginocchio premuto in gola e le mani in tasca immortaliamo il ritratto di un assassino e il ritratto di tutti noi, se scegliamo di rimanere in silenzio. La vita spezzata di un uomo a cui è stato riservato un trattamento tutt’altro che umanitario è il riassunto della civiltà che abbiamo costruito, dopo anni e anni di battaglie e guerre contro queste brutalità. Se sbagliando si imparasse la storia sarebbe costellata di tragedie sfiorate, conseguenze del pensiero umano istruito e portato alla ragione. Mentre il video virale della morte di George Floyd impazza in rete, condividiamo e commentiamo affibbiando alla faccenda un target razziale. Ma il leone da tastiera che è in noi segue la massa gonfia e silenziosa, chiedendosi che posizione avrebbe preso se si fosse ritrovato davvero in quella savana.

Gli occhi stupiti di chi ha seguito la vicenda dal vivo diventano obiettivi di fotocamere e cellulari. Le mani di chi reggeva in mano lo smartphone e di chiunque non abbia mosso un dito, agenti compresi, per evitare quell’epilogo diventano complici di assassinio. Ci hanno provato, in un primissimo momento, a infangare la vicenda, a ritenere l’avvenuto un errore, a incolpare la stessa vittima di non aver collaborato con gli agenti e di essersela dunque cercata, la morte. A convincere e convincersi che la morte sia avvenuta per cause naturali, dovute a patologie pregresse. A discolparsi dopo che il mondo intero ha potuto assistere, purtroppo e per fortuna, all’omicidio.

George Floyd è morto perché era di colore. Essere di colore o di un’altra etnia nel mondo occidentale significa rappresentare una minaccia ed essere etichettato ancor prima di avere la possibilità di spiegare di essere una persona, prima di tutto, un cittadino e un essere umano o uno studente, come Amadou Diallo ucciso nel 1999 all’età di ventitré anni da 19 colpi di pistola e quattro agenti di polizia newyorkesi, un attimo prima di mostrare il documento: sarebbe riuscito a comunicare le sue generalità prima di ritrovarsi morto se fosse stato bianco?

Utilizzerò l’espressione “essere di colore” come sinonimo di appartenenza a qualsiasi minoranza possibile immaginabile. Essere di colore in un paese come gli Stati Uniti significa far finta che gli ultimi decenni abbiano “guarito” le persone dal marcio dei pregiudizi, perché l’America è il paese più all’avanguardia sotto questi aspetti. Ha combattuto più di tutti. Accoglie più di ogni altra nazione al mondo una mescolanza di idee e modi di essere, di religioni, colori della pelle e costumi, di ideali, partiti politici e modi di essere. Il vero Occidente è lì. La frontiera dell’uomo libero accoglie chiunque voglia ai piedi della statua che renderà l’uomo libero: la Signora Libertà.

Col tempo la discriminazione razziale e non solo è arrivata ad essere percepita come socialmente immonda. Si discrimina chi discrimina.

Ma è davvero così? O c’è sotto qualche tipo di ipocrita copertura per apparire ciò che non si è? La politica d’odio marcia silenziosa dentro ognuno di noi, nonostante tutto. Il razzismo è implicito e si riflette sulla società attraverso pensieri, idee, linguaggi e talvolta fatti come nel caso dell’omicidio di George Floyd. Siamo gli stessi a condannare l’accaduto e un attimo dopo a inveire contro un nero con linguaggio inappropriato. Gli stessi che li considerano inferiori poi. Gli stessi che pensano siano sporchi, stupidi e non suscettibili alla classificazione, perché in fondo sanno di essere diversi.

Chiunque di noi, almeno una volta nella vita ha detto o avuto pensieri negativi nei confronti di una persona diversa. Diversa da chi poi? Da noi? Anche noi siamo diversi da loro, quindi chi avrà in mano il coltello quando la ragione si poserà trionfante sul manico? In Italia siamo lontani anni luce dalle prese di posizione che stanno avendo luogo negli Stati Uniti. Avremmo bisogno di più Rosa Parks e meno Barbara D’Urso. Lì stanno combattendo per i diritti della gente di colore perché si è deciso nel lontano ‘700 che non dovevano averne.

Nonostante i passi da gigante compiuti fino alla seconda metà del ventesimo secolo, abbiano condotto gli Stati Uniti a diventare modello di tolleranza civile per tutte le nazioni europee, il lascito di quei tempi è causa di guerra civile ancora oggi. Il nome del gigante fu senza dubbio Martin Luther King: portavoce del pensiero americano si fece carico del sogno di tutti gli esseri umani, quello riguardo il quale tutti gli uomini sono stati creati uguali e tali devono essere trattati. In Italia non sappiamo che significa convivere alla pari, o più o meno, con popoli diversi in usanze e modi di vivere. D’altronde ci lasciamo ancora comandare da chi fa del”l’Italia agli italiani” il proprio motto.

George Floyd, l’Italia e i vu cumprà

Qui le persone di colore, se non in sporadici casi, sono ritenute “vu cumpra’”, hanno bancarelle di manufatti africani, fanno le treccine in spiaggia o siedono fuori dalle chiese e dai supermercati in attesa di spiccioli. Che mente retrograda abbiamo. Negli Stati Uniti combattono affinché i pregiudizi scompaiano e noi spingiamo affinché quegli stessi pregiudizi permangano, perché beh, “L’Italia agli italiani”.

Il caso di George Floyd ha scatenato disordini pubblici di una portata inimmaginabile. Con l’occasione si è portata all’attenzione dell’opinione pubblica un’altra importantissima e scottante questione rimasta latente per troppo: l’abuso di potere. Anch’esso responsabile, in aggiunta all’odio razziale, dell’omicidio simbolo della lotta ai vertici. Da subito i più importanti esponenti politici e pubblici statunitensi hanno preso le distanze dalla faccenda, divenendo in alcuni casi attivisti in prima linea. Le proteste però da pacifiche si sono rivelate violente in breve tempo, ma soltanto in alcune occasioni. La violenza genera violenza e così il caos è dilagato: unico imperativo morale restare vivi.

Ironia della sorte dove le rimostranze si sono palesate più aggressive ci si è dimenticati del motivo propagandistico. Si protestava per i diritti civili e contro la violenza gratuita dei poteri forti? Altra violenza gratuita, altre aggressioni, altri omicidi. Se il popolo genera violenza, si risponde in modo uguale e contrario ed il raggiungimento di un accordo atto a condizioni civili più oneste ed egualitarie sembra inarrivabile. L’arena degli Hunger Games sembra più confortante di questa oziosa realtà.

George Floyd, proteste e ‘terrorismo’

Il Presidente Trump nel frattempo decide di accrescere le misure di sicurezza avvertendo di un dispiegamento imminente e all’occorrenza delle forze militari dichiarandosi un “Presidente di legge e ordine”. Il Presidente non può servirsi per legge dell’esercito degli Stati Uniti per compiti di polizia, a meno che non ricorra all’Insurrection Act, legge del 1807 di Thomas Jefferson, che attribuisce al Presidente poteri eccezionali, come in questo caso. Arma infida nelle mani di colui che attribuisce ai manifestanti violenti e agli agitatori più pericolosi l’epiteto di “terroristi”. Arma rivendicata nel giardino delle Rose della Casa Bianca; le stesse rose che fanno gola ai Presidenti “tiranni”.

Terrorista è un membro del partito libero “AntiFa”, contrazione della parola “antifascista”, per Donald Trump. Il gruppo Antifa è un partito attivista radicale di sinistra, che ha come scopo impedire a gruppi fascisti, razzisti e di estrema destra di organizzare eventi pubblici o manifestazioni. Non ha leader e non ha sedi ufficiali. Insomma, radicali che si comportano da estremisti durante la ribellione. La domanda che sorge spontanea è se Trump vuole dichiarare il movimento Antifa organizzazione terroristica, per quanto siano massimalisti o perché le loro radici poggiano più a sinistra rispetto alle secolari radici conservatrici alle quali Donald si tiene ben saldo. La strategia politica di solito è la risposta a tutto.

Intanto i Generali e il capo del Pentagono prendono le distanze dall’uso politico dei militari, perché manifestare è un diritto del cittadino americano. Le forze armate statunitensi sono il ritratto di come dovrebbero esistere ed apparire gli Stati Uniti e probabilmente sono favorevoli alle manifestazioni di ordine pacifico. L’esercito rispetta il diritto costituzionale del cittadino americano e si impegna a intervenire qualora ve ne fosse necessità impellente. Condannano Trump come il cattivo della situazione, come colui che vuole sedare le manifestazioni, traendo beneficio politico ma dividendo la nazione, dimostrandosi nuovamente e ipocritamente dalla parte della pace e del cittadino, per modo di dire. Dunque l’esercito non esiste per combattere il cittadino, ma per restare unito e dare unione.

L’ex Presidente Barack Obama, l’ex segretaria Hillary Clinton ed altri maggiori e più vicini esponenti governativi prendono le distanze dalle dichiarazioni di Donald Trump, che rifugiatosi nel Bunker della Casa Bianca ordina di costruire un muro provvisorio intorno alla stessa, per garantire protezione alla sua famiglia. Che lo erga bello alto e resistente, questo muro, per proteggersi dalle armi che lui stesso ha legittimato, delle quali si servono i manifestanti in marcia contro quelli come lui.

Il futuro è sempre incerto, ma mai come ora. Il tempo della resa dei conti per l’uomo è giunto in questo 2020 quanto mai traballante e spiritoso. Dobbiamo fare la nostra parte per il clima, per la salute, per il benessere dell’uomo e per la convivenza civile. Quanto c’è da impegnarsi… Si esige il meglio dall’essere umano. Se ci inginocchiamo in segno di protesta, se scriviamo o urliamo, se ci alziamo in piedi, marciamo e partecipiamo attivamente a qualsiasi tipo di contestazione, ma soprattutto se iniziamo a prendere decisioni ragionevoli, il caos non avrebbe bisogno di esere sedato, non esisterebbe. I poteri forti non potrebbero approfittare della debolezza del popolo, le regole non potrebbero essere valicate a beneficio personale e lo sfruttamento non sarebbe messo a disposizione degli ingiusti. Ma quanto è vero che l’uomo si è evoluto fino ad arrivare alla forma ripugnante che ora assume, noi dobbiamo meritarci di essere a questo mondo.

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